da www.lettera43.it
Più spesa pubblica, dice Krugman. Diminuzione del debito sostiene la Bri. Ma il vero nodo è l’occupazione.
La lettura che negli Stati Uniti si dà dell’economia vede come mai in passato valutazioni divergenti. Riflette la profonda spaccatura politica e sociale del Paese, senza precedenti storici nemmeno dopo la Guerra civile, secondo Nolan McCarthy di Princeton e altri due studiosi di comportamenti elettorali che con lui hanno valutato 150 anni di politica americana.
L’elezione del 2012 è stata la più divisiva di tutte, ben più di quelle degli Anni 80, ai tempi di Ronald Reagan. I democratici dominano nelle contee più popolose, in genere negli Stati più popolosi, e quindi riescono a eleggere il presidente, e i repubblicani altrove, e quindi riescono a controllare la Camera. In mezzo il dialogo è scarso.
L’AMERICA NON È L’EUROPA. In economia, c’è chi sostiene che le cose vanno bene, o quasi bene: non c’è disoccupazione strutturale come in Europa, c’è più crescita che in Europa, meno inflazione che nelle economie emergenti, gli investitori di Wall Street hanno fiducia e il Dow Jones vola.
Si potrebbero presto, alla prossima crisi, rimpiangere i tempi attuali destinati a entrare nella categoria dei good old days. Non è la lettura dominante, ma arriva alle pagine e agli schermi della grande informazione come, ultimo esempio, indica un articolo di Eugene Robinson, columnist del Washington Post.
IL RISCHIO PANTANO. C’è chi, sempre sulla grande stampa, dà voce alla visione opposta, non solo repubblicana, secondo cui invece l’economia è impantanata e, come echeggia Caroline Baum su Bloomberg, «dopo cinque anni di tassi zero, dopo circa 3 mila miliardi di acquisti di titoli da parte della Federal reserve, l’economia americana non riesce a risollevarsi».
Chi la pensa come Baum, ed è la maggioranza, vede un’economia che ha dimostrato resistenza ma non riesce a risollevarsi davvero. E una finanza, soprattutto, alimentata sempre dalle bombole d’ossigeno della Fed, causa prima del boom di Wall Street. Il tasso ufficiale di disoccupazione al 7,3% è secondo questi una visione ottimistica e la realtà, tra sottoccupati e braccia uscite dal mercato, è di quattro cinque punti peggiore.
LA PIAGA DELLA DISOCCUPAZIONE. La mancanza di lavoro è una rinuncia del futuro, in America come in Europa. Ne deriva che governi e comunità dovrebbero fare di tutto per abbattere il tasso di disoccupazione, abnorme e senza precedenti recenti in vari Paesi europei fra cui l’Italia. E sopra la media storica anche negli Stati Uniti, dove tornare ai livelli di impiego dell’inizio 2007 vorrebbe dire poter creare 8 milioni di nuovi posti di lavoro.
«L’ECONOMIA MUTILATA». L’economista e Nobel Paul Krugman ha fatto della sua column bisettimanale sul New York Times un megafono per incitare a una lotta più incisiva contro l’insufficiente lavoro. Se non si agisce, l’economia resterà mutilata, e alla fine per sempre. «A mutilated Economy», è il titolo di uno dei suoi ultimi interventi.
Krugman invoca per scongiurare questo più spesa pubblica e più debito.
Gli Stati Uniti avrebbero alcuni margini di ulteriore indebitamento, non enormi, e non tanto perché il loro debito non è alto (il vero debito pubblico, federale statale e locale, se conteggiato in pieno, è superiore sul Pil a quello italiano), ma per una serie di fattori: le dimensioni, la completezza e le eccellenze tecnologiche del loro sistema produttivo, e soprattutto il fatto che emettono la valuta internazionale di riferimento in quanto pilastro principale del sistema economico mondiale, e si indebitano nella loro valuta.
L’Italia, pur con i suoi punti di forza, è un’altra storia.
LA VERSIONE DELLA BRI. Ma c’è una scuola a cui avviso il debito, oltre certi livelli, non è la soluzione ma la causa dei problemi. La Bri, o Banca dei regolamenti di Basilea, nota in gergo come la Banca centrale delle banche centrali, è da tempo il più autorevole sostenitore di questa tesi, ribadita nel suo ultimo Annual Report del giugno scorso e a più riprese dal suo direttore generale Jaime Caruana e dal responsabile dell’ufficio ricerche, Claudio Borio.
La tesi è che le politiche monetarie accomodanti, il denaro a costo bassissimo, senza precedenti storici, possono servire a guadagnare tempo, ma non a risolvere i problemi. Quando il problema è l’eccesso di debito, la risposta non può essere la creazione di nuovo debito. Il debito va ridotto, se si vuole ridurre la disoccupazione. Il debito privato americano, vera causa del crack del 2007-2008, è diminuito, anche se lentamente, ma quello pubblico è esploso, sia pure (debito federale) in modo nettamente più contenuto (meno 37% sul debito 2012) nell’anno fiscale 2013.
Globalmente nelle economie avanzate, ha ricordato recentemente William White, ex capo economista della Bri, il debito pubblico e privato è oggi rispetto al Pil del 30% più alto che nel 2008, e la situazione è quindi altrettanto e più precaria.
LA CONTROMOSSA DELLA FED. Nonostante il parere contrario di Krugman e altri, anche gli Stati Uniti hanno imboccato quanto a spesa federale la strada indicata dalla Bri, anche se non lo proclamano. La Federal Reserve di Ben Bernanke non ancora, ma si prepara (a marzo?) a stringere leggermente i freni non attraverso un aumento dei tassi, non ancora, ma con un rallentamento del Qe, il quantitative easing, l’acquisto cioè di titoli del Tesoro e immobiliari sul mercato secondario, da molti mesi al ritmo di 85 miliardi ogni 30 giorni. È la Fed il maggiore acquirente del debito americano.
Ma allora, come va l’economia americana? Meglio di quella europea, al momento. Essenzialmente perché cresce di più e ha riserve energetiche (fracking) maggiori. Ma sempre molto precaria.
Siamo anche in America ben dentro il cono d’ombra sollevato dal 2008 e per molti aspetti tutt’altro che risolto, come non cessa di ricordare, fra gli altri, Martin Wolf. L’abnorme disoccupazione è il sintomo, e il dramma. Nle 2012 gli elettori hanno ridato fiducia a Barack Obama, più vicino e comprensibilmente all’ottimismo à la Robinson che allo scetticismo di altri.
Nel 2016, e già nelle Midterm del 2014, fra un anno, si esprimeranno di nuovo.
12 Novembre 2013