Il professor Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale in varie Università italiane, risponde a domande che riguardano i tanti aspetti e momenti della la sua vita.
Un ricordo della sua infanzia
La spensieratezza e la campagna. Mio padre era agricoltore e io andavo con lui ogni volta che era possibile. Ricordo che avevamo una piccola vigna e in autunno si vendemmiava per avere un vino a dir poco squisito. Ricordo la raccolta delle olive che arrivava fino a dicembre e i granai pieni di grano fino a dopo Natale dove spesso mi rotolavo sprofondando. Gli amici erano tanti e il nostro divertimento principale era costruire capanne sugli alberi. Ricordo la famiglia unita e i miei nonni molto presenti. Ricordo i cavalli che trainavano carretti attraversare le vie del paesello. Ricordi meravigliosi e irripetibili.
Il momento più felice della sua vita
Non c’è dubbio: la nascita di mia figlia Isabella. La venuta al mondo di un figlia rappresenta un momento speciale e travolgente perché segna il tuo progresso da individuo a genitore con la conseguente progettualità e responsabilità che sono totalmente diverse da quelle che avevi prima. L’emozione di questa nuova situazione sta nel fatto di abbandonarsi con lei alla condivisione di scoperte strabilianti. Sono tantissime le cose che impari stando con tua figlia. Anche se il tempo che passo con lei non è mai abbastanza, è bello condividere insieme ogni aspetto possibile. Spesso penso all’unica cosa veramente importante per il suo futuro: che sia felice e serena come lo sono stato io.
Il momento più triste della sua vita
La tragica morte di mio padre in gioventù. E’ stata l’esperienza più dolorosa e straziante che ho vissuto. Ero legatissimo a lui da una amore viscerale e da mille condivisioni. Era il mio migliore amico. Credo di non aver mai superato quella recisione che si è aggravata con la morte recente di mia madre e di mia zia paterna. Mi conforta molto onorare la loro memoria cercando di attuare i loro insegnamenti. Questo dolore comunque non ha una scadenza e penso terminerà solo con la mia morte.
La scuola
Odio e amore direi. Bravissimo alle elementari, bravo alle medie e al liceo uno studente anonimo che lottava per non essere rimandato alla conquista della sufficienza. Enorme salto di qualità all’Università con laurea in anticipo sui tempi e tesi in diritto penale dal titolo “Appalti pubblici e normativa antimafia” pubblicata sulla prestigiosa Rivista Penale all’epoca diretta dal grande giurista Giandomenico Pisapia. Da li il mio amore incondizionato per il diritto penale e le scienze criminalistiche. L’università la definirei davvero “roba mia” sudata e ottenuta con borse di studio annuali legate soprattutto al merito. La paragono ad una gara sportiva dove (se non si bara) vince sempre il migliore cioè il più meritevole anche se devo riconoscere che oggi in tanti barano e spesso non vincono i meritevoli.
Il più grande insegnamento ricevuto
Sono tanti. Il primo è una raccomandazione quotidiana di mio padre: “non fare mai agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Era la sua filosofia di vita che però, a differenza mia, lui praticava nel quotidiano. Più tardi sono arrivate molte altre persone che mi hanno insegnato tanto. Non posso dimenticare Giuliano Vassalli che andavo a trovare spesso a Roma e Antonino Caponnetto che ho avuto la sfortuna di conoscere solo per poco tempo, i quali mi hanno insegnato l’amore per la democrazia, la giustizia e la legalità.
L’incontro con la legalità
Nasce da una lettera di Giovanni Falcone in risposta alla mia, dove alla fine scriveva: ”Continui a credere nella giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali”. Frase che ha lasciato un segno indelebile nella mia vita. Ero appena laureato e ho seguito il suo incitamento iniziando a parlare di legalità e di giustizia ai giovani. Oggi, dopo quasi trent’anni, mi sento soddisfatto – anche se in solitudine e tra mille ostacoli – nel continuare a portare avanti una straordinaria battaglia di civiltà, di giustizia e di moralità, affinché le nuove generazioni possano formarsi una coscienza libera da pregiudizi, ragionando autonomamente, evitando di diventare schiavi della falsa informazione e avendo voglia di ribellarsi alle ingiustizie. Sei anni fa, ho fondato una Scuola di Legalità intitolata a don Peppe Diana, un sacerdote di Casal di Principe brutalmente ucciso dalla camorra. Mi auguro, con questo nuovo progetto educativo, di poter rivivere anche con i giovani d’oggi una nuova rivoluzione culturale come quella che ho vissuto negli anni novanta a Palermo.
L’uomo e il giurista
Beh l’uomo è senza dubbio quello che ama la famiglia, i luoghi della sua terra e della sua storia di vita, della campagna e dell’infanzia, i luoghi della memoria, delle persone e della natura, i luoghi delle gite domenicali e delle ragazzate con gli amici. Il giurista invece è quello che partecipa criticamente e con grande tensione morale alle vicende che lo circondano, ama la libertà e la giustizia, cerca di perseguire il rigore morale e la fermezza di giudizio. Il giurista è come il giornalista analizza la realtà valorizzando soltanto i fatti con obiettività.
Il rapporto con Dio e la religione
Se dovessi definirmi direi che sono un agnostico sui generis. Non sono indifferente al problema della fede e della religione. Pur essendo scettico circa l’esistenza di una entità superiore, ritengo che, così come l’esistenza di questa non si possa dimostrare, non si possa neppure negare. Quindi nel mio ego credo in Dio e penso sia uno per tutti gli abitanti della Terra. Nutro molti dubbi sulle religioni. Spero fortemente che la vita non finisca con la morte.
La sua filosofia di vita
“Neminem laedere, honeste vivere” è tutta in queste quattro parole latine.