Usa, Ponte e sovranisti: le ultime sfide di Matteo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Flavia Perina
Fonte: La stampa

inossidabile fiducia di Matteo Salvini nella possibilità di un cambio di vento che lo riporti in vetta, è un esercizio di ottimismo con pochi precedenti nella politica italiana. Qualsiasi leader precipitato in cinque anni dal 34% a poco più dell’8 avrebbe avuto almeno un dubbio sulla strategia generale o sull’efficacia della sua persona: lui no, lui procede come un treno sul binario che ha scelto, indifferente a ogni perplessità dei suoi. Ieri ha incontrato Mike Pompeo, il vecchio segretario di stato di Donald Trump, già immaginandosi pupillo di una futura rivincita del Maga.

Alla Camera ha difeso il progetto del Ponte, del tutto disinteressato alle critiche nordiste sui soldi buttati e l’eccesso di faraonismo dell’opera. Al Senato, ha mandato i suoi a riproporre in aula l’emendamento sul terzo mandato dei Governatori già bocciato in Commissione da FdI. Non ha smentito l’imminente convocazione di un altro summit sovranista a Roma, con i filo-putiniani d’Europa riuniti per lanciare la campagna in vista del voto di giugno.

Insomma, tirare dritto è lo slogan del momento per un Capitano convinto che, prima o poi, la sua combinazione vincente uscirà di nuovo.

L’approfondita analisi di Alessandra Ghisleri sui flussi elettorali interni al centrodestra, con le tre onde che negli ultimi dieci anni hanno spostato milioni di consensi tra un partner e l’altro dell’alleanza, contiene in fondo una rassicurazione. L’elettorato non scappa mai all’esterno del recinto inventato da Silvio Berlusconi, ma reagisce alle cicliche delusioni che accompagnano l’azione dei governi trasferendosi in massa da un simbolo all’altro. Sono le “montagne russe” di cui ha parlato Luca Zaia nei commenti a caldo sul voto abruzzese, quel su e giù al quale la Lega è abituata visto l’andamento ondivago dei suoi consensi nel dopo-Bossi. Dopo ogni discesa, una risalita. Ci sarà pure stavolta: questa la scommessa.

L’evento magico in cui confida il salvinismo non va cercato nelle minuzie delle amministrative italiane, e nemmeno nella sfida europea tout court. L’epifania, il nuovo punto zero della speranza, è la cavalcata di Donald Trump verso le presidenziali e la nuova ventata del sovranismo americano che presto tornerà a spirare in Occidente. Salvini ha già prenotato un posto sulla prima linea dell’ordalia. Sarà lui “l’amico italiano” di Donald e il punto di riferimento dell’elettorato che già tifa per la rivincita del Cavaliere Arancione. Potrà esserlo senza i limiti e le prudenze che i rapporti con l’amministrazione Biden impongono a Giorgia Meloni. Senza le diffidenze ideologiche che frenano il mondo moderato di Forza Italia. Senza l’impaccio del dialogo con il Pd che obbliga Giuseppe Conte, il “Giuseppi” che a suo tempo si fregiò di rapporti privilegiati col trumpismo, a temperare gli entusiasmi di una volta.

Anche cinque anni fa, ai tempi del record salviniano del 34%, fu la sfida di Trump a gonfiare le vele della Lega tantoché, nella foto di ringraziamento agli elettori, il Capitano mise ben in evidenza sullo scaffale alle sue spalle il berretto con il motto trumpiano “Make America Great Again”. Poi Donald perse di misura, e tuttavia la sua rincorsa, quel ribollire del mondo occidentale intorno ai temi del trumpismo – la guerra all’immigrazione e la flat tax soprattutto – generarono contenuti-fotocopia di grandissimo successo per tutte le destre d’Europa. Se negli ultimi tre mesi Salvini è stato il solo leader nazionale ad applaudire sui social ogni singola sfida delle Primarie vinta da Trump è perché confida in un bis di quella fantastica stagione.

Quanto ai mugugni nordisti, ai critici che giudicano fallita l’operazione Lega Nazionale, costituiscono al momento un limitato impiccio. Quota Dieci, che poi è l’aspirazione delle prossime Europee, è praticamente il tetto massimo toccato dal vecchio partito pre-salviniano, che concluse la sua avventura nel 2013 con un risibile 4 per cento. Chi dice “torniamo al Nord” è in grado di garantire che non sia una ritirata verso quell’abisso?

Avanti tutta, allora. Anche nella consapevolezza che la conflittualità interna è stata sempre la cifra del centrodestra, qualcosa a cui gli elettori sono abituati e che non trovano sconveniente. La partita sui Governatori servirà a dimostrare agli elettori del Veneto che Meloni è una finta amica e lavora per decapitare un Governatore amatissimo. Il Ponte terrà in piedi l’idea che la Lega sia il solo argine al “partito del No”. Gli incontri italiani con i sovranisti francesi, tedeschi, polacchi, aiuteranno a rilanciare la polemica contro l’Europa matrigna dei burocrati. Al resto, si spera, ci penserà il rimbalzo italiano della sfida di Trump. Questo il calcolo del Capitano o forse il suo azzardo, compiuto un po’ per convinzione un po’ per obbligo: la Lega “di Salvini” è fatta così, agisce in questo modo. Per imboccare una strada diversa dovrebbe diventare giocoforza la Lega di qualcun altro.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.