Vigilia di guerra o grande bluff

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Franco Cardini
Fonte: Minima cardiniana

di Franco Cardini – 8 maggio 2018

State calmi, gente: ma con prudenza. La situazione non è – ancora – seria. Ma potrebb’essere già grave. Riassumiamo.

Lunedì 30 aprile scorso, “Bibi” Netanyahu si presenta alle TV di tutto il mondo col solito abbigliamento da impresario di pompe funebri e con la solita faccia di qualcuno a cui qualcun altro ha fatto uno sgarbo gravissimo. Conosciamo entrambi, abito ed espressione. Stavolta, “Bibi” ci mostra alcuni posters con il disegno di missili che all’aspetto ricordano quelli stile Anni Trenta di Flash Gordon e una sfilza di dischetti che sembrano le foto del menu del ristorante giapponese nel quale Scarlett Johansson viene invitata a cena dal suo imbranato e attempato corteggiatore in Lost in translation. Non basta ancora: dietro “Bibi” che parla per frasi brevi, nette, scandite, all’americana, compare un maxi display che pubblica in caratteroni corpo 32 quanto egli sta dicendo. In sintesi, niente da segnalare: la solita litania sul fatto che l’Iran mente (Iran lied), che non rispetta gli impegni assunti in sede internazionale con l’Agenzia per il Controllo delle Armi Nucleari (AIEA) e insomma che non è fedele agli impegni assunti nel quadro del patto di non-proliferazione. Patto – da notare – che tutti i paesi del mondo hanno sottoscritto meno India, Pakistan, Corea del Nord e – appunto – Israele. Ovviamente, nessuno sembra notare il paradosso del leader di un paese che è ormai una grande potenza nucleare e che non ha mai accettato controllo internazionale alcuno ma accusa di possedere ordigni un altro che finora ne è risultato privo all’atto dei controlli internazionali. Netanyahu vanta però adesso informazioni di prima mano: esse sarebbero state sottratte all’Iran dallo straordinario, abilissimo Mossad. Anche noi siamo convinti dell’ammirevole efficienza dei servizi israeliani: però aspettiamo ulteriori particolari, che non arrivano. Gli iraniani ironizzano sullo show. Noi un po’ meno. Ci ricordiamo troppo bene di quello messo in scena al principio del 2003 da Colin Powell al cospetto dell’ONU, a proposito delle “terribili armi di distruzione di massa” delle quali avrebbe disposto l’Iraq di Saddam Hussein. Sappiamo come andò a finire: un’aggressione, una guerra, tre lustri di guerra civile strisciante e di confusione nel disgraziato paese, poi l’annunzio ch’era tutto un trucco inventato da Tony Blair & C., e chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto.

Ma l’intervento di “Bibi”, pronunziato in vista della decisione statunitense del 12 maggio prossimo, se ripudiare o meno l’accordo con l’Iran (noto come ICPOA) e reinfliggere a quel paese le sanzioni alla faccia degli sforzi dell’ex presidente Obama, cade come una sassata in un negozio di cristalli. Si allarma Angela Merkel, si adonta la signora May, Donald Trump tuona al telefono con entrambe, i due rami del parlamento statunitense sono sottosopra, l’Unione Europea – tanto per cambiare – non sa che pesci prendere.

Gli iraniani rispondono: contestano l’autenticità del materiale mostrato nello scoop, sfidano gli USA a svelarne fonti e provenienza, assicurano – ed è l’abitualmente moderato e composto premier Rohani ad affermarlo – che se gli USA fanno saltare l’accordo anche il governo di Teheran si sentirà libero dagli obblighi contratti.

Frattanto, la macchina dell’antiranismo strisciante comincia a funzionare. Su “Repubblica” del 5 maggio, il bravo Federico Rampini descrive una Teheran preda di un’inflazione da tarda repubblica di Weimar, con la gente invelenita contro l’avidità e la corruzione degli ayatollah e i ragazzi che sognano l’Occidente. Ed è vero, senza dubbio: ma è solo una parte della verità. Il resto, che Rampini non racconta – né è tenuto a farlo – è di un paese colto, orgoglioso, che segue gli sforzi del mediatore Rohani: uno dei pochi politici che a livello internazionale, sia detto per inciso, può oggi presentarsi come un vero statista in un  panorama dominato dalla mediocrità e dall’avventurismo.

Dove andremo a finire? La guerra non ci sarà. Ma l’Iran dovrà restare un pericolo continuo: per esempio a turbare i sogni degli israeliani, per far dimenticar loro che Netanyahu è pesantemente inquisito nel suo paese. O quelli degli statunitensi, per far loro dimenticare il Russiagate e le promesse di soluzione della crisi socioeconomica mai mantenute dal governo Trump. Sbatti il mostro in prima pagina: l’atomica iraniana, anche se inesistente, servirà a nascondere le magagne. Almeno per un po’. Ma se la corda, tirata troppo, dovesse spezzarsi, attenzione. L’Iraq del 2003 era isolato. Dietro l’Iran del 2018 c’è la Russia di Putin. Fino a che punto è il caso di giocare al bluff?

 
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