Vale anche sull’immigrazione «Quando il dito indica la Luna, lo stolto guarda il dito»

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marco Tarquinio
Fonte: Avvenire

di Marco Tarquinio – 12 giugno 2018

«Quando il dito indica la Luna, lo stolto guarda il dito», recita un antico adagio, molto amato da tutti coloro che mezzo secolo fa sognarono e non riuscirono a fare un mondo diverso e più giusto. Ma è sempre stolto guardare il dito? Viene da chiederselo nei giorni dell’Aquarius, mentre 629 esseri umani di ogni età e di identica debolezza, sono sospesi come in croce sopra il mare tra la Libia che li ha violentati, l’Italia che li ha salvati (coi suoi marinai) e respinti (coi suoi ministri) e la Spagna che ha offerto il miraggio del porto di Valencia come conclusione di una lunga e terribile odissea per terra e per mare.

Viene da chiedersi se è davvero stolto guardare – interrogandosi su di esso senza reticenze – il dito accusatore di Matteo Salvini contro l’Europa «che lascia sola l’Italia». Ovvero se è sbagliato farsi tutte le domande che non si possono più tacere sull’ingiustizia di una lunga serie di “no” di quei Paesi europei – alcuni, per paradosso, con governi considerati specialmente amici dal neo ministro dell’Interno – che a tutt’oggi tengono alzati “muri” reali o metaforici e rifiutano di collaborare con Roma nell’accoglienza «per quote» di quanti approdano nel nostro territorio e chiedono asilo e protezione da persecuzioni e guerre o solo un domani senza fame. Viene da chiedersi: è da stolti rendersi conto che quel dito alzato assieme alla «voce» è diventato subito e ostentatamente due dita, a mostrare idealmente e ripetutamente il segno della vittoria in un’annunciatissima, ma non per questo meno aspra e umanamente dolorosa, campagna dei «porti chiusi» in faccia agli scampati alla violenza e alla morte. Uomini, donne, ragazzi e bambini raccolti in buona parte dalla nostra Guardia costiera e dalla nostra Marina Militare e affidati alla barca arancione di Sos Mediterranée, una delle generose Organizzazioni non governative, le Ong, che una propaganda assurda – e riaccesa anche nelle ultime ore – cerca ostinatamente di schiacciare sotto la plumbea etichetta di «famigerate». Viene da chiedersi se è senza senso ragionare sul fatto che, in contemporanea ai proclami e ai “niet”, quel dito di Salvini è diventato pure la mano aperta di un via libera senza fanfare e senza toni di battaglia per almeno altre 937 persone, tutti salvati e non sommersi provenienti dal Nordafrica accolti secondo la legge del mare su nostre navi e ancora una volta avviati a prendere terra nei nostri porti.

«Vittoria. 629 immigrati a bordo della nave Aquarius in direzione Spagna. Primo obiettivo raggiunto», rivendica tuttavia il gran capo leghista che ha agito da ministro della Repubblica sebbene abbia parlato agli italiani di ciò che stava avvenendo dalla milanese via Bellerio, cioè dalla sede della Lega, tra bandiere di parte, e non da una Prefettura e all’ombra del tricolore come un uomo delle Istituzioni dovrebbe… Stiamo ai duri fatti: non c’è dubbio che il problema del governo delle migrazioni nel Mediterraneo è posto con rinnovata durezza, in faccia all’Europa e al mondo. Ma non c’è neppure dubbio che non è questo l’unico e più impellente problema. Che ne sarà dei 629 esseri umani dell’Aquarius? Bloccati su una nave che si muove a 2 nodi all’ora (cioè è quasi ferma), lontani dalla Spagna, con pochissima acqua e da ieri sera senza più scorte alimentari? Perché, e in forza di quale interesse, queste persone sono state ridotte a pedine numeriche in una partita che li supera e non li considera? Chi l’ha deciso che possono essere confinate tutte e 629 nel ruolo di vittime di «danni collaterali» in un bombardamento di parole e gesti solo apparentemente incruento? E perché proprio, e solo, loro vengono tenuti in ostaggio di un gioco di potenza e di prepotenza? Nel nome di quale giustizia?

Ma anche, e non meno angosciosamente, bisogna chiedersi perché con questi 629 esseri umani è stato preso politicamente in ostaggio il buon nome di un Paese, il nostro, che non ha mai mancato e che non manca neppure in queste ore drammatiche di fare tutto ciò che deve per onorare le leggi internazionali che ha contribuito a formare e che ha fatto proprie e prima ancora per essere fedele alla propria civiltà. Mi correggo: quasi tuttociò che deve, tutto tranne ciò che è legalmente, civilmente e cristianamente dovuto anche alle persone confinate in mare sull’Aquarius. Conosciamo bene gli italiani, uomini e le donne, militari e poliziotti, volontari in mare e a terra, impegnati in prima linea sulla frontiera Sud dell’Europa e accanto alle vittime della “guerra delle migrazioni” sregolate e clandestinizzate da norme ottuse. Li conosciamo abbastanza da sapere che tutte queste domande sono anche loro e che la loro sofferenza, in questo momento, è grande. Tenerla nascosta dietro una cortina di parole senza verità e senza umanità è un misfatto.

P.S. Faccio fatica a scrivere alcune parole finali dopo aver preso atto della replica del ministro Salvini al cardinale Gianfranco Ravasi che aveva ricordato a tutti la parola di Gesù (Vangelo di Matteo, capitolo 25, versetto 43) che ne precede altre che danno i brividi e accendono la luce che conta sulle nostre vite: «Ero straniero e non mi avete accolto». Ha rivendicato di aver fatto «qualcosa di bello», il ministro che ha inchiodato 629 persone sulla tolda di una nave, dicendosi convinto di agire in coerenza con l’insegnamento di Cristo. Il giudizio è solo di Dio. Ma l’indignazione, per quel che vale, è grande.

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