I voucher? Roba di Bersani e D’Alema, fa capire Renzi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 17 marzo 2017

Se date per buona la seguente dichiarazione di Matteo Renzi: i voucher “sono stati un’invenzione dei precedenti governi di centrosinistra sostenuti da quelli che ora vorrebbero cancellare i buoni” – se date per buona questa dichiarazione, dicevo, sembrerebbe che gli stessi voucher siano roba da comunisti, strumenti del soviet supremo, roba guevariana, anzi bersaniana e nemmeno tanto moderatamente. E invece sappiamo tutti che essi nacquero nel 2003 col secondo governo Berlusconi (Legge Biagi), originariamente limitati a ristrette categorie. Fu il Governo Prodi II nel 2008 a dare attuazione alla legge, precisandone limiti e utilizzo. Le successive estensioni furono opera del Governo Berlusconi IV (2010). Tuttavia, la totale liberalizzazione di utilizzo dei voucher (in termini di settori e ambiti) fu opera del Governo Monti con la riforma Fornero. Una estensione rafforzata ulteriormente dal Governo Renzi con il Jobs act, che innalzò i limiti da 5.000 a 7.000 euro, eliminando dalla legge, pensate, la locuzione “di natura meramente occasionale”. Dice: ma chi te l’ha detto? Facile. Tutte queste notizie sono anche su Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Buono_lavoro), così che non serve essere giuslavoristi per informarsi in sintesi, ma sufficientemente, sul tema.

Ora, anche ammettendo che le colpe siano tutte della Fornero e non di Renzi (che ne ha comunque esteso i limiti di utilizzo e, di fatto, tolto i voucher dal regime di occasionalità, conferendo loro un valore paracontrattuale, e con questa estensione li ha personalmente legittimati), vogliamo forse dire che il ‘montismo’ (l’ideologia che consentì anche un’estensione abnorme dei voucher) non sia di casa a Rignano? Direi di no. Pochi ricordano nel 2012 il convegno ‘montista’ al Tempio di Adriano a Roma, dove vi fu una sfilata di renziani e protorenziani a sostegno delle tesi lì espresse. Andatevi a leggere, tra le altre cose, il resoconto che ne fece l’Huff Post (http://www.huffingtonpost.it/…/renziani-montiani-pd-bersani…) e vedrete l’elenco degli agguerriti partecipanti ‘montiani’ iscritti al PD e non solo. Scriveva Angela Mauri: “Di fatto, non ce ne sono di bersaniani doc all’assemblea di oggi. Ci sono molti renziani, ma non tutti i partecipanti hanno scelto di schierarsi alle primarie. E qui sta il nocciolo della questione. Perché i più filo-Renzi puntano ad un’agenda Monti senza il Professore, cioè ad un governo che faccia proprie le politiche di quello attuale ma che sia guidato dal sindaco di Firenze, una volta vinte le primarie”. Chi sono questi filo-Renzi nonché filo-Monti? Eccoli: “Andrea Sarubbi e Roberto Giachetti, e poi Ivan Scalfarotto e anche Pietro Ichino”. Ma al Tempio di Adriano c’erano anche quelli non schierato alle primarie, e che “immaginano un Monti-bis, forti anche della disponibilità dichiarata dal premier due giorni fa. Tra questi, i veltroniani Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini, Claudio Petruccioli e anche Salvatore Vassallo”. Nonché “il finiano Benedetto Della Vedova, che tra i presenti non è l’unico esterno al Pd. Ci sono anche Linda Lanzillotta dell’Api e il montezemoliano Andrea Romano”, oggi direttore dell’Unità (uno di Montezemolo che oggi è direttore dell’Unità, capite?).

Va anche ricordato, alla bisogna, che il Corsera pubblicò a luglio 2012 una lettera sottoscritta da 15 esponenti del Partito Democratico (http://www.corriere.it/…/pd-porti-agenda-monti_9a6aa0ba-ca5…), che costituì, dice ancora la Mauro, il “primo nucleo montiano nel Pd che già allora chiedeva di non tradire le politiche di Monti e adottare la sua agenda”. Paolo Gentiloni, promotore dell’iniziativa del Tempio di Adriano, fu uno dei firmatari. Gli altri furono, ricordava la Mauro: “Alessandro Maran, Antonello Cabras, Claudia Mancina, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Magda Negri, Marco Follini, Marilena Adamo, Paolo Giaretta, Pietro Ichino, Salvatore Vassallo, Stefano Ceccanti, Umberto Ranieri, Vinicio Peluffo”. A rafforzare il ‘montismo’ piddino vi fu anche una dichiarazione di Gentiloni, che ai tempi affermò, senza remore: “Di fatto le primarie sono anche un congresso”. Non si trattava insomma solo di promuovere un candidato, ma di cambiare, rifondare il PD, dettando una linea politica renziano-montiana, tale da avviare una nuova fase post-bersaniana, strutturata su basi montiste (voucher e leggi sul lavoro comprese). Detto ciò, ancora ci vengono a dire che i ‘voucher’, nella fattispecie, sarebbero roba bersaniana, della sinistra ex Pd, della minoranza, dei gufi, dei criticoni, dei rosiconi? Che li hanno cancellati oggi, perché prima se si erano scordati? Ma se fu la Fornero, la montista Fornero, a estendere i voucher (con Renzi che completò l’opera), con quale coraggio oggi i renziani si tirano fuori dal montismo-voucherismo, dopo averne sposato la causa sin dai primordi e averci costruito le primarie, pardon un “congresso”, come chiarì quella volta l’attuale renzianissimo premier?

Perché una cosa è certa: l’agenda Monti va presa in toto, voucher e legge Fornero compresi. Un’agenda senza la data del 5 aprile o del 10 ottobre sarebbe un’agenda monca, incompleta, una non-agenda. Uno scartafaccio di quattro foglietti ammucchiati, una mera raccolta di post adesivi, anzi di pizzini. E non sarebbe bello andare a ricercare i foglietti strappati dentro un cestino solo per ricostruire, ex post, una storia d’amore come quella che nacque tra renziani e montiani. Divenuti a un certo punto una sola cosa. Diamine!

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