di Alfredo Morganti – 10 settembre 2017
“Se vincerà Micari significherà che sono irrilevanti. E se perderà si assumeranno una grossa responsabilità”. Questo lo dice quello che vorrebbe ancora guidare il Paese dopo tre anni di schiamazzi a Palazzo Chigi. Se vince, quello forte è lui, se perde quelli deboli, anzi quegli irrilevanti, sono gli altri. È con questa aria da bullo che si accinge ad affrontare i prossimi mesi, sperando di trarne vantaggio. Non ha capito che è stata proprio questa logica della sfrontatezza a condannarlo, lui sì, sempre più alla irrilevanza, a renderlo poco spendibile da parte della classe dirigente, quelli che comandano e che lo incaricarono di far svoltare l’Italia nella direzione da loro suggerita. Niente, l’uomo è questo e se ne stanno accorgendo anche i suoi. La notte dei lunghi coltelli è rinviata a dopo le urne, e non si ci sono nemici più spietati di quelli che ti mollano nel peggiore momento dopo averti sostenuto per convenienza.
Perciò dico alla sinistra: se la situazione è questa, cosa aspettate a fare un partito, ad avviare una fase costituente, a presentare agli italiani un soggetto vasto, collettivo, plurale? Il nostro Paese è in queste strane mani, e merita una speranza in più. Senza un partito tutto è aleatorio, non c’è classe dirigente, non c’è cultura politica, non c’è dibattito e non si decide nulla assieme. E poi non ci sono nemmeno donne, uomini, militanti, non c’è una vita quotidiana di partito, minuta, locale, di quartiere, sobria e appassionata. È tutto campato in aria, nel linguaggio rarefatto delle manovre politiche, che ci vogliono certo, ma non bastano, non possono bastare. Senza tutto ciò viene a mancare l’umanità della politica, e tutto appare come tattica e calcolo. Così che poi alla fine viene uno che lancia un’OPA, si prende tutto con l’aiuto altrui, e ripete sciocchezze bullistiche come quelle appena citate. Che se lui vince è bravo, mentre se perde sono incapaci gli altri. Capite il dramma?