Non credo ci sia bisogno di una lunga e dettagliata biografia di Durante di Alighiero degli Alighieri. Sicuramente anche lui potrebbe dire “Sono Alighieri, Dante Alighieri” alla James Bond. Basti sapere che (se non lo si fosse capito) 2021 meno 1321 (anno della morte del Poeta) fa 700. Ergo, quest’anno, come abbiamo ben chiaro, ricorrono i 700 anni dalla sua morte. Tra progetti scolastici, mostre, eventi, concerti e quant’altro, ci stiamo dando da fare per rispolverare le nostre conoscenze della sua opera poetica e del suo pensiero come si fa con il servizio buono alle grandi occasioni. E credo che sia davvero il momento migliore per accorgerci che non era così pesante come si pensava, ma anzi, si potrebbe anche scoprire che, effettivamente, era più moderno di molti altri pensatori anche di epoche successive (con le ovvie limitazioni dovute all’epoca, sia chiaro). Di Dante non abbiamo praticamente ritratti che risalgano esattamente al periodo in cui era in vita, ma ci sono pervenute le famosissime rappresentazioni del Botticelli, di Andrea del Castagno e quella sulla moneta da due euro. Il suo naso di dimensioni non indifferenti, l’abito da priore rosso e bianco e, a volte, la corona d’alloro ci sono particolarmente familiari. Lo abbiamo visto davanti al Monte del Purgatorio, di profilo… insomma, un viso noto un po’ a tutti. Personalmente, io adoro le illustrazioni della Commedia fatte da Emanuele Luzzati o quelle del poeta (e artista) inglese William Blake. Entrambi resero, a mio avviso, in maniera geniale l’ambiente immaginifico seppur realistico in un certo qual modo ideato da Dante. Ma poi anche Waterhouse, Delacroix, Dalì, Dorè (di cui ricordiamo le innumerevoli litografie dedicate alla Commedia) e tanti, tanti altri.
Non solo pittori sono stati ispirati dal Poeta, basti pensare all’ampia eredità di musica lasciataci sulla scia delle sue composizioni. Premessa: la poesia è musica di per sé, e Alighieri scrisse effettivamente i testi di alcune canzoni musicate al tempo da suoi amici, come ci dimostra “Amor che ne la mente mi ragiona” cantata in compagnia dell’amico e musicista Casella nel Purgatorio (canto II, vv. 76 – 117). Da qui possiamo iniziare a citare le opere ispirate alla lettura diretta di Dante, come la Fantasia quasi Sonata Après une lecture du Dante in un movimento (diviso in due temi principali: il lamento dei dannati in Re minore ed il canto di gioia dei beati in Fa diesis maggiore) di Franz Liszt. Sempre di Liszt (il quale era evidentemente un appassionato di Dante) è la Sinfonia Dante, sinfonia corale in Re minore in tre movimenti, Inferno, Purgatorio e Magnificat, dedicata non ufficialmente a quella sanguisuga di suo genero Richard Wagner. Se volessimo poi parlare dei personaggi danteschi che hanno ispirato altri musicisti, senza alcun dubbio Francesca da Rimini è la padrona incontrastata delle attenzioni dei compositori: Gioachino Rossini (Francesca da Rimini, recitativo ritmato per voce e pianoforte), Saverio Mercadante (opera Francesca da Rimini), Ambroise Thomas (Francoise de Rimini, musica da ballo), Petr Il’ic Cajkovskij (Francesca da Rimini), Segei Rachmaninov (O, ne riday, moy Paolo – On, non piangere mio Paolo) e altri. Poi, Gaetano Donizetti si cimentò con il Conte Ugolino (Il conte Ugolino dal canto XXXIII dell’Inferno), altro personaggio che ha dato pane per la fantasia di molti (anche nella stessa e dubbia interpretazione dei versi in cui lo si accusa di cannibalismo “poscia, più che l’dolor, potè l’digiuno”, Inferno, canto XXXIII, v, 75) e Pia dei Tolomei, a cui ha dedicato un’intera opera. Volendo arrivare alla musica nostra contemporanea, nel 2007 Gianna Nannini pubblicò l’album Pia come la canto io, incentrato proprio sulla figura di Pia dei Tolomei. Ultimo, ma non meno importante, il Paradiso. Apro una piccola parentesi: man mano che si va avanti nella Commedia, la musica aumenta come la luce, dalla sua totale assenza nell’Inferno alla sua presenza assoluta in Paradiso. Paradossalmente, il primo è stato, come si è visto, considerato decisamente di più dell’ultimo. Ma, come eccezione alla regola, abbiamo la stupenda resa in musica della preghiera di San Bernardo Vergine Madre, Figlia del Tuo Figlio (Paradiso, canto XXXIII, vv. 1 – 39) musicata da Giuseppe Verdi nell’ambito delle sue Laudi alla Vergine Maria. Fuoriuscendo dall’ambito della Commedia, da ricordare la Vita Nova per soprano, voce recitante ed orchestra composta da Nicola Piovani su parole di Dante, e Vide Cor Meum di Patrick Cassidy e Hans Zimmer, sempre presa dalla Vita Nova (in particolare ispirata al sonetto A ciascun’alma presa e gentil core), apparsa per la prima volta nel film Hannibal.
Da letterato, Dante non può che aver influenzato in qualche modo anche direttamente l’ambito della sua arte. A questo punto dovrei dividere il discorso in due sezioni: l’Italia e tutto il resto del mondo. Partendo dal primo punto, si possono dire tante cose. Innanzitutto, in un periodo in cui l’Italia unita non la si vedeva neppure con un cannocchiale spaziale, Dante già sperava e ragionava su di una terra per lo meno unita linguisticamente. E qui, nei secoli successivi, vediamo che la sua idea sì, ha avuto un certo qual “successo”, ma senza che lui fosse usato come modello per creare questa lingua del popolo italico, soprattutto in ambito letterario, dove Pietro Bembo, nelle sue Prose della Volgar Lingua, considera il Poeta poco consono all’uso letterario dato il suo uso smodato dei registri linguistici (passando da un volgare a 360 gradi in tutti i sensi all’alto ed aulico linguaggio del Paradiso), mostrando come preferibile la lingua di Petrarca e Boccaccio, che rimase nell’uso comune letterario fino a quando i fratelli Verri, nel 1764, non rinunciarono pubblicamente davanti al notaio all’eredità obsoleta del vocabolario della Crusca che ancora si rifaceva a quei modelli di scrittura trecenteschi. Modelli dai quali, come è chiaro, Dante era escluso, nonostante, come ho già detto, fosse un fiero sostenitore del volgare, tanto da elogiarlo in un trattato che, da progetto, doveva essere composto da quattro libri, solo uno e mezzo del quale portato a conclusione, in latino (De vulgari eloquentia). Per la seconda sezione, invece, del discorso sull’influenza che Dante ha avuto sui letterati di altre Nazioni, basta citare l’ispirazione che John Milton trasse dall’Inferno dantesco per creare alcune delle immagini del suo capolavoro Paradise Lost, alla traduzione in inglese del 1785 di H. Boyd, o l’amore spassionato dei romantici inglesi (Coleridge, Wordsworth, Byron e Shelley in poesia e, in pittura, come già detto, Blake), o l’influenza nella filosofia idealista di Hegel e Schelling grazie alla pubblicazione di un articolo di Schlegel nel 1791 che avviò un processo di rivalutazione e traduzione della Commedia in Germania, o ancora l’attrazione che ebbero nei confronti di Dante T.S. Eliot, H. Miller ed E. Pound, fino ai Nove saggi danteschi di J.L. Borges e al romanzo Inferno di D. Brown.
Ma di non sola lingua ci parla Dante, tanto che, nonostante un viaggio intero per salvarsi l’anima tra i tre Regni ultraterreni, non riuscì a scampare al potere dell’Indice dei libri proibiti. No, non sto parlando della Commedia, ma del De Monarchia, trattato politico che quasi mi azzarderei a definire rivoluzionario quanto poi, anche se sotto certi altri aspetti, lo sarà il Principe di Niccolò Machiavelli. Come non ricordare, infatti, l’idea dei Due Soli, papato ed impero, che tanto ritornano anche nella Commedia, nei canti politici che Dante inserisce nel suo percorso, generalmente alla sesta tappa di ogni cantica, partendo dal suo piccolo (Firenze nell’Inferno), per poi parlare dell’Italia (Purgatorio, canto VI, vv. 76 – 151 “Ahi, serva Italia di dolore ostello…”) per concludere infine con l’impero nel Paradiso. L’interesse pratico che Dante aveva per la politica era giustificato proprio dalla sua intensa attività in questo ambito, tanto che ricoprì per anni il ruolo di pretore a Firenze. Nelle diatribe fiorentine Guelfi neri – Guelfi bianchi, Dante parteggiava per i secondi, che più che guelfi erano ghibellini “sotto copertura”, in una divisione esclusiva solo di Firenze. Questo suo schieramento gli valse, per colpa della salita al potere dei guelfi neri appoggiati dal papa mentre Dante si trovava fuori città per un’ambasceria, l’esilio citato in lungo e in largo sotto forma di “profezia” nella Commedia. Riassumendo, e senza aver analizzato comunque altre parti consistenti del pensiero politico dantesco, potremmo dire che il Sommo Poeta fu un uomo molto più moderno rispetto al “pensatore medio” della sua epoca. E allora i sodomiti all’Inferno? Beh, non c’è da stupirsi che lui, nel Trecento, abbia preso questa decisione, dato che tutt’oggi, AD 2021, la Chiesa resta ferma nelle sue posizioni contro una questione non metafisica ma di pura civiltà. Tant’è che, se si dice “pensare come nel medioevo”, un motivo ci sarà…
Come ho detto prima, Dante è stato “snobbato” dai letterati italiani per un certo periodo. La sua opera, nonostante ebbe una discreta fama, non godeva di certo della considerazione che ha oggi. Ci volle, come in altri Paesi, il Romanticismo per avere una riscoperta effettiva di Dante, anche se già con personaggi come l’Alfieri, Parini, Monti, Foscolo, il quale celebrava il Poeta come “padre degli esuli”, si ebbe una rivalutazione in positivo di questa figura, fino a Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze di Leopardi, ai quadri di Francesco Hayez ed alla tragedia Francesca da Rimini di Silvio Pellico. Abbiamo poi la Commedia intesa come microcosmo da F. de Sanctis (il quale non apprezzava, però, le digressioni teologiche dantesche), alla ricerca del simbolismo fatta da Pascoli, alle interpretazioni e riprese dei temi danteschi da parte di Montale, Ungaretti e Luzi, fino al Volo di Ulisse, capitolo undicesimo del capolavoro Se questo è un uomo di Primo Levi. Bisogna poi citare le varie traduzioni in dialetto della Commedia, a partire da una delle più note fatte da Carlo Porta.
Insomma, la Commedia definita Divina dal Boccaccio, nonostante le critiche, è riuscita ad imporsi come capolavoro quale evidentemente è, e la figura di Dante Alighieri spicca oggi come simbolo incontrastato della cultura italiana, al quale guardiamo con ammirazione per la sua somma capacità di usare questa nostra lingua (tanto che “plasmò” alcune parole per le sue opere, forse perché non gli veniva la rima), dal registro più basso e volgare fino ai cori angelici, descritti con una lingua sublime; per la dolcezza di alcune sue rime e per la ruvida petrosità di altre; per aver insomma reso grande uno dei Paesi che, nonostante la letteratura invidiabilmente immensa che abbiamo anche grazie a lui, oggi fa maggior uso di termini stranieri anche nelle situazioni più comuni pur conoscendo a malapena (e male) la propria lingua. A questo punto non mi resta che dire: VIVA DANTE! Altri 700 di questi anni.