Fonte: Minima Cardiniana
di Franco Cardini – 7 luglio 2019
Vladimir Putin è, al giorno d’oggi, senza dubbio lo statista più interessante nel panorama mondiale. Direte che, messi come siamo, ci vuole poco. Può darsi: ma Putin è interessante lo stesso. Il suo è senza dubbio un governo autoritario e, se formalmente rispetta le norme di un sistema democratico rappresentativo all’occidentale, qualche dubbio sulla correttezza dei suoi uffici e della sua polizia è ragionevole. Siamo tuttavia in una situazione incomparabilmente migliore della maggior parte dei governi e/o regimi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina e forse anche di qualcuno europeo: governi e/o regimi che sovente sono ben accetti a Trump e alla NATO, e allora vengono promossi d’ufficio al rango di esemplari democrazie. Qualcuno invece si ostina a definire Putin un “dittatore”, uno alla stregua di un Maduro (che, intendiamoci, è a sua volta discutibile si possa definir come “dittatore”, ed è comunque sempre preferibile al suo antagonista, il traditore Guaidó al quale si può augurare solo la forca).
Putin è oggi a capo di un grande paese, la Federazione Russa, cui spetta anche la presidenza della Confederazione degli Stati Indipendenti; ed è insieme con i presidenti cinese e indiano il leader della “Convenzione di Shanghai”, uno dei “motori” dell’economia e della collaborazione asiatica dei giorni nostri che sta espandendo la sua influenza anche in Asia e in Europa. Egli partecipa allo One Belt One Road Program inaugurato dalla Cina nel 2013, che sta rivoluzionando il sistema dei trasporti e degli scambi tra Hong Kong e Amsterdam-Londra e al quale l’Italia stessa si è mostrata timidamente interessata, pur accettando al riguardo l’immediato ricatto statunitense (Salvini, il Prode Protettore dei Nostri Sacri Confini – è lui ad usare questo linguaggio –, si è affrettato a denunziare il “pericolo” di quel programma “per la nostra sicurezza”, fedele alle istruzioni che gli pervengono da Washington e dalla NATO).
Qualche giorno fa Putin è stato in Italia. Un evento di obiettiva grande importanza, che i nostri politici e i nostri manipolatori di notizie hanno avuto cura di minimizzare quanto più hanno potuto. Molta parte dei nostri media ha bensì sottolineato la “cordialità” ch’egli ha dimostrato e con la quale è stato accolto, per quanto il nostro paese abbia la vergogna di aver aderito, oltretutto contro il suo interesse economico, alle sanzioni comminate alla Russia per volontà statunitense per il fatto che la Russia non ha accettato il ricatto ucraino e non vede con simpatia le testate nucleari della NATO puntate da Kiev contro di lei. Ancora una volta, noi reggiamo impudicamente il sacco ad aggressori e a ricattatori, complice il silenzio dei nostri media. I quali salvo pochissime eccezioni, adottando una tecnica che come abbiamo or ora osservato nella più generosa delle ipotesi si può definire “minimalista”, hanno presentato la politica estera del presidente Putin come quella di un piccolo avventuriero furbastro che, in funzione “antieuropea” e “antioccidentale”, si atteggerebbe a protettore di populisti e sovranisti cercando di scardinare le alleanze atlantiche ed europeistiche. Ed è grasso che cola se qualcuno ha ammesso che con la Russia facevamo ottimi affari che l’embargo voluto da Trump ci ha costretti a perdere; e se il solito Salvini ha invitato i suoi alleati internazionali a non isolarlo troppo per non “buttarlo” (orrore!) “in bocca alla Cina”.
Bene: suggerirei a tutti i distratti e a tutti gli indaffarati a guardar altrove (a cominciare da coloro che, protesi da qualche “Diorama”, scrutano ogni giorno l’orizzonte in direzione dell’Africa, in attesa di veder spuntare i famosi cinquanta milioni d’invasori africani immaginati da geniali romanzieri e da finissimi sociologi), di andar a rileggersi le molte interviste che Putin sta rilasciando da parecchie settimane a questa parte e che, sovente riprendendo a proposito dell’Europa temi ch’erano già cari a Gorbaciov (ricordate la “comune casa europea”?), dichiarano alcune cose che soprattutto a noi – e proprio in quanto europei – interessano molto da vicino. O dovrebbero interessare. Lo statista che, con la sua azione misurata e tempestiva, ha impedito che la tragedia scatenata nel 2011 dai governi francese e inglese con la sconsiderata aggressione alla Siria e proseguita con l’avventura dell’ISIS/DAESH si trasformasse in una sciagura per tutto il Vicino Oriente, è adesso impegnato a sventare con tutti gli strumenti politici e diplomatici possibili un’ancora più sconsiderata aggressione all’Iran che da mesi si sta programmando tra Washington, Riad e Gerusalemme. Il pericolo, badate, non è passato: mentre noi ci balocchiamo con il problema – serio, ma tutt’altro che incontrollabile se solo esistesse tra Bruxelles e Strasburgo un minimo di buon senso e in molte capitali europee un po’ di responsabilità – dei migranti, il mondo intero è sull’orlo di una crisi che si presenta con connotati obiettivamente ben più gravi di quelle del 1914 e del 1939. Allora, sappiamo come andò a finire. Adesso, vedremo.
Da sette decenni la Russia, già come Unione Sovietica, insiste per la necessità di un disarmo nucleare necessario ed autentico: le si risponde con speciosi argomenti ispirati al sospetto quando non con provvedimenti giuridicamente mostruosi e praticamente inefficaci come il “trattato di non-proliferazione”. Ma il nostro governo, che da poco ha celebrato con sfoggio retorico la nostra adesione al patto criminale della NATO, si sta allineando a quasi tutti quelli che lo hanno preceduto (vogliamo ammettere una mezza eccezione per il caso Craxi?) sul fronte del conformismo e dell’irresponsabilità. Attenzione: da questo sonno potremmo doverci svegliare bruscamente. FC