Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Zingaretti lascia la segreteria del PD. Si apre una grande guerra di movimento. Non basta più stare accovacciati in trincea. Il governo non è già più “un” governo, e il campo politico si sta finalmente aprendo dopo anni di recinti, chiusure ed equilibrismi.
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Zingaretti si dimette. La crisi sta arrivando al suo acme, e senza tentennamenti. La manovra di palazzo che aveva fatto saltare Conte e aperto la strada a Draghi aveva una caratteristica, non quella di sostituire un governo con l’altro, ma di spazzare via confini e recinti, per dare vita a un grande comitato tecnico di gestione del Recovery che tutto si poteva definire meno che governo. Anche dire “un” governo è oggi perfino un azzardo: di governi ce ne sono molti e tutti stipati a Palazzo Chigi in lotta tra loro. Oggi la politica è un grande altopiano liscio e senza steccati, dove scorrazzano predatori di ogni risma a caccia di sghei per conto del lombardo-veneto. Un fuori non esiste.
Ovviamente, se allisci il terreno e cancelli i confini esterni, abbattendo le paratie dell’esecutivo, ciò non vuol dire cancellare i motivi di opposizione e di conflitto. Il nemico in politica non muore mai, anche se muore la politica. E così quei conflitti scomparsi all’esterno si sono riproposti per intero all’interno dei partiti. Nei 5stelle, che hanno infine puntato su Conte. In LEU, con la componente di SI che è alla ricerca di uno spazio “esterno” di opposizione. In Italia Viva, persino, dove c’è chi chiede un congresso perché teme di finire in bocca alla destra. La destra stessa non è quel blocco compatto di una volta, e Salvini ha di fronte a sé leghisti in doppiopetto e registro contabile, che non si contentano soltanto di incattivirsi con gli immigrati.
Con la mossa di Zingaretti anche il PD entra finalmente in mare aperto e accetta di affrontare la burrasca. Bene così. È ora che si cominci a ragionare sulla possibilità di esistenza di un grande partito della sinistra che ricomponga questi frammenti, che raccolga i cocci dei partiti, che “risolva” in positivo il negativo della crisi e delle contraddizioni aperte ovunque. Un merito, solo uno, questo “Comitato di Gestione Draghi” l’ha avuto, a sua insaputa ovvio: quello di abbattere i recinti istituzionali, di aver tolto punti di riferimento e di aver scombinato il risiko su cui si era mossa in questi ultimi anni la politica. In questo modo ha aperto le cateratte interne alle organizzazioni e proposto una vera opportunità: il rinnovamento possibile della politica e dei partiti.
Veniamo a noi. Dal nostro punto di vista servono due gambe politico-organizzative capaci di sostenere domani un ticket Conte-Speranza: la prima quella dei 5stelle, l’altra quella di un grande partito della sinistra che superi gli attuali frammenti e l’amalgama mai riuscito del PD. Il detonatore sembra esploso, ora si deve sperare che inneschi davvero un fuoco di fila di eventi politici positivi e unitari. Dite che sto correndo un po’ troppo? Niente affatto. Se tanto mi dà tanto, davanti a noi vedo alcuni mesi di grande burrasca politica che potrebbe sfociare in un evento positivo, e nel risollevarsi di nuovi recinti dopo lo sbracamento di quelli politici e istituzionali attuali.
Certo, nulla è sicuro. Ma è già buono che alcune opportunità si offrano e la bonacca equilibristica cessi. La guerra di movimento è la vera novità dei tempi. Dopo decenni di sfibrante guerra di posizione, nascosti ognuno nelle proprie trincee e dietro i propri paletti. Sono saltati i recinti, ma anche i fossati. Sembriamo riposizionati all’interno del vecchio campo di battaglia ottocentesco, dove lo scontro era aperto, dove la mobilitazione era totale, e alla fine i soldati sfibrati, laceri nemmeno riconoscevano più il nemico e perciò menavano fendenti alla cieca. Ecco. Per quanto ci riguarda, vediamo di menarli bene.