Fonte: largine.it
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di Antonio Floridia – 21 novembre 2017
Con le assemblee dei scorsi giorni, si è avviato il percorso di costruzione di una lista unitaria della sinistra: una lista autonoma, che non entrerà in alcuna coalizione o alleanza elettorale insieme al Pd. Si entra ora in una fase molto delicata: quella in cui si costruisce l’offerta elettorale e i vari attori definiscono le proprie strategie, adattandosi alle nuove regole. Il primo dato da rilevare è che la presenza di questa nuova lista di sinistra cambia il quadro della competizione: è un dato politico che sta provocando non poche fibrillazioni, e le scosse non sono destinate ad esaurirsi tanto presto, man mano che si verrà sempre più chiarendo come questa lista non potrà essere bollata come l’ennesima reincarnazione di una sinistra residuale, minoritaria nello spirito e nei numeri.
Intanto, dalle parti del Pd, crescono le paure: come inutilmente segnalato da più parti nel mentre si approvava la riforma elettorale, questo sistema ibrido, un vero monstrum, si sta rivelando come un clamoroso esempio di autolesionismo politico. Dopo anni in cui il Pd, abbagliato dal 40% delle elezioni europee, ha teorizzato la propria autosufficienza e non ha costruito alcuna strategia coalizionale, si approva ora una legge che prevede le coalizioni, e in un modo tale da essere una vera e propria manna per il centrodestra! Improvvisamente, a due mesi dalle elezioni, il PD scopre che avrebbe bisogno di una parvenza, almeno, di alleanze: e inizia così un vorticoso giro di appelli, lamentazioni ed accorate riflessioni sulle “divisioni” della sinistra. Ma questi appelli ignorano una semplice e fondamentale domanda: ammesso che la sinistra (ma evidentemente il discorso riguarda MDP, in particolare) si acconci a fare questa coalizione, sarebbe davvero utile sul piano delle strategie elettorali, e soprattutto gli elettori capirebbero? Quali reali effetti ne deriverebbero?
Sui giornali, ma soprattutto nelle segrete stanze, è il momento delle “simulazioni” – esercizi interessanti e istruttivi, ma che spesso trascurano un dato politico: i voti del Pd e quelli, potenziali, di MDP non sono sommabili politicamente. Non si possono considerare gli elettori come dei soldatini da spostare su un virtuale campo di battaglia, sulla base dei desideri dei generali e dei colonnelli. Va dato atto a Paolo Mieli, nel suo editoriale sul Corsera di lunedì, di averlo compreso: alleanze prive di una vera convergenza politica farebbero scappare gli elettori, da una parte e dall’altra. Con un risultato solo in apparenza paradossale: una coalizione invocata come argine alla vittoria della destra o del M5S ridurrebbe, anziché ampliare, lo spazio elettorale del centrosinistra e della sinistra.
A destra, questo sistema elettorale aiuta a risolvere felicemente tutti i problemi politici che si profilavano fino a qualche mese fa: un sistema elettorale diverso, un proporzionale ragionevole, avrebbe impedito che si ricompattasse il centrodestra, favorendo forse un’evoluzione della stessa Forza Italia in direzione di una più marcata identità politica centrista e moderata, legata ai popolari europei, e distaccandola dalla destra sovranista e xenofoba. Tra gli effetti di questo geniale sistema elettorale, va nesso in conto anche questo bel risultato politico. Ora, per il centrodestra, è tutto molto più semplice: basta contrattare i candidati comuni nei collegi, ogni forza politica avrà il suo simbolo e insieme potranno massimizzare gli esiti del voto. Secondo una stima di Ipsos, con il 35% dei voti, il centrodestra potrebbe ottenere la metà circa dei 231 collegi elettorali.
Come detto, il Pd si trova ora nella condizione di dover affannosamente metter su una qualche coalizione: fallita la impossible mission del soldato Fassino, ora i giochi riguardano l’individuazione di una possibile “ala” destra (Casini e gli alfaniani) e di un’ala “sinistra”. Qui la confusione regna finora sovrana: una serie di sigle e di personaggi si agitano sulla scena, e varie ipotesi si susseguono: una lista “europeista”, una lista “neoulivista”, Campo Progressista, i socialisti di Nencini, i Verdi di Bonelli. La verità è che anche Pisapia si è cacciato in un cul de sac. Per capire queste convulsioni, va ricordata una clausola della legge elettorale, una delle invenzioni più aberranti: anche all’interno di una coalizione, la soglia per accedere alla ripartizione dei seggi proporzionali è fissata al 3%, ma se una lista si attesta tra l’1% e il 3% i suoi voti “contano” ugualmente ai fini dei seggi, che naturalmente vanno alle liste oltre-soglia. Insomma, un sistema escogitato per moltiplicare le lista-civetta, le liste “portatrici d’acqua”. Ma Giuliano Pisapia e Emma Bonino possono acconciarsi a svolgere questo ruolo? Pisapia, in particolare, sa bene che il suo “Campo”, da solo, resta ampiamente sotto la soglia, e quindi vorrebbe con sé qualche altro alleato: quello più consistente potrebbero essere proprio i radicali, se Emma Bonino decidesse di spendersi apertamente e in prima persona. Ma la Bonino è ricercata anche da altri frammenti di questa galassia: e nelle sue corde suona molto più credibile una lista autonoma dei radicali, con un forte profilo europeista. Da qui un dilemma non da poco: questa lista di “volenterosi di sinistra” alleati del PD, che profilo politico possono assumere, per acquisire un minimo di credibilità politica? Non rischiano di metter su un pout-pourri indigeribile e indecifrabile?
La lista di sinistra, a questo punto, può concentrarci nella costruzione della propria strategia elettorale. Sarà molto importante la definizione delle candidature e la loro dislocazione territoriale. In particolare, sarebbe un errore sottovalutare il ruolo delle candidature nei collegi uninominali, anche se è difficile pensare di poterne conquistare (ma non si sa mai…): è importante che queste candidature siano forti, rappresentative e unificanti, in grado di far da “traino” anche al voto della lista. Anche qui va ricordata una clausola della legge elettorale: i voti espressi esclusivamente ai candidati dei collegi sono riassegnati anche alle liste che li sostengono. Sono possibili pluri-candidature (in un collegio e in cinque collegi plurinominali proporzionali), ma è bene non abusare di questa possibilità: ovviamente, più candidati ci sono in gara, più ampia la mobilitazione, maggiore la possibilità di raggiungere gli elettori. Sarà anche importante l’apertura di queste liste, cercando di riprodurre la strategia del Pci, che molto puntava sugli “indipendenti di sinistra”: un modo anche per respingere un argomento che sarà usato, ed è già usato, anche “da sinistra”, ossia che questa lista sia un mero cartello elettorale di “partiti”.
Infine, qualche prima osservazione sulla campagna elettorale: è certo che sarà fortemente caratterizzata dal richiamo al voto cosiddetto “utile” e che il Pd, in particolare, adotterà questa parola d’ordine. Le domande da porci sono due: è efficace o insidiosa questa strategia? Come rispondere? Il richiamo al “voto utile” potrebbe rivelarsi di assai dubbia efficacia, poiché presuppone un elettore molto raffinato politicamente e super-informato; ma, come mostra un’ampia mole di studi sui comportamenti elettorali, gli elettori in genere adottano quelle che vengono definite “scorciatoie cognitive” nella determinazione della scelta di voto. Il che vuol dire, concretamente, che l’elettore si affiderà essenzialmente a meccanismi elementari di identificazione politica, in particolare il simbolo del partito. E questo sarà tanto più probabile che avvenga, trovandosi gli elettori di fronte ad un nuovo sistema elettorale, mai prima d’ora sperimentato. Tuttavia, è bene prepararsi a contrastare la campagna sul “voto utile”: e qui la risposta è semplice:
a) non è vero che la lista di sinistra “faccia perdere” il centrosinistra: tanti elettori non avrebbero votato mai e poi mai per il Pd o per una lista alleata del PD! Avrebbero preferito astenersi o votare ilM5S. Il voto alla sinistra è un “voto utile” perché vuole rappresentare idee e interessi diversi o lontani dal Pd: il consenso che otterrà contribuisce ad abbassare le percentuali e i seggi della destra. E’ questo il vero modo per impedire che la destra vinca: portare a votare elettori che altrimenti rischiano di restare a casa.
b) Questo sistema elettorale così maldestro non garantisce alcun “vincitore” la sera delle elezioni: si vedrà dopo le elezioni se ci sono le condizioni per una maggioranza. Ma proprio per questo è necessario che ci sia una forte sinistra in Parlamento. La propaganda del PD punterà sull’argomento della “sinistra del 3%”, irrilevante e minoritaria. La lista di sinistra deve rispondere con toni e atteggiamenti unitari: rivolgersi in modo aperto agli elettori che non condividono più la linea del PD e che hanno oramai constatato l’”inutilità” del voto al M5S.
Insomma, i prossimi mesi saranno molto impegnativi; ma anche molto eccitanti. Molti recenti esempi, da ultimo la Gran Bretagna, mostrano come i due mesi di campagna elettorale “contano”. Siamo in una fase di grande volatilità elettorale. E la nuova lista potrebbe essere la vera, grande novità della politica italiana.