Un Paese per “bande” larghe

per Gabriella

Anna Lombroso per il Simplicissimus – 8 luglio 2014

Ci vuole proprio la faccia di tolla di Renzi per celebrare la banda larga là dove ha agito vezzeggiata e indisturbata la banda del buco più sistematica, tenace e sfrontata d’Italia. Già ce n’era voluta – di faccia di tolla, intendo – per inaugurare il fastoso e festoso semestre europeo con un tema così smart, quando in molte parti del Paese il collegamento ad Internet segna un altro dei confini invalicabili tra sviluppo e terzo mondo interno. Ma dare il via ai sei mesi con la condizionale europea, quelli della speranza, del dinamismo, della crescita, nel laboratorio sperimentale, nel terreno di coltura del malaffare, dello stravolgimento di regole, della cancellazione di tutte le leggi che dovrebbero governare la libera concorrenza e la tanto auspicata competitività è la riprova della proterva fanciullaggine viziata di giovinastri che si sono trovati la pappa fatta e sono decisi ogni oltre ragionevole dubbio a continuare a mangiarsela.

Schierati ad attendere il presidente del Consiglio c’erano i poveri resti delle associazioni No Mose e No Grandi Navi, tutti adusi a querele e denunce per aver osato rendere palesi dubbi, perplessità, spesso molto motivati, quasi sempre molto sostenuti da contenuti tecnici ineccepibili, ma inaccettabili in una città che era stata costretta a scegliere tra una soluzione e la stessa soluzione, senza alternative, come si addice a tempi tatcheriani. Recavano petizioni che il giovanotto burbanzoso avrà affidato a qualche reggicoda che lo conferisca nel cestino dove stanno finendo la democrazia e le sue regole.

Perché the show go home e le opere devono proseguire: non si parla di sciogliere il Consorzio, che nemmeno sarebbe poi possibile visto che si tratta di soggetto di diritto privato che si potrebbe estinguere solo grazie al trasferimento di tutti i soggetti della attiva cordata di malfattori al locale carcere, un po’ periferico rispetto a i Piombi, ma utile alla bisogna. Il Consorzio è di totale proprietà privata dei suoi soci, e regolato tutto e solo dalle norme del diritto privato; ed è quindi impossibile pensare di sopprimerlo con decisione pubblica di natura meramente politica. Mentre tutto rende praticabile l’ipotesi di toglierlo da quella condizione di illegittimo privilegio, rappresentata dal regime di concessione unica (e senza gara) di studi, piani, progetti e lavori (tutto insieme!), di cui il Consorzio beneficia dal 1984 e che prevede che sia autorizzato il ricorso a una ‘concessione … a trattativa privata’ per la realizzazione delle opere statali di riequilibrio e salvaguardia della laguna (opere alle Bocche –barriere mobili comprese-, marginamenti, rinforzi, difese del litorale, interventi di riequilibrio e ripristino, apertura delle valli da pesca, e allontanamento del trasporto di petroli e derivati).

Il presidente del Consiglio, i suoi ministri altrettanto improvvisati, dovrebbero sapere che quella norma, che dava libertà totale e indiscussa senza sottoporsi a gare e quindi alle leggi della concorrenza e del rapporto qualità prezzo, era stata abrogata nel 1995 dal Parlamento, che aveva valutato negativamente l’esperienza di dieci anni condotta da un sistema “eccezionale” che non aveva saputo impiegare opportunamente le sue speciali caratteristiche, come dimostravano le ripetute critiche censorie della Corte dei Conti. Ma la sordità alle obiezioni, la ripulsa per il buonsenso e la ragionevolezza, la spocchiosa derisione di pareri scientifici, a meno che non siano entusiasticamente allineati e prezzolati, pare sia una cifra di tutti i governi che si susseguono: nessuno osa mettere in discussione la validità dell’opera, nessuno tenta di contestare la legittimità del soggetto incaricato, nessuno si preoccupa per la credibilità del Paese, operoso crogiolo di corruzione, mentre disturba la molesta richiesta e i suoi riverberi all’esterno, di interrompere interventi inutili, probabilmente dannosi, spaventosamente onerosi.

Ha perso smalto il Partito dei sindaci. Venezia è commissariata. Dell’azione dell’uno passato a più prestigiosi destini si sa poco, grazie alla totale rimozione operata da una stampa assoggettata e da un inspiegabile consenso, salvo l’affiorare periodico, come fiumi carsici che vengono su dalle profondità della metrotranvia, di improvvide decisioni. A suo tempo si disse che per ogni italiano che piangerà ci sarà un fiorentino che ride. Adesso sappiamo che per ogni romano che piange c’è un palermitano che gongola. Il sindaco Marino sta riscuotendo il più vasto dissenso mai registrato a tutti i livelli, politico, sociale, culturale, popolare. È facile ottenere uno sconto in taxi, basta lasciar cadere distrattamente un commento critico sul primo cittadino. Parlare di Marino rappresenta un accorgimento utile per l’acchiappo, mentre si è stipati in un bus bloccato nel traffico. Dopo la defezione dell’assessore al bilancio Morgante scelta come “garante” per via del suo curriculum di magistrato contabile, e le cui proposte di risanamento erano state bollate dal sindaco come “un puffo informe”, è arrivata una raccomandata dell’Anci e di Delrio, ma scelta probabilmente per via del cognome, Scozzese, che farà sperare a Marino in un futuro di oculato risparmio. Magari tra i criteri di selezione, stabiliti dal sindaco stesso e che prevedono sponsor e testimonial in gran numero a assicurare candidature eccellenti come è avvenuto per il comandante dei vigili, dimessosi in giorno stesso della nomina, valgono anche cognomi benaugurali o noti, come nel caso dell’altro assessore, quello alla cultura, incarico ricoperto dalla sorella del più smart dei ministri del Governo Monti, Barca, dimissionaria, ma che continua a stare al suo posto con tanto di presenza e firma,non sappiamo a fare che cosa.

Ma come si sussurra nella tradizione orale romana, a che servono gli assessori se tanto il sindaco non fa nulla, se non risponde nemmeno ai notabili del suo partito, chiuso in un inquietante solipsismo, appartato e ostile, tanto da arrivare in ritardo alla parata del 2 giugno, tanto da rincorrere un Obama che non vuol salutarlo fino alla scaletta dell’aereo, tanto da ricevere insulti ad ogni uscita tra la ‘ggente. Ma si sa le leggende metropolitante sono così. Invece Marino ha dimostrato un attivismo ed una energica vitalità. Dopo aver esteso i divieti di transito all’aborrita lobby dei taxi lunga una via dei Fori Imperiali ridotta dai lavori della metro ad angusto corridoio, senza ripensamenti, con alacre intraprendenza ha deciso di liberare il Teatro Valle,”in modo che si rendano disponibili i locali illegittimamente occupati”, in modo che Roma sia rappresentata da Michelangelo, Caravaggio,dal Vaticano, dal Colosseo, dalla Dolce vita, ma non dalla “vita”, dalla contemporaneità, come invece succede nelle capitali quelle vere, che sono anche città, comunità di persone, di idee, di aspettative, di interessi diversi da quelli del profitto.

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