di Luigi Altea – 5 novembre 2017
Lilla è stato il cane preferito da mio padre. Chissà perché, un giorno, Lilla addentò al mento mia madre, alla quale era peraltro affezionatissimo. Un fatto inspiegabile, davvero misterioso. Nulla di grave, comunque: qualche goccia di sangue, un paio di punti di sutura e nessuna conseguenza deturpante.
Il primo a rendersi conto dell’assurdità del gesto fu proprio il cane, che mestamente andò ad accucciarsi nell’angolo più lontano del cortile, e lì decise di lasciarsi morire, rifiutando cibo e acqua. Uno sciopero della fame e della sete, contro se stesso. Uno sciopero canino, assai diverso dagli scioperi “ a staffetta” degli umani, durante i quali mentre uno mangia, l’altro inizia la digestione…
Tutti i tentativi per far riprendere a Lilla una vita normale si rivelarono inutili. Nella fase terminale, per evitargli altre sofferenze, mio padre lo portò in campagna e, con la morte nel cuore, lo abbatté con una fucilata.
Per quanto frughi nella memoria non trovo nessun uomo che si sia così severamente punito, dopo aver involontariamente recato un danno ad una persona amata.
Eppure, per descrivere chi, nel lavoro o nella vita, ha dato pessima prova di sé, utilizziamo l’orrenda espressione “è stato un cane, si è comportato da cane”, così offendendo l’animale e gratificando ingiustamente il cialtrone.
Potremmo benissimo dire, invece, “ è stato un giovanardi, un borghezio, si è comportato come una moretti, una picierno”…
Non cambierebbe il mondo, ma almeno saremmo più giusti e più aderenti alla realtà. Perché un cane non è mai fellone e non tradisce mai.
Il cane sa fare sempre il cane, in attesa che l’uomo impari a fare sempre l’uomo.