Fonte: attac italia
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di Fabio Alberti 23 febbraio 2015
Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
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Per effetto del cosiddetto federalismo fiscale la composizione delle entrate degli Enti Locali si è sostanzialmente trasformata nel corso degli ultimi decenni, con una progressiva riduzione dei trasferimenti statali e una crescita del fisco locale. Nel 1981 solo il 25% delle entrate dei comuni erano costituite da entrate proprie (tributarie ed extratributarie), mentre nel 2011 tale percentuale era aumentata fino a circa l’80%, rovesciando praticamente il rapporto tra entrate locali e trasferimenti statali.
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Mentre i trasferimenti statali provengono dalla fiscalità generale improntata – anche se in misura sempre minore – al criterio delle progressività delle imposte previsto dall’art. 53 della Costituzione, la gran parte delle entrate proprie dei comuni non rispetta tale principio. Se questo fatto poteva essere considerato marginale trent’anni fa oggi si pone con forza la questione della sua costituzionalità. Numeri alla mano il federalismo fiscale si è sinora risolto in uno spostamento del carico fiscale dalle fasce più ricche a quelle più deboli della popolazione, mentre aumentava (e contribuendo ad aumentarla) la concentrazione della ricchezza.
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L’Italia è infatti tra i paesi che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda in Europa solo al Regno Unito e con livelli di disparità superiori alla media Ocse, con indice di Gini pari a 0,34 La situazione italiana era molto meno disuguale finché c’è stata la scala mobile (nel 1992 l’indice di Gini era di circa 0,27). Poi l’indice di disuguaglianza è schizzato verso l’alto.
Una tendenza che viene da lontano
La perdita di progressività del sistema impositivo viene da lontano. L’IVA (imposta regressiva), dalla sua entrata in vigore (1973), è passata dal 12% al 22%. Nello stesso tempo l’IRPEF, dalla riforma tributaria del 1974, che prevedeva 32 scaglioni di reddito (con aliquote dal 10% al 72%), si è passati ai 4 scaglioni istituiti da Berlusconi nel 2005 con aliquote dal 23% (fino a 26.000 euro) al 43% (oltre i 100.000).
La tabella che segue mostra l’andamento contraddittorio della concentrazione della ricchezza e della distribuzione del carico fiscale negli ultimi 35 anni.
Fonte: La Voce – The World Top income Database
L’addizionale comunale IRPEF è stata istituita nel settembre 1998 con un’aliquota massima, uguale per tutte le fasce di reddito, del 0,5%, poi portata allo 0,8% (allo 0,9 per il comune di Roma).
L’aliquota viene decisa dai comuni, ma con la riduzione dei trasferimenti la gran parte dei comuni è costretta ad applicare l’aliquota massima.
Nel Comune di Roma l’addizionale è stata introdotta nel 2003 con aliquota dello 0,2%; che nel tempo è cresciuta sino all’odierno 0,9%. In tredici anni, dunque, è quasi quintuplicata e il gettito è passato dagli iniziali 90 milioni ai 411 previsti per il 2014. Negli ultimi 10 anni l’addizionale è passata dal 2 al 9% delle entrate totali del comune.
Dal 2014 a Roma sono stati esentati dall’addizionale comunale le persone i redditi inferiori a 10.000 euro. Si tratta di una prima inversione di tendenza che riguarda però una platea estremamente limitata di contribuenti, non più del 10% del totale. L’esenzione inoltre non è la stessa cosa della progressività.
La tabella che segue mostra come sarebbe stata distribuita l’addizionale comunale tra i contribuenti romani se le aliquote applicate avessero avuto la stessa progressività di quelle Irpef.
I contribuenti con redditi fino a 55.000 euro avrebbero, risparmiato circa 33 milioni di euro l’anno, 29 dei quali sarebbero stati pagati in più da chi ha un reddito superiore a 75.000 euro.
Nostra elaborazione su dati dell’Agenzia delle Entrate sui redditi 2010 nel Comune di Roma
Le cifre si triplicano se si considera anche l’addizionale regionale. Se si proietta questa valutazione nel decennio trascorso, il 10% più ricco della popolazione romana (150,000 persone, con redditi superiori a 55.000 Euro) ha risparmiato una cifra vicina al miliardo di euro.
ICI/IMU/TASI
Anche l’ICI era stata inserita nel sistema tributario per compensare la riduzione dei trasferimenti statali alle amministrazioni locali. Nata nel 1992, fu poi modificata introducendo alcune detrazioni per la prima casa (2007) fino ad arrivare allo sgravio totale (2008). Le rendite immobiliari, comunque, durante tutto questo periodo, erano assoggettate all’IRPEF ed erano quindi tassate con progressività.
L’IMU (Imposta Municipale propria), che ha sostituito l’ICI dal 2012, è diventata l’unica imposta sulle proprietà i cui redditi non sono quindi più considerati ai fini IRPEF. Le aliquote, e le detrazioni, non sono progressive, né al crescere del reddito, né al crescere del patrimonio.
Il passaggio da ICI a IMU, ha definito dunque un sistema basato sul principio inverso della proporzionalità: più immobili si possiedono e più forte è il vantaggio fiscale rispetto al vecchio sistema.
L’esenzione dall’IMU della prima casa è stata d’altro canto fittizia, essendo stata di fatto sostituita dalla TASI che si applica con aliquota massima del 2,5‰ sulla stessa base imponibile.
Il prelievo, nel Comune di Roma è passato dai circa 700 milioni dell’ICI del periodo 2009 ai 1.595 milioni dell’IMU/TASI 2014. Dal 2014 sono state introdotte per la TASI detrazioni crescenti al diminuire del valore catastale. Anche in questo caso si tratta di una positiva inversione di tendenza, ma, di nuovo, non del rispetto del principio di progressività, che invece dovrebbe essere imperativo essendo la TASI un’imposta finalizzata alla copertura dei servizi.
Va ricordato che con la cancellazione dell’IMU prima casa sono stati esonerati anche i cosiddetti immobili invenduti. Viene sottratto così al fisco una consistente ricchezza detenuta dai costruttori. Questa esenzione, inoltre, impedisce di utilizzare la leva fiscale per spingere sul mercato gli alloggi sfitti per fronteggiare l’emergenza abitativa.
Non è agevole, per insufficienza di dati disponibili, simulare i risultati dell’applicazione della TASI con aliquote progressive, ma si può affermare senza rischio di esagerazione che potrebbe determinare determinerebbe lo spostamento del carico fiscale dai redditi più bassi a quelli più alti dell’ordine di 150 milioni annui.
LE TARIFFE
Un’altra tendenza è l’aumento della quota del costo dei servizi coperto dagli utenti con le tariffe, cioè attraverso un’imposizione regressiva, che si accompagna ad una affermazione ideologica sempre più frequente: i servizi pubblici sono merci.
Nel comune di Roma il gettito delle tariffe, riportato alla voce di bilancio “Proventi dai servizi pubblici” è passato da 348 milioni nel 2009 a 417 milioni nel 2014, con un incremento del 20% in cinque anni. Le tariffe sui servizi pubblici costituiscono il 25% delle entrate comunali, mentre solo cinque anni fa erano pari al 20%.
Le tariffe del trasporto pubblico, che non sono riportati nel bilancio comunale, ma compaiono in quello dell’Atac, sono aumentate dal 2009 al 2013 del 19% (da 226 a 270 milioni di euro).
La tariffa dell’acqua, che genera dividenti per i soci privati di Acea (Caltagirone e Suez), è aumentata nel quinquennio, del 27%, senza considerare l’aumento appena approvato.
Ma sicuramente il più caso significativo, per il suo peso economico, è la tassa sui rifiuti TARI (il cui gettito nel comune di Roma, previsto di 787 milioni nel 2014, è aumentata del 37% nel quinquennio 2009-14). Ma l’esempio è indicativo non solo per questo motivo: una direttiva europea prevede che a maggior livello di inquinamento corrisponda un maggior contributo, ma la tassa sui rifiuti non solo non tiene conto del criterio di progressività, ma nemmeno del principio “chi inquina paga”.
Composizione delle entrate correnti del Comune di Roma
2009
2014
La copertura del bilancio di parte corrente del Comune di Roma con trasferimenti dello Stato (imposte progressive) che era di circa il 50% nel 2009 si è ridotta, al solo 18% nel 2014, mentre l’incidenza delle tariffe sale dal 20% al 25%, l’addizionale Irpef dal 5% al 9% e l’Ici-Imu arriva a coprire un terzo delle spese, essendo nel 2009 del 14%.
Vi è quindi uno spostamento deciso del carico verso una imposizione non progressiva e quindi a svantaggio dei ceti popolari, la cui quantificazione è di difficile valutazione, ma che è certamente di centinaia di milioni di euro l’anno.
LA RENDITA
Ciò che rimane fuori è le rendita, basti pensare che gli oneri di concessori ed edilizi coprono poco oltre il 60% dei costi di urbanizzazione (W. Tocci: “l’insostenibile ascesa della rendita urbana”, Democrazia e Diritto, 1/2009). La rendita è stata favorita nell’illusione di rimpinguare le casse dei comuni. Le amministrazioni hanno pensato di utilizzare il rilascio di concessioni edilizie come se stessero stampando carta moneta. La miopia di tale gestione ha generato danni incalcolabili che si sono materializzati nell’incremento del debito e nell’aumento generalizzato dei costi delel abitazioni.
La via maestra per affrontare questa situazione è l’istituzione di un’imposta patrimoniale progressiva comunale, che sostituisca tutte le altre imposte, ma già nelle pieghe del cd federalismo c’è uno strumento immediatamente disponibile: l’Imposta di scopo prevista dal cd federalismo fiscale e istituita solamente da una ventina di comuni. Se applicata ai grandi patrimoni potrebbe permettere una sostanziale riequilibrio fiscale.
Tornare alla costituzione.
Dopo 20 anni di cosiddetto federalismo fiscale è ora di rimettere mano complessivamente al fisco locale con una riforma redistributiva, nella direzione della progressività e della riduzione delle disuguaglianze.
I criteri di tale manovra dovrebbero essere:
– spostamento del carico fiscale dai ceti popolari alle grandi ricchezze, attuando una seria progressività delle aliquote su tutte le imposte comunali (addizionale IRPEF, IMU, TASI, TARI);
– spostamento del carico fiscale dal lavoro alla rendita introducendo l’imposta di scopo sui grandi patrimoni immobiliari;
– ridefinizione delle politiche tariffarie (e delle esenzioni) per orientare i consumi di servizi pubblici e ampliando la solidarietà nei confronti delle fasce deboli.
Articolo tratto dal granello di sabbia di gennaio/febbraio 2015 “Enti locali: cronaca di una morte annunciata”, scaricabile qui