Fonte: il Corriere della Sera
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intervista a Naomi Klein di Maurizio Caprara, 27 novembre 2015
Naomi Klein: «Vertice clima Cop21 a Parigi, rischio di patto al ribasso»
«C’è il rischio che il terrorismo danneggi la capacità della società civile di far ascoltare la propria voce, di far sentire la propria pressione sui leader che si riuniranno nella conferenza di Parigi sul clima», afferma Naomi Klein. La saggista canadese autrice di libri con vendite superiori al milione di copie lo dice al Corriere mentre si trova nella capitale della Francia ferita dalle stragi compiute da integralisti islamici, la stessa città che da domenica prossima all’11 dicembre ospiterà l’incontro mondiale chiamato Cop21 che verrà raggiunto all’inizio dei lavori da 147 tra capi di Stato e di governo. Nei giorni della conferenza la donna diventata famosa con il volume No logo parteciperà a una proiezione di This changes everything (Questo cambia tutto), film-documentario che dal 2 dicembre si potrà vedere in 52 cinema italiani. Girato dal marito Avi Lewis, è un viaggio per immagini in varie parti del mondo ispirato dal libro di Naomi Klein che all’estero ha per sottotitolo Il capitalismo contro il clima. In Italia, stampato da Rcs libri, si intitola Una rivoluzione ci salverà – Perché il capitalismo non è sostenibile. Pagine e sequenze hanno in comune, in sostanza, una tesi: la prospettiva delle catastrofi possibili con il surriscaldamento del pianeta può consigliare al mondo di rinunciare alle energie inquinanti, di ricorrere soltanto alle fonti rinnovabili, di ridisegnare il sistema economico prevalente riducendo le disuguaglianze sociali.
Dunque quale impatto prevede che avranno sulla conferenza di Parigi le incursioni sanguinose del 13 novembre?
«Di preciso non sappiamo quali saranno. Però so questo: stanno avendo un effetto sulla capacità della società civile di far ascoltare la propria voce. Molte proteste sono state vietate».
A consentirlo è lo stato d’emergenza dichiarato in Francia. Il governo ha proibito le marce sul cambiamento climatico previste per domenica e il 12 dicembre. Da presidente della conferenza, Laurent Fabius ha sottolineato che tanti incontri pubblici saranno confermati.
«Mi pare dicano che le manifestazioni all’aperto saranno vietate. Si svolgeranno incontri, concerti. Riguardo al summit, le questioni non ancora decise sono molte: se le sue decisioni saranno legalmente vincolanti e a quanto ammonteranno i finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo, per esempio, sono punti tuttora oggetto di negoziato. La possibilità di esercitare piena pressione sui leader è diminuita».
Pensa che questo ulteriore danno sia stato già prodotto dagli attentati costati la vita a 130 persone?
«Penso che un danno ci sia già. Temo che se venisse stretto un cattivo accordo i Paesi in via di sviluppo avrebbero meno spazio per criticare l’intesa senza essere visti come traditori della solidarietà alla Francia. Le due questioni invece andrebbero tenute distinte. I nostri leader prendono le loro decisioni migliori quando avvertono una pressione dei movimenti sociali e se è in gioco un accordo forte vengono messi sotto pressione da grandi compagnie con molti soldi».
Quali?
«Le aziende dei combustibili fossili hanno pieno accesso ai politici che saranno alla conferenza. Imprese inquinanti lo sponsorizzano. La società civile, che non ha danaro, è frenata. La voce degli affari no, perché quelli non portano alle piazze: portano ai retrobottega. Il movimento non si arrenderà. Troverà le vie più creative per dire che l’accordo deve essere ambizioso e vincolante».
Ad aprire una delle vie sarà lei?
«Il nostro film diventa ancora più importante perché amplifica voci che potrebbero non essere ascoltate. A Parigi verranno le persone danneggiate da un’economia incurante dei limiti posti dalla natura che parlano nel documentario».
In «This changes everything» lei sostiene: «La Grecia è aperta a ogni possibilità: a causa della crisi è possibile vendere il suolo, dalle miniere d’oro agli impianti di trivellazione e non solo. È lo stesso che sta accadendo in Spagna e Italia». Si riferisce, sull’Italia, a qualcosa in particolare?
«Come in Grecia, da voi c’è stata forte pressione per estrarre petrolio da sotto il mare, raddoppiarne la produzione. È l’esempio più drammatico, penso poi ai tagli a sostegni per le energie rinnovabili. Il calo del prezzo del greggio forse abbassa la pressione, l’obiettivo tuttavia era quello».
Nel documentario lei descrive i dolori sofferti dai greci durante la crisi, ma non accenna alle colpe della classe politica greca che aveva innalzato la spesa pubblica improduttiva. Perché?
«In Grecia a pagare il prezzo più alto della crisi non sono i politici: è la gente comune. Un documentario è fatto di brani brevi che non esauriscono tutto dei temi trattati. Comunque è vero che i sacrifici sono stati chiesti alla gente comune, e questo nel film si fa vedere».