Alfredo Morganti – 29 marzo 2017
“Noi di Articolo 1 non bastiamo anche se non sarà poco quello che raccoglieremo […] dobbiamo portare quello che abbiamo in un campo più vasto […] il PD purtroppo non è in grado di affrontare la bisogna perché pretende di riassumere tutto il centrosinistra nel partito e il partito nel capo”.
Così Bersani, oggi, su ‘Repubblica’. L’idea di ‘non bastare’ non è indice di minorità, al contrario. È indice di grande consapevolezza politica. È l’esatto contrario della vocazione maggioritaria, che significa appunto: “basto a tutto io”. È il frutto di una lezione antica, che risale alle radici della sinistra italiana. È il motivo per cui Berlinguer diceva che con il 51% non si poteva governare. Non si trattava solo della lezione cilena, ma della convinzione profonda che un Paese grande e complesso come l’Italia andava preso per molte redini, andava governato in forme molteplici, tenendo assieme culture e idee e soggetti diversi ma animati da un desiderio profondo di trasformazione politica e sociale. Il compromesso storico, appunto.
Una sola cosa ho imparato in tanti anni di passione politica. Una sola, ma fondamentale. I comunisti italiani (allora) non erano una falange minoritaria, e nemmeno pensavano di riassumere in sé ogni spirito nazionale. Né avevano la vocazione maggioritaria, non volevano il 51% a tutti i costi (magari con il doping del ‘premio’), non intendevano ‘vincere’ e poi fare strame dell’Italia, non credevano di essere il sale della terra (anche se la tentazione era forte, visto che erano un pezzo consistente, fondamentale della nervatura storico-culturale di questo Paese). Io ricordo che, berlinguerianamente, si intendeva essere al servizio del Paese, con quel che ne conseguiva. E rappresentare gli ultimi, i più disagiati, i lavoratori, i disoccupati, le donne, i giovani. In questo, i comunisti italiani erano schierati dalla parte degli altri democratici, di chi riteneva di ‘non bastare’, di chi era convinto che il campo dovesse essere più largo, e che si trattasse di portare il proprio contributo ma non di riassumere in se stessi (à la Veltroni, à la Renzi) il mondo intero.
Ecco cosa intende, secondo me, Bersani quando, riprendendo Berlinguer, dice: “se non sai cosa fare fai quel che devi”, ossia riferisciti agli ideali di gioventù. C’è appunto l’idea di essere rilevanti ma non sufficienti, c’è quella di mettersi al servizio, c’è il sentimento della vastezza e della grandezza di questo Paese e dei suoi problemi, c’è la convinzione che la politica è forza, non una pazza corsa in vista di una risicata e insipida vittoria elettorale, e c’è un senso dell’apertura, della mescolanza con il fronte largo degli italiani che non vuol dire perdere la propria identità, ma rafforzarla a contatto con gli altri e insieme renderla più efficace in termini storici e politici. In fondo questa ‘funzione nazionale’ dei grandi partiti storici era il vero ‘valore’ della Prima Repubblica, il suo ingrediente migliore. Al posto di quei partiti oggi vi sono dei raider, dei corsari, dei pirati della politica che tentano abbordaggi alla ricerca di chissà quali bottini. Si tratta di brigantini messi su in fretta e furia, nominati e rinomati in continuazione, di piccole pattuglie che assaltano le istituzioni, che ‘scalano’ le ciurme, che puntano ad assalire le grandi navi per fare tesoro del potere. Bersani dice a ‘Repubblica’, con chiarezza, che è il momento di intraprendere un’altra rotta.