Vince Schlein, il congresso comincia adesso

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Vince Schlein, il congresso comincia adesso
La vittoria di Schlein è sorprendente e benaugurante, pur tuttavia è irta di contraddizioni. Si dirà, le contraddizioni sono il sale della storia. Certo, e ben vengano. Ma esigono comunque la giusta preoccupazione e devono sempre suscitare una particolare attenzione. Non sfugge, per dire, che la neosegretaria è stata eletta contro la volontà del partito (se per partito intendiamo i suoi iscritti). Né potrebbe sfuggire che questo accade per la prima volta.
Cosa significa? Almeno due cose: 1) il “partito” è oggi un vecchio arnese, ritorto su se stesso e poco rappresentativo (lo dico con la morte nel cuore), incapace di cogliere gli umori dei suoi stessi elettori (anche se alle primarie vota di tutto un po’, passanti occasionali e avversari politici compresi). 2) L’elettorato del PD è cambiato, la crisi lo ha sfiancato, la guerra lo ha turbato, l’apocalisse climatica ha lasciato il segno, non è più disposto a seguire pedissequamente la sua organizzazione di riferimento. Tanto meno a contentatarsi di un generico progressismo da benestanti, con priorità ai diritti civili. Schlein rappresenta plasticamente questa mutazione, è l’ennesima forma che assume il “nuovo”, la più radicale ed estrema. Pur tuttavia, ha avuto dalla sua parte il partito delle correnti. Ed è questa la contraddizione più radicale: rappresentare il non-partito, essere votata dal non-partito, ma essere, nello stesso tempo, il riferimento del partito-apparato. Un cortocircuito esplosivo.
E il partito-degli-iscritti, direte voi, che fine fa? Esce da queste consultazioni certamente umiliato, altro che festa della democrazia. Ma questo è l’effetto delle primarie, è la conseguenza inevitabile di una procedura che vede il segretario eletto da chiunque, meno che da chi milita nell’organizzazione (sono andati a votare al ballottaggio 10 volte in più che gli iscritti). Immaginate il caso che il Presidente della Repubblica Italiana fosse eletto da tutti i cittadini europei, purché avessero in simpatia l’ltalia. Anche per questo il “partito” diventa un vecchio arnese, non solo per un capriccio della sorte, della storia e della politica, ma per propria volontà, per propria autofagellazione, come un senso di colpa recondito, per aver introiettato le accuse che la società civile rivolge a quella politica, come l’espressione principale della fine della autonomia politica, suo asservimento definitivo all’economia e alla comunicazione. Un asservimento che ha come motto: “la politica del fare”, ossia ridotta a tecnica e ad amministrazione, spoglia di una finalità ideale e di ogni moralità, ossia priva di una capacità di scelta su base etica.
A proposito: gli amministratori. Il partito-degli-amministratori, i “tecnici” della politica, era tutto schierato per Bonaccini e oggi ne esce con le ossa rotte. Per non parlare dei capibastone locali, la cui collocazione geopolitica, in un partito-territorio come il PD, dovrebbe destare grande preoccupazione alla nuova eletta. Basterannno le enunciazioni di principio, le parole pur encomiabili, la nuova “novità” a ritessere le file e a riproporre nei fatti il “rinnovamento” che tutti auspicano, oppure il PD, come ha già fatto in altri momenti, sarà portato a rimangiarsi i suoi figli (buoni o cattivi che fossero) dopo averne lodato i meriti? Oppure questi ultimi se ne ritrarranno schifati (vedi Zingaretti?).
Contraddizioni così rilevanti, insomma, che lasciano presagire che il congresso vero e proprio inizi (o debba, probabilmente, iniziare) solo ora. Lasciano immaginare che le spade verranno sguainate e incrociate adesso. Perché nessuno deve illudersi che cambiare il leader (un po’ all’americana) esaurisca i compiti e preannunci un futuro certo. La politica è una maledetta sfida che si fa collettivamente. E qui “collettività” (o comunità) non significa mettere una croce alle primarie e poi tutti leoni da tastiera a rompere il cazzo. Chi ha deciso di votare al ballottaggio dovrebbe avere il coraggio di iscriversi e partecipare, dovrebbe esibire la moralità di essere davvero “parte” attiva, non solo pubblico che vota come a Sanremo.
Ecco, la mia critica è solo questa. Lo dico da non-votante, perché essere iscritti a un partito e partecipare alla sua vita interna è un fatto di grande moralità. Sono stato iscritto alla sequela PCI-PDS-DS per 32 anni, so cosa significa. Dico quindi a tutti coloro che hanno partecipato alle primarie, che sono intervenuti nella vita del partito eleggendone il segretario e basta, per ritirarsi poi a vita privata: perché non vi iscrivete? Perché non partecipate? Perché non andate ad attaccare manifesti (si fa ancora)? Perché non vi esponete o chiedete la parola nelle riunioni interne? Perché uscite dai canali social solo una volta, tanticchia, per rientrarvi subito dopo? Perché non dedicate delle ore alla politica politicata, invece di pensarvi solo come audience? Perché scegliere il modello Sanremo-primarie-televoto (che uccide la politica e la carica di contraddizioni più di quante già non ne abbia) e non invece il modello partecipazione-militanza, che ridarebbe alla politica stessa un senso, e ai partiti complessivamente un futuro? Domande forse vane, già lo so.
Per il resto, buon lavoro Schlein e buona fortuna, ne avrai davvero bisogno.
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