di Alfredo Morganti, 26 novembre 2015
Vincere (e vinceremo, a meno che non si pareggi fuori casa, che va sempre bene)
A forza di dire che quel che conta è vincere, anche le polemiche prendono una piega conseguente. Oggi Bassolino, sul Corriere, ricorda: “Ho vinto più di Renzi. Per cui credo di sapere cosa è giusto fare e cosa non va ripetuto”. Ecco fatto. Vincere oggi diventa un parametro di giustizia. Visto che ho vinto, e per giunta ho vinto più di te, so io qual è la cosa giusta da fare. Detto ciò, cosa resta da dire? Niente. Ridotta a evento agonistico, a sfida da ‘vincere’, a scommessa da botteghino, la politica nemmeno genera più dibattito, al limite si commenta la classifica nei circoli del PD, differenza reti compresa. Questo ci resta alfin se la politica è sport, agonismo, cimento e basta: nulla. Solo l’applicazione secca di questa logica pedissequa di questo ‘agonismo’, di questa competitività a ogni snodo politico-istituzionale.
Da questo punto di vista Bassolino è dirimente. Io ho vinto più di te, quindi ne so di più. I contenuti si vadano a far fottere. Diventano solo funzionali al risultato. Come quando l’allenatore cambia la squadra in corsa: lo fa per vincere, poco importa il contenuto dello schema prescelto; l’unico vero (o giusto, o appropriato) è solo quello che sconfigge l’avversario. È un problema soltanto tecnico. E poi, se un giorno il Marsala disponesse delle risorse per acquistare in blocco l’intero Barcellona, Camp Nou compreso, e per vestire quei giocatori dei propri colori sociali, sarebbe il Marsala a vincere, non più il Barcellona. D’altronde conta la maglia, dicono i tifosi, non il cuore. E contano i voti, dicono i neopolitici oggidì, qualunque sia stato il mezzo per conseguirli. Anche diventare ‘destra’ per far credere che stia vincendo la ‘sinistra’. Anche mettere in difficoltà Grillo o Berlusconi adottando le loro stesse parole d’ordine, pur di batterli sul loro campo. Anche distribuire mance a guisa di 80 euro a questo o quello, ricco o non ricco che sia. Anche regalare 500 euro una tantum e senza impegno a ragazzi di 18 anni, il cui unico ‘merito’ è aver deciso di non votare PD (sperando, così, di convincerli a farlo!). Anche mettere in tasca agli insegnanti 500 euro, senza però rinnovargli il contratto. Anche non far pagare le tasse ai ricchi, e anche pagare tasse e contributi previdenziali agli imprenditori, purché assumano dei diversamente precari. Anche votando l’Italicum, che prevede uno stuolo di nominati fedelissimi al Capo per rabbia di rielezione.
Questo è. Destra e sinistra non esistono più non perché sia davvero così, ma perché stanno alzando i fumogeni come sui palchi dei concerti rock, pur di fare ‘evento’, pur di vincere. La politica è un deserto, o quasi, perché la classe politica è “scesa in campo”, è allo stadio, e i tifosi sugli spalti a fare un tifo sguaiato. Ecco la mutazione genetica. E la cultura politica? Una noiosissima rottura di palle. Tant’è.