di Mino Dentizzi – 11 novembre 2018
Vi è un risultato per nulla insignificante che i primi mesi del governo penta-leghista mettono nel carniere: aver rivoluzionato la prassi della comunicazione istituzionale. Da ampollosa, attendista, linguisticamente ingarbugliata, come succedeva ai tempi del centrosinistra, è divenuta veemente e mobilitante. E innanzitutto uniforme con una narrazione che in qualche maniera è ormai vissuta come identitaria di un raggruppamento politico e di una fetta cospicua del sentire comune.
L’intento manifesto è quello di alimentare ininterrottamente l’eccitazione dei simpatizzanti, di modificare anche quello che può sembrare trascurabile in un fatto significativo, di infondere risolutezza, decisionismo, vicinanza alla pubblica opinione. Così si utilizzano le pratiche della ripetitività mediatica, della riduzione della complessità a slogan semplice e chiaro, della mancanza di decenza nell’esagerare eccessivo (vedi le campagne contro i giornalisti), tanto nel celebrarsi quanto nel denigrare l’antagonista. Governare ormai combacia con una conduzione leaderistica del potere e con dinamiche mirate esclusivamente alla costruzione del consenso. L’opposizione di fronte a queste sovversive metodologie comunicative non riesce ancora a fare i conti si mostra non solo a corto di ogni energia e precisione ma soprattutto oscura e confusa, è un pugile suonato.
Allo stesso tempo importanti pezzi di società e numerose organizzazioni politiche e sindacali sono ridotti al silenzio, avendo praticato la tecnica del tentennamento, aspettando gli errori dell’avversario, giocando solo di rimessa e intanto il credito concesso ai penta leghisti a fronte del cambiamento promesso ancora non si esaurisce, anzi complessivamente aumenta. Non aver mai compiuto una seria valutazione autocritica sugli errori compiuti negli ultimi anni, restare imbrigliati in sterili discussioni limitate alla dirigenza dei partiti, non aver cambiato nulla dei propri comportamenti politici e atteggiamenti culturali sta ancora più scoraggiando le persone e ancor più usurando il rapporto con i cittadini. Il pericolo reale e fondato è di restare ai margini della scena politica. A questo punto è anche necessario rammentare che la legittimità ampia e crescente di cui gode il governo penta leghista è frutto di cospicui risentimenti e cocenti disillusioni verso la sinistra e di una volontà vasta alla discontinuità.
Se non si tiene conto di queste cose e non si agisce di conseguenza anche le città (sempre di meno) ancora amministrate dalla sinistra (sempre di meno) sono destinate a passare il testimone. Anche Campobasso (ammesso con largo beneficio di inventario che ci sia una giunta di centro sinistra).
Bisogna fare punto e a capo e mettere in moto una nuova partenza e uscire dalla confortante ma perdente, consuetudine del circolo chiuso. Smetterla con quella predisposizione allo scontro che attraversa le anime della sinistra e non pare trovare identica propensione verso la destra. E’ necessario costruire discussione e confronto fuori dagli schemi di comunicazione che oggi predominano per contribuire a mettere in campo un progetto diverso di città, dicendo chiaramente che finora non è esistito nessun progetto di città e se è esistito si è mostrato fallimentare. Solo ricostruendo una nuova prospettiva per Campobasso è possibile far crescere i presupposti per un’alternativa. Per questo è innanzitutto necessario provare a tenere insieme i tanti saperi, conoscenze, buone pratiche territoriali di cui questa città dispone, iniziare a far venire a galla una credibile narrazione differente, consapevoli del tempo che occorre, e insieme trovare nuove forme di comunicazione e aggregazione.
qui Verso le elezioni a Campobasso (2): un’opportunità per la sinistra