Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Un sasso nello stagno.
Ripartire dalla disperazione politica, perché tanto di più non abbiamo.
Quando si fa politica, non si dovrebbero alzare recinti, piuttosto creare le condizioni affinché si possa costruire l’unità. Mi riferisco ovviamente ad alleanze politiche omogenee, non ad ammucchiate immotivate se non dall’occupazione del potere. Creare le condizioni, appunto. Io credo che le condizioni migliori, auspicabili, quelle che più sarebbero produttive di cambiamento, ruotino attorno alla partecipazione: dei cittadini alla vita pubblica, degli iscritti e dei militanti alla vita di partito, dei dirigenti a un progetto di cambiamento che unifichi i vari piani, e della classe dirigente a un compito di trasformazione del Paese nel senso della pace, della giustizia sociale, dell’uguaglianza, della democrazia.
Ciò detto, mi sono chiesto: questa soluzione politica, così nobile, così di “sinistra”, così democratica e partecipativa, che poi sarebbe anche la più auspicabile, oggi, allo stato attuale, è davvero ancora possibile? Mi chiedo: potremmo lavorarci in tempi congrui, potremmo affidarci all’attuale classe politica affinché un tale progetto di partecipazione e di cambiamento possa concretizzarsi, certo gradualmente? Non sto qui a elencarvi tutte le mie personali argomentazioni in materia, ma la mia risposta è secca, senza altre opzioni, ed è no.
D’altronde, una sinistra che si affida a Matteo Renzi per darsi un’identità e una visione, era già morta prima che ciò accadesse ed è ancora più morta dopo. Se penso ai tempi e ai modi in cui quella vicenda è insorta, ancor oggi ne sono inviperito. E poi, guardate in che stato sono i partiti di centrosinistra e di sinistra oggi, a che livello infimo sia condotta la “battaglia delle idee”, qual è (e quale sia stato) a sinistra il livello di complicità a progetti pazzeschi di riforma costituzionale e di riforme elettorali sconclusionate, e credo che arriverete tutti o quasi alle mie stesse conclusioni.
Dunque, il progetto partecipazione e trasformazione, di cui dicevo, mi pare, almeno allo stato attuale, assolutamente impraticabile. Per non dire peggio. Che fare, allora? Ritorna, come vedete, la domanda principale della politica. Io credo questo: l’unica cosa che, pur riuscendoci male, tuttavia riusciamo almeno a concepire, è la politica-comunicazione. Esprimo davvero, qui, il massimo del realismo, lo faccio con la morte nel cuore. Per cui dico: si tenti un UIivo2, chiamandolo ovviamente con altro nome. Che so, ‘Alleanza progressista’. Oppure si scelga un nome di donna. Oppure si consulti un guru. Si parta dall’alto, da una leadership che non sia né Schlein, né Conte, perché mi pare che tendano a escludersi e dimidiarsi l’un l’altro, ma il solito Terzo, il Papa Nero, l’Altro, che però è nostro amico, un’altissima figura morale, che sarebbe capace di unire in senso “progressista” ciò che appare una frantumaglia, ossia il centrosinistra. Sono pronto pure alle primarie, nonostante le disprezzi. La disperazione o è disperazione o non lo è.
Dopo la leadership serve una carta dei valori, un manifesto general generico, dove però si scrivano a profusione idee e parole rilevanti come: lavoro, pace, democrazia, Costituzione, partecipazione, riscatto, ricchezza pubblica, collettività, sforzo comune, tutela, cura, solidarietà, prossimità, coesione, accoglienza, ecc. Fate voi. Una lenzuolata di auspici e di speranze. Che uniscano e divengano il sale di una campagna di comunicazione condotta con la passione, la rabbia in corpo, la determinazione, il coinvolgimento pieno. Come si dice a Roma: dare il fritto.
Ovviamente, nelle stanzette si scrivano urgentemente gli organigrammi indispensabili a far contenti tutti, ma proprio tutti, senza seminare scontento nel ceto politico. Perché si tratta di unire per primi quelli che ci dirigono, con un’operazione che parta dalla testa, e sappia traboccare in tutto il corpo. Un Ulivo 2, appunto, un fronte progressista con un programma di 500 pagine, che tanto non lo legge nessuno. D’altronde, questo facciamo da trent’anni e questo sappiamo (all’incirca) fare, non sempre bene peraltro.
Serve onestà intellettuale, oggi più che mai. Gli orizzonti della sinistra si sono ristretti, quasi ci soffocano. Di più e di meglio non sappiamo fare, ormai, per tradizione trentennale, salvo alcune eccezioni che conoscete tutti, ma che sono state espulse anche a malo modo dalle varie greppie organizzative.
Facciamo in modo che la disperazione, la disillusione, il disincanto di molti, di quasi tutti, invece di andare alla deriva, divengano una miccia politica a cui dare fuoco. Dico di più: non chiedo che le molte disperazioni divengano speranza per illusione comunicativa, anzi, sono più micidiali se restano disperazione, fomento e rabbia disillusa. Allo stato attuale, in questo mare magnum di guerre, morti, popolazioni allo stremo, fascisti alla riscossa, ricchi che passano all’incasso, la rabbia, la carica passionale, hanno grande impatto fisico, non solo mediatico. E chissà che questo minimalismo comunicativo, questa politica ridotta all’osso della propria disperazione alla fin fine non sorprenda il centrodestra e i fascisti, abituati a pensare alla sinistra come a una congrega di sbandati che inaugurano monumenti alle foibe come se il contesto storico non fosse mai esistito, oppure come a scappati di casa, di cui prendersi gioco persino rubandogli da sotto il naso Gramsci.
Sono talmente disincantato, che mi contento davvero di poco, del minimo sindacale, purché si faccia, e si porti a casa un risultato, anche un’onorevole sconfitta. Andrebbe bene anche solo preoccuparli per davvero. Lo scopo sarebbe uno, se non si è capito, primo tra tutti: cacciare alle prossime politiche la destra dal governo. E poi si vedrà.
O sbaglio?