Varoufakis: unire le forze, l’Europa si sta disintegrando

per Gian Franco Ferraris
Url fonte: https://diem25.org/uniamo-le-forze-una-risposta-a-stefano-fassina/

di Yanis Varoufakis, 14 settembre 2016
traduzione di Fabio Masetti e Giulia Priora

Uniamo le forze! Una risposta a Stefano Fassina

Stefano Fassina sottolinea che nel mio articolo ‘La sinistra Europea dopo la Brexit’ non discuto la sua opzione preferita per gli stati membri dell’Eurozona: restare nell’Unione Europea ma abbandonare l’euro. Ovviamente la ragione per cui il mio articolo non discuteva questa ipotesi è che si concentrava sulla Brexit per rivolgersi ai ”separazionisti’ come Tariq Ali e Stathis Kouvelakis, che sostengono da un punto di vista di sinistra l’abbandono della UE nel suo insieme – ad esempio con azioni come la Brexit. Ma sono comunque più che felice di commentare l’opzione preferita di Stefano (Nell’UE, Fuori dall’Euro).

Un divorzio amichevole per l’Eurozona?

Stefano invoca Joe Stiglitz che, nel suo recente libro sull’euro, raccomanda un ‘divorzio amichevole’ che porterebbe alla creazione di almeno due nuove valute (una per i paesi in deficit e una per i paesi in avanzo). Dal momento che ho recentemente discusso con Joe Stiglitz questo tema è forse utile condividere il nocciolo della nostra discussione anche con Stefano e con i nostri lettori.

Nella mia mail a Joe, ho espresso scetticismo riguardo al fatto che un ‘divorzio amichevole’ sia effettivamente possibile. Nel momento in cui diventasse noto che, che un ‘divorzio’ fosse oggetto di discussione, una valanga di denaro abbandonerebbe le banche dei Paesi destinati alla svalutazione, in direzione di Francoforte. A questo punto, le banche degli Stati membri in deficit collasserebbero (non appena esaurite le garanzie accettabili dalla Banca Centrale Europea) e gli Stati membri imporrebbero controlli più stringenti sulla moneta e sui capitali – per finire con i poliziotti agli aeroporti che controllano valige e/o con severi limiti sui prelievi di contante. Questo implicherebbe la fine non solo dell’Unione monetaria ma anche del (già malconcio) Trattato di Schengen.

Nel frattempo, poiché i depositi bancari sarebbero ridenominati (in un’altra valuta ndr), ingenti assets che appartengono alla Bundesbank e alle banche centrali dei Paesi membri in avanzo (ed es. l’Olanda) e che sono nella disponibilità dei Paesi in deficit, svanirebbero, causando un rigurgito di indignazione in Germania e in Olanda. In queste circostanze è praticamente certo che il dissolvimento dell’Eurozona sarebbe tutto tranne che amichevole.

Joe Stiglitz mi ha risposto così: “Hai assolutamente ragione poiché nel momento in cui qualsiasi Paese contempli l’uscita, controlli sui capitali dovrebbero essere imposti… La corsa all’uscita avverrebbe presumibilmente prima – quando un partito che chiede un referendum sembri poter vincere. Così le dure decisioni per imporre controlli sui capitali sembrano ironicamente dover essere essere prese e affrontate da un governo a favore dell’Euro. Se si tardasse fino al momento delle elezioni, il Paese potrebbe trovarsi già nel caos. Lo scenario dipinto sopra per l’Europa non è carino.

In conclusione, è una fantasia che l’UE possa supervisionare una ‘disintegrazione amichevole’ dell’Eurozona. È davvero difficile immaginare che l’UE sopravviva ad un crollo dell’Eurozona.

La strategia della Disobbedienza Costruttiva di DiEM25 è un mero bluff per un Paese dell’Eurozona?

Stefano Fassina scrive: “Mentre la strategia dell’ostinata disobbedienza” può essere efficace in un Paese dell’UE che ancora controlla la sua moneta e la sua banca centrale, è sfortunatamente un bluff per un Paese dell’Eurozona che patisce un severo stress economico, sociale e finanziario, come il caso della Grecia ha drammaticamente reso chiaro”.

Quello che la disfatta della Primavera di Atene ha reso chiaro non è stato che io stavo bluffando. Dimostra solamente che la sconfitta di un governo sotto stress è ineluttabile se diviso. Parlando come ministro delle finanze di quell’epoca, posso assicurare ai lettori e a Stefano che io non stavo bluffando. Si ha un bluff quando si finge di avere delle carte o delle preferenze che non si hanno o che si farebbe qualcosa che non si intende fare. Quando affermavo che non avrei firmato il Terzo Accordo per il bail-out, io intendevo esattamente quello che ho detto, parola per parola. Perché? Perché avevo elencato le possibili conseguenze nel seguente ordine: (1) un accordo sostenibile con la Troika, (2) essere espulsi dall’Eurozona, (3) firmare un terzo accordo per il bail-out. Mentre l’opzione 1 era di gran lunga la preferita, e la Grexit sarebbe stata pesantemente costosa per la Grecia e per il resto d’Europa, il terzo accordo di bail-out era il peggiore risultato per tutti. In breve, non c’è stato bluff quando ho dichiarato che non avrei firmato alcun accordo che non fosse basato su (i) un sostanziale alleggerimento del debito, (ii) un obiettivo dell’avanzo primario non superiore all’ 1,5% e (iii) profonde riforme che contrastassero gli oligarchi (invece dei cittadini più deboli).

Se il mio governo fosse stato unito su questo, nella nostra valutazione originale, non saremmo stati costretti a cedere e, come risultato, o la Troika avrebbe ceduto o avremmo dovuto creare la nostra propria liquidità denominata in euro (che avrebbe avuto naturalmente una parità con le banconote in Euro, così come sembra essere probabile possa avvenire oggi, sotto i controlli imposti dalla Banca Centrale Europea). A questo punto Bruxelles, Francoforte e Berlino avrebbero dovuto fare la loro scelta: fare un passo indietro dal ciglio o buttarci fuori dall’Euro violando molte delle regole stesse dell’Unione Europea. Ho pochi dubbi sul fatto che avrebbero optato per la prima (poiché la Grexit sarebbe costata all’Eurozona un trilione di Euro circa).

Stefano chiede correttamente: “Quale governo nazionale potrebbe negoziare significative violazioni delle regole senza una alternativa praticabile sul tavolo?” Questo è il motivo per cui, molto prima di accettare l’incarico (come ministro, ndr) ho iniziato a lavorare a due piani: primo, un piano di deterrenza attraverso il quale rendere incerta la Banca Centrale prima che chiudesse le nostre banche. Secondo, un piano X da attivare quando e se la Troika avesse deciso di espellerci dall’Eurozona. Tuttavia bisogna dire che l’idea che questi piani potessero diventare operativi prima della rottura è una fantasia tanto quanto quella di una disintegrazione ‘amichevole’ dell’Eurozona – vedi sopra. In poche parole, ogni tentativo di rendere operativi questi piani innescherebbe un’uscita istantanea dall’Eurozona – un’uscita che avverrebbe molto prima della possibilità che possano diventare operativi. Ciò significa che il costo nel breve termine di una rottura è destinato ad essere enorme. Ciononostante sarebbe un costo che la maggior parte delle persone in Grecia ci ha dato il mandato di trascurare con l’obiettivo di emanciparci dalla schiavitù del debito.

Falsa coscienza

Stefano fa una buona osservazione quando ci ricorda che l’Euro non è il beniamino dei grandi affaristi, ma gode di un ampio sostegno da più parti: dai sindacati tedeschi, che sono stati cooptati nel modello mercantilista del Paese, è benvisto dalla classe media sia del Nord che del Sud, ecc…

E’ così, per le ragioni che ho descritto nel mio ultimo libro “I deboli soffrono per quel che devono?”. Questo è, almeno a me sembra, un’ottima ragione per evitare di trasformare la disintegrazione dell’Eurozona in un nostro obiettivo (dal momento che un divorzio amichevole è impossibile e gli europei questo lo capiscono bene) e piuttosto per orientare il nostro sguardo ad una strategia di proposte di politiche sensibili che convincano anche quelli che restano fedeli all’Euro che la loro è una buona idea. Se poi la Troika decidesse nel suo consueto stile autoritario e violento di minacciare i governi eletti democraticamente con la chiusura di banche e strette di liquidità, anche quelli che erano a favore dell’Euro scenderebbero per le strade per difendere i loro governi. Non è quello che è successo in Grecia il 5 luglio 2015?

Conclusioni

Stefano Fassina conclude richiamando all’unità i progressisti europei: “Il punto è unire le forze”, scrive. Qusta è la raison d’être di DiEM25 – unire le forze, superando i confini nazionali e di partito.

Come Stefano, anch’io penso che l’Eurozona si stia disintegrando, probabilmente in una maniera che porterà alla fine dell’Unione Europea. Tuttavia, a differenza di Stefano, io non vedo alcuna ragione perché dovremmo adottare la disintegrazione dell’Eurozona come nostro obiettivo. Considero invece questa scelta il più grande errore politico. Il nostro sforzo comune, come suggerisce DiEM25, è costruire un’agenda progressiva per l’Europa, che ha come punti:

  • A livello nazionale, governi progressisti che offrano ai loro popoli un piano A – un colpo d’occhio di come a ordinamenti vigenti, la speranza possa tornare nei loro paese. Allo stesso tempi, nei paesi dell’Eurozona, dovrebbero avere un Piano di Deterrenza da attuarsi quando la Banca Centrale Europea e la troika rispondono alle Politiche progressiste del Piano A con minacce di chiusura delle banche e tagli di liquidità ecc.. E, in ultimo dovrebbero avere un terzo piano (io lo chiamo piano X) per quando e se il ‘centro’ ingengerizza la loro espulsione dal’Eurozona.
  • Ad un livello pan-europeo dobbiamo offrire agli Europei un piano A o un nuovo New Deal Europeo, come lo chiamiamo in DiEM25, un colpo d’occhio di come, in poche settimane, con i Trattati vigenti, la speranza, lo sviluppo e la democrazia possono tornare in Europa. Questo piano A deve includere un progetto per gestire (nel migliore dei modi e il più regolarmente possibile) la dolorosa disintegrazione dell’Eurozona e dell’Unione Europea.

A questo scopo, un comitato di esperti di DiEM25 ha già iniziato a lavorare per produrre politiche complete sia a livello nazionale che pan-europeo. Allo stesso tempo, i membri di DiEM25 porteranno avanti un lavoro simile dal basso. Le problematiche investite sono le valute, il sistema bancario, il debito pubblico, gli investimenti pubblici, il contrasto alla povertà. L’impegno è quello di produrre un quadro delle politiche per il New Deal Europeo da mettere in agenda per l’inizio di febbraio 2017 ed essere discusso in un evento di 2 giorni a Parigi nell’ultima settimana di questo mese, prima che la campagna per le elezioni presidenziali in Francia cominci ufficialmente.

C’è poco tempo da perdere, l’Europa si sta disintegrando senza alcun piano nè per impedire la sua dissoluzione nè per gestirla. DiEM25 invita tutti i progressisti europei ad unirsi nel progetto collettivo per sviluppare questo piano – ilquadro delle politiche per il New Deal Europeo, nel contesto di una più ampia agenda progressista per l’Europa.

La lettera di Fassina del 13 settembre 2016

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Stefano Fassina was kind enough to respond to my article entitled Europe’s Left After Brexit. His reply follows.


On Sept 6, Yanis Varoufakis offered an interesting review here of the progressive positions addressing EU problems. The first one, he underlines with a clear cultural break, a “standard variety euro-reformism” — practised typically by social democrats — calls for “more democracy”, “more Europe”, and “reformed institutions”. But this option is founded on a fallacy: the European Union has never suffered from a democratic deficit that could be rebalanced with more democracy and a few reforms. The second one identifies “a segment of the Europe Left [that is] now calling for a break with the EU”. He improperly, as explained below, branded this call “Lexit” and associate it to the nationalistic trends now growing. Finally, the third one, described in the manifesto of “Diem25”, the movement he founded and leads, is characterised as “wilful disobedience” to the EU treaties and official pacts with the aim of making EU institutions blink.

His review is incomplete. On the Left, actually on a side larger than the Left as it includes more and more mainstream economists and pragmatic people, there is another position. A position that is difficult to disqualify as prone to and involuntarily in favour of xenophobic and nationalistic parties and movements because it does not want to break with the EU. Actually, it’s quite the opposite. It remains coherent with the internationalist stance of progressive cultures. According to this position, an “amicable divorce” of the euro zone is the necessary condition for saving the EU. This is, considering the most recent authoritative example, the position of Joseph Stiglitz in a book just published: “The Euro: How a Common Currency Threatens the Future of Europe”. It is the position of a lot of people, including myself, who signed the Lexit network appeal “Democracy and Popular Sovereignty Instead of Neoliberal Integration and a Failed Euro-System” (www.lexit-network.org) circulated last June. Finally, it’s the position I clearly stated in the article that he mentions: “the reaffirmation of democratic sovereignty at the national level, to the extent possible in unregulated global markets, to relegitimize and relaunch European cooperation” (click here).

Varoufakis’ analysis forgets the euro-Lexit position because it doesn’t distinguish between the EU and the euro zone. But this is the point. While the strategy of “wilful disobedience”, very difficult, can be effective in an EU country still controlling its currency and its national central bank, it’s unfortunately a bluff for a euro zone country under severe economic, social and financial stress, as the Greek case made dramatically clear. What national government could negotiate relevant violations of the rules without a workable alternative on the table? What national government could address its people, even as desperate as the Greeks were, and receive support for a leap in the dark? Even assuming a euro zone government “brave” enough to breach the rule, who would gain from the chaos generated by EU institutions having their bluff called? The Left? Wouldn’t this be the best context for regressive movements? In Varoufakis’ proposal, it’s simple: a euro country breaches the rules and if the EU institutions don’t blink they take responsibility for the events that ensue. Unfortunately, the story doesn’t end there.

In Varoufakis’ analysis, the EU and the euro zone’s economic and social order is merely the result of undemocratic choices by “big business and international finance”. Unfortunately, it’s more complicated than that. Unfortunately, European peoples are not only the Erasmus generation. Unfortunately, some of the pillars of the euro zone order have broad support among real people, working families, small businesses, and the middle class in very important countries. For instance, in Germany, the great majority of people don’t agree with the changes required to the ECB statute to let it be a lender of last resort. In Germany, even the progressive trade unions representing the manufacturing working class don’t want to leave the usual mercantilist route, the most destructive factor for the single currency.

My point is not to dismiss “wilful disobedience”. My point is to join forces. As we share progressive values and the assessment of the unsustainability of the euro zone, my point is to define a political strategy combining disobedience and a plan for a cooperative dis-union of the single currency, not the EU. It’s less improbable that disobedience leads the “villain” to blink or to chaos if there is a cooperative “Plan B” prepared by transnational initiatives. An immediate opportunity to discuss the combined political strategy could be the meeting organised by the Linke in Berlin on Sept 23rd.

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fassin

As Yanis correctly quoted, Marx and Engels wrote “Workers of the world, unite,” not “Workers of the world, unite your currencies.”

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