Fonte: il Simplicissimus
Anna Lombroso per il Simplicissimus – 1 ottobre 2014
Commissariati due volte, ridotti alla sottomissione due volte. Fin dal 2010 la Ce e il Consiglio Europeo hanno avviato un processo inesorabile di trasferimento di poteri dagli Stati membri alle principali istituzioni Ue, che costituisce una vera e propria spoliazione, una espropriazione totale e nemmeno prevista dai trattati istitutivi, della sovranità delle nazioni e dei popoli. Da allora veng0no imposti criteri e requisiti da cui dipende l’intervento della Ce sulla politica economica degli Stati membri e dunque, inevitabilmente su quelle sociali, elaborati secondo principi stabiliti da oscure gerarchie e burocrazie comunitarie e sottratti a ogni negoziazione. Il sequestro dei poteri e della capacità decisionale ha toccato il suo acme con l’imposizione del fiscal compact , che impone l’inserimento nella legislazione nazionale del pareggio di bilancio, “preferibilmente in via costituzionale”. Cosa che puntualmente è stata fatta, perché a un livello più basso dell’imperialismo finanziario e dei suoi governatori regionali, a cascata, i governi, tutti ormai schierati sul fronte dell’austerità, dell’ubbidienza e del conservatorismo attuano ed applicano senza discussioni il mandato, a scatola chiusa, come sono chiusi loro in quelle enclave separate e lontane dai cittadini, dalle quali si compiacciono addirittura di oltrepassare e superare le richieste, nella cieca osservanza degli ordini che provengono da fuori.
Sarà difficile resistere alla pressione per noi sudditi. Non sono passati che pochi giorni da quando madame Lagarde ha suggerito – nel nostro interesse – di tagliare le pensioni italiane, visto che rappresentano la maggior spesa dello Stato. C’è da immaginare che quello che è stato cominciato dalla Fornero verrà pienamente realizzato da questo governo, che dimostra ogni giorno di non conoscere e non voler sapere che i 200 miliardi della ordinaria spesa pensionistica sono soldi che passano direttamente dai lavoratori in attività ai lavoratori in quiescenza, che rappresentano delle remunerazioni differite e che il trasferimento all’Inps da parte dello Stato di circa 90 miliardi l’anno non ha niente a che fare con la spesa pensionistica, bensì con interventi assistenziali che in altri Paesi pesano sulla fiscalità generale.
È che questo ceto politico, governo e rappresentanti che hanno ormai accettato di fare i vili esecutori dell’esecutivo, tramite decreti delegati già confezionati che si devono solo votare, esercita una potenza padronale sfrontata e mai vista prima. Quando non sa che altro fare decide per noi, pesca dalle nostre tasche, dalle nostre previsioni, dai nostri risparmi, dai contributi accumulati, perché, come i suoi superiori, rivendica il diritto di alienare oltre ai beni comuni, quelli personali. Ma purché siano di chi ha poco, perché quelli di chi ha molto sono invece inviolabili.
È questo il senso dell’ipotesi fantasiosa quanto improvvida di anticipare l’impiego della liquidazione, restituendolo dal primo gennaio 2015, direttamente in busta paga: si parla del 50%, forse in via transitoria e si spera per scelta volontaria, per quanto di questi tempi la volontà è piegata alla necessità e quella mancia elargita coi nostri risparmi servirebbe a pagare tasse, bollette, e a far fronte a bisogni quotidiani.
Il Tfr, per chi ce l’ha, è sempre servito invece come una polizza, saldare un mutuo, sopportare le prime privazioni di una vita da pensionati, aiutare i figli a studiare o a avviare un’attività, o a riempire la falle della previdenza con contributi integrativi.
Ma paradossalmente e per una volta la proposta è di quelle che scontentano tutti, padroni e lavoratori, imprese e sindacati. Dovrebbe servire a far ripartire i consumi, proprio come la “paghetta” degli 80 euro, presto “risarcita” tramite tasse e aumenti, compresi quelli di gas ed elettricità, e che ha accertato con dati che per una volta concordano che non ha sortito l’effetto desiderato. Non si sa quale sarebbe il trattamento fiscale delle somme ricevute in anticipo, mentre si sa che all’Inps verrebbero a mancare tre miliardi l’anno, che i fondi pensione rimarrebbero a secco con ricadute sulle varie forme di previdenza integrativa. Per non parlare delle imprese soprattutto piccole e medie, private di una fonte di credito decisiva, che hanno già accolto l’ipotesi con molta inquietudine, aggravata dalle rassicurazioni sospette di Renzi. La riforma partirebbe solo dopo la firma di un accordo tra l’Associazione bancaria (Abi), la Confindustria e il governo, un protocollo che dovrebbe garantire i finanziamenti necessari a coprire l’esborso, sulla falsariga di quello sottoscritto per i debiti della pubblica amministrazione, che è costato la vita a innumerevoli aziende cui i cravattari legali hanno detto no.
Si chiude il cerchio: la dittatura della finanza e delle grandi imprese ottiene il risultato di mettere sotto il giogo del bisogno tutto il tessuto sociale, di renderlo sempre più ricattabile, di ridurlo alla disciplina del mercato trasferendo verso banche e compagnie di assicurazione il flusso dei versamenti pensionistici; privatizzando il più possibile la Sanità e l’assistenza; togliendo ossigeno anche a chi un posto ce l’ha, nella prospettiva di perderlo, trasformando le nostre esistenze in quelle della cavie nelle gabbiette, che instancabilmente si arrampicano su e giù per la scalette di debiti, mutui, penali, tasse. A eseguire i suoi crimini ha incaricato dei cretini, ed è questo uno degli aspetti più avvilenti di quello che pare essere il nostro destino segnato, che il Male abbia le loro fattezze e che ciononostante vinca.