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di Luca Billi 02 febbraio 2015
Abbiamo un nuovo presidente della Repubblica. Vedremo come si comporterà nei prossimi anni e ciascuno di noi potrà dare un giudizio. Francamente adesso io non ho voglia di unirmi ai cori di giubilo che da tante – forse troppe – parti sento levarsi per l’esito di questa elezione. Soprattutto perché si è trattato di un’elezione anomala dal punto di vista costituzionale.
Sia gli antirenzisti – a cui io ovviamente mi iscrivo – sia i sostenitori di renzi – i servi, come quelli in buona fede – descrivono giustamente l’elezione di Sergio Mattarella come una vittoria del presidente-segretario. Credo però che tutti, anche i renzisti in buona fede, dovrebbero preoccuparsi di come si sono andate le cose. Anche perché questa volta il dominus è stato il vostro capo e, nonostante lui, è stata eletta una persona degna, ma avrebbe potuto essere un altro a dare le carte e quindi avremmo potuto ritrovarci al Quirinale una figuro di tutt’altra risma. Alcuni hanno già sottolineato che questa è stata la prima volta, nella storia repubblicana, che un presidente del consiglio ha sostanzialmente scelto il presidente della Repubblica, sovvertendo lo spirito della Costituzione del ’48.
Come ho già scritto molte volte, in questi ultimi anni, anche per responsabilità dirette del precedente presidente della Repubblica, la nostra Costituzione è stata travolta, se non nella lettera, nella prassi. Dal punto di vista formale la Costituzione ha subito una sola ferita, anche se molto grave, ossia l’introduzione dell’obbligatorietà del pareggio di bilancio, che ha rappresentato la resa della nostra classe politica – anche del centrosinistra – alla Troika e l’inizio del comissariamento di fatto del nostro paese da parte delle autorità finanziarie internazionali. C’è in corso una campagna per la raccolta delle firme per il referendum abrogativo, promossa anche – in maniera un po’ ipocrita, a questo punto – da chi quella riforma l’ha votata in parlamento, come la cosiddetta sinistra del pd, e speriamo, prima o poi, di poter abrogare questa norma, che viola la spirito della Costituzione del ’48. O almeno di renderla inefficace, riacquistando, come stanno facendo in Grecia, l’autonomia politica dalla Troika. Sentir dire dal nuovo ministro delle finanze di quel paese che il governo greco non tratterà più con la Troika è stata un’inizione di ottimismo per tutta la sinistra e l’inizio, speriamo, di una nuova fase della storia europea.
La riforma più grave però è quella che non è intervenuta sulla lettera della Costituzione, ma nella sua applicazione. Quando però si interviene in questo modo, senza una discussione formale, senza arrivare a riforme vere e proprie, ossia senza modificare i testi, è chiaro cosa si lascia, ma non quello a cui si giunge. Sicuramente il nostro paese non è più una repubblica parlamentare, perché la sovranità non appartiene più al parlamento, che ha smesso ormai di legiferare, limitandosi a trasformare in legge – spesso senza neppure modificarli – i decreti del governo. Non sappiamo però cosa sia diventata, perché questa ibrida repubblica presidenziale o semipresidenziale – in cui tra l’altro vengono costantemente compresse, fino all’annullamento, le autonomie locali – non ha regole scritte, non ci sono contrappesi istituzionali e affida il potere a una persona, che lo può esercitare senza controllo, come appunto sta facendo adesso renzi, o meglio chi muove le fila, usandolo come un burattino.
Il problema però non è l’arroganza antidemocratica di renzi o la succube acquiescenza della minoranza del partito mal nato e neppure – come troppi ancora credono – la rapace idiosincrasia alle regole dimostrata da berlusconi, ma il fatto che in questi vent’anni la Costituzione del ’48 è stata scardinata in un punto essenziale, e forse non è più recuperabile. La nostra Costituzione infatti è nata quando esistevano i partiti politici e ne prevede la presenza – non solo nell’art. 49 – ma appunto nella prassi. La proposta di candidare Sergio Mattarella è stata fatta da renzi, non solo per soddisfare il suo ego ipertrofico e in base a una serie di calcoli politici, per altro rivelatesi esatti, ma anche perché non esistono più i partiti, che sono stati scientemente scardinati. La “nuova” democrazia che l’ultraliberismo sta costruendo deve prescindere dai partiti, li teme, così come teme tutti i corpi intermedi. E, non a caso, in queste settimane l’azione del governo italiano è tutta tesa a distruggere la Cgil, ossia l’ultimo corpo intermedio rimasto in questo paese, l’ultimo ostacolo a questo impasto di liderismo e di populismo di cui renzi è il perfetto campione.
Purtroppo nella vicenda del Quirinale nessuno si è alzato per denunciare questo imbroglio. Ovviamente non l’ha fatto la destra, a cui tutto questo va benissimo: è questo il vero “patto del Nazareno”, che non è stato affatto tradito da renzi, che non esce indebolito da questa elezione. Quello che tiene insieme i contraenti del patto del Nazareno – se vogliamo continuare a chiamarlo così – è propria questa “riforma” della Costituzione, questo indebolimento progressivo, ma inesorabile, della democrazia. Non mi aspettavo che lo facesse Bersani che ha già dimostrato di non avere il coraggio e forse anche la voglia – la sua ostinazione a difendere la “ditta” ormai sfiora il patetico, anche se mi spiace dirlo per una persona che comunque stimo – di scardinare questo gioco. Non capisco perché non lo abbia fatto Sel che invece ha portato il suo mattoncino, peraltro ininfluente, per costruire il monumento alla vanagloria di renzi. E non l’hanno fatto neppure quelli del Movimento Cinque stelle che pure sembra che qualcosa abbiano intuito, ma, per l’ostinazione a non voler partecipare alla partita, rimangono costantemente in panchina. Quando Di Maio ha detto che il Movimento avrebbe valutato come muoversi tra la quarta e la quinta votazione è stato evidente che erano non solo fuori gioco, ma fuori dal mondo, perché era chiaro da giorni che ieri Mattarella sarebbe stato eletto, con i voti sostanzialmente compatti dei contraenti del Nazareno.
A questo punto, come ha scritto a caldo Mauro Zani in una riflessione che condivido in toto, noi antirenzisti dobbiamo fare un’altra cosa, una cosa completamente diversa, e cominciare un cammino lungo e destinato forse all’insuccesso, almeno in Italia, teso a costruire, attraverso tappe intermedie, “la sinistra del XXI secolo; larga, democratica sul serio, coerentemente radicale”, partendo dalle riflessioni teoriche già fatte e dalla proposte che già ci sono.
C’è un punto però che a me preoccupa molto. Una costituzione non è un assemblaggio di pezzi, ma un organismo che, quando si toglie un pezzo – come hanno fatto in Italia, estirpando i partiti – rischia di morire, come sta appunto avvenendo alla nostra Costituzione, che per fortuna è un organismo molto forte, che ha moltissimi anticorpi, e resiste tenacemente agli attacchi che subisce, perfino quando vengono portati da chi è posto a capo della Repubblica, come è avvenuto in questi anni. La Costituzione è così forte da aver resistito agli attacchi di napolitano e dei suoi complici, quindi possiamo continuare a sperare. Possiamo anche sperare che l’uomo che adesso siede al Quirinale, nonostante il modo in cui è stato eletto, non voglia essere l’esecutore testamentario della Costituzione, ma si riveli un avversario dei disegni di renzi e dei suoi mandanti. La sua storia personale ci permette di pensarlo.
Non possiamo però cullarci in questa speranza, così come non possiamo continuare a sperare nella scissione del pd o nell’aggregazione di tutte le sigle della sinistra politica, cose che, se anche avvenissero – e la prima sicuramente non avverrà – sarebbero a questo punto inefficaci. Se “loro” non vogliono che esistano corpo intermedi, bisogna che noi facciamo tutto il possibile per costruirne uno di tipo nuovo, che affianchi la Cgil, a cui non possiamo chiedere di fare tutto, di essere l’alfa e l’omega della sinistra italiana, bisogna che ci sia qualcosa che riempia il vuoto che si è creato. Lo dobbiamo al paese, alla sua storia e al suo futuro.