Un NO che non ci deve bastare

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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di Luca Billi 9 luglio 2015

Abbiamo vinto, in maniera netta e inequivocabile; e non ci succedeva da tempo. Abbiamo festeggiato, forse con un po’ troppa enfasi, ma – dovete scusarci – non ci siamo abituati. Adesso però è il momento di riflettere su cosa ha significato il successo del no nel referendum greco dello scorso 5 luglio, un risultato per molti aspetti storico. E le ragioni per essere preoccupati, nonostante tutto, sono molte.
In questa considerazione non voglio soffermarmi sugli aspetti più propriamente economici della crisi. Il governo greco in questi giorni è impegnato in una trattativa difficile. Le forze del capitale non si sono certo arrese e vorranno punire la Grecia per lo sgarro subito, ma credo che, alla fine e nonostante tutto, un accordo lo troveranno. Si preparano comunque giorni difficili per quel popolo, la loro lotta sarà dura e devono sentire tutta la nostra solidarietà. Non basta aver fatto il tifo la scorsa settimana, non basta aver gioito la notte del 5 luglio, dobbiamo continuare a seguire quello che avviene in Grecia, possibilmente sfuggendo alla controinformazione dei giornali e delle televisione di regime che ci raccontano una realtà distorta. E soprattutto dovremmo provare a fare come la Grecia; che è la cosa più difficile, specialmente qui in Italia.
E qui vengo al punto che mi interessa di più, ossia alle prospettive della sinistra a seguito di questo voto. E’ vero che abbiamo vinto, che siamo riusciti a far passare, per la prima volta, un’opzione politica diversa rispetto all’imperante ideologia ultraliberista, che però è tutt’altro che sconfitta, anzi ha dimostrato, ancora una volta, una pervasività inquietante.
Un elemento che mi preoccupa – molto – è la sostanziale e totale adesione della maggior parte degli esponenti del Pse all’ideologia ultraliberista. In questa vicenda Jean-Claude Juncker e Martin Schulz, pur essendo i rappresentanti di due famiglie politiche formalmente contrapposte, hanno detto e fatto le stesse medesime cose. Anzi Schulz è quello dei due che ha usato i toni più minacciosi, che ha rinunciato da subito alle blandizie diplomatiche, dichiarando esplicitamente che il loro obiettivo era la caduta del governo Tsipras e la creazione di un esecutivo più malleabile, sostanzialmente prono ai voleri della Troika. In questa settimana era impossibile capire chi fosse del Ppe e chi del Pse. Rajoy e renzi sono intervenuti con la stessa virulenza contro il fronte del no, il primo comprensibilmente preoccupato per la crescita di Podemos – che certamente sarà galvanizzato da questo risultato – il secondo, che – purtroppo per noi – non ha questo pensiero, per puro servilismo; eppure Rajoy e renzi sono uno del Ppe e uno del Pse, ma sono ormai indistinguibili per scelte politiche e azione di governo.
Di fatto questo referendum ha segnato il suicidio politico dei socialisti europei, la loro resa di fronte alle forze del capitale. E anche chi – come me – in questi anni è sempre stato critico verso quel movimento e lo ha ritenuto inadeguato, non può essere contento di questa fine ingloriosa.
Pensate a quello che è successo in questi giorni: la piccola Grecia, che rappresenta il 2% del pil di tutta l’Unione europea, è riuscita a bloccare le forze del capitale, perché queste, per tracotanza, hanno costruito un sistema monetario che non prevede l’uscita dall’euro di uno dei paesi aderenti. L’uscita della Grecia dall’area euro e il conseguente ritorno alla dracma è stato il bluff usato in questi mesi dalle forze del capitale, che pure sapevano che questa opzione avrebbe causato più danni a loro che alla Grecia. La forza di Syriza è stata quella di denunciare questo bluff, di dire, come il bambino della fiaba, che il re è nudo. Pensate se questa presa di posizione fosse stata presa, mesi fa, dai paesi governati da esponenti del Pse – dalla Francia, dall’Italia, dalla Danimarca – non sarebbe servito il referendum greco, non sarebbe servito il sacrificio di quel popolo che, per difendere l’Unione, anche per noi, ha messo in pericolo i propri risparmi. Invece il Pse ha scelto il rigore, le privatizzazioni, la legislazione che limita i diritti dei lavoratori, l’aumento della tassazione indiretta e la diminuzione di quella diretta, in buona sostanza ha scelto di abbandonare a se stessi i poveri, i lavoratori, per difendere i ricchi, i privilegiati, ha deciso di allearsi con le forze del capitale, giustificando questa scelta nel nome della modernità.
Come ho scritto molte volte, di questa deriva portiamo la responsabilità tutti noi che abbiamo fatto politica in questi anni nel campo della cosiddetta sinistra riformista e fino a quando non rifletteremo, senza infingimenti, su questo nostro passato recente, che tiene avviluppato ancora tanti, non faremo passi in avanti. Il Pse è il morto che rischia di far annegare il vivo.
Poi c’è un’altra considerazione che riguarda proprio i cittadini greci. A quello che sappiamo la stragrande maggioranza dei giovani di quel paese ha votato no. Credo sia comprensibile, visto che proprio loro sono quelli che hanno subito più duramente gli effetti di questa crisi, che o non trovano lavoro – la disoccupazione giovanile supera il 60% – o, se lo trovano, è sottopagato e precario. Mi piacerebbe sperare che sia cresciuta tra quei giovani una forte consapevolezza di sinistra, ma temo non sia così. Soprattutto in questa generazione è penetrata a fondo l’ideologia ultraliberista, anche perché noi abbiamo offerto loro un pessimo esempio, in questi anni non abbiamo mai davvero rappresentato un modello alternativo per questi ragazzi.
I ragazzi greci sono così diversi dai loro coetanei italiani? Non credo. Tra i nostri giovani prevale la sfiducia nella politica, la difficoltà a riconoscere i valori della condivisione pubblica, l’idea che perseguire egoisticamente il proprio benessere sia un valore positivo. E’ l’ideologia ultraliberista che ha ormai inculcato nei nostri ragazzi l’idea che ognun per sé, Dio per tutti. Questo egoismo, che si trova nei giovani, ma prevale nettamente anche tra i vecchi – basta osservare i comportamenti collettivi di gran parte dei nostri contemporanei – è la destra “interiorizzata”, il capitalismo che ormai ha infettato i cervelli e inaridito i cuori, che si è diffuso come un cancro. Così ad esempio la difficoltà di condurre battaglie comuni, e il parallelo tentativo di trattare ognuno il proprio particulare, è uno dei motivi che indebolisce il movimento sindacale. Spero di sbagliarmi, ma credo che il voto dei giovani greci sia la reazione rabbiosa di una generazione con le pezze al culo, e non il prodromo di una rinnovata spinta di sinistra, del diffondersi dell’idea di partecipazione solidale.
Oggi fortunatamente in Grecia Syriza è riuscita a intercettare queste pulsioni, ma in altri paesi, dove la crisi non ha toccato così ferocemente la carne viva della persone, non è la sinistra a svolgere questo ruolo, ma la destra fascista, quella che vive e si rafforza esacerbando il conflitto tra gli ultimi e i penultimi, oppure la destra qualunquista, quella che dice che tutto va male, perché sono tutti uguali. E sempre nella storia, questi movimenti hanno fiancheggiato le forze del capitale, le hanno aiutate, sono state le loro naturali alleate.
Era importante vincere e Tsipras e i compagni di Syriza hanno fatto bene a usare tutti i mezzi per sconfiggere le forze del capitale, ma quanto di quel voto è frutto di un taglio decisamente nazionalista che il governo ha dato a questa consultazione, sfruttando anche il naturale risentimento antitedesco? Probabilmente molti hanno deciso di votare no spinti più dal desiderio di vendicarsi della Germania o dall’orgoglio greco che dall’adesione a un progetto politico così radicalmente di sinistra. Così come per noi è imbarazzante la compagnia delle persone con cui ci siamo ritrovati a festeggiare per l’esito del referendum: il nostro no non è quello della Lega, della Meloni, di Brunetta o di Grillo. In Italia abbiamo rischiato di rappresentare il no quasi solo come un’opzione della destra, della destra peggiore.
Francamente ho visto un po’ troppo entusiasmo intorno al risultato del voto greco. L’euforia è giustificata, perché adesso sappiamo che le forze del capitale non sono imbattibili, perché le vediamo costrette a trattare con gli “impresentabili”, con quelli senza cravatta, perché probabilmente adesso dovranno accettare di rinegoziare il debito; e tutto questo sarà un’iniezione di fiducia per i compagni di Podemos, per i compagni del Sinn Fein, per i tentativi che si stanno compiendo in Europa di costruire una sinistra nuova. Tra l’altro, morto il Pse, ossia il rappresentante della cosiddetta sinistra riformista, anche il senso della dicotomia tra sinistra riformista e sinistra radicale cade. Dal momento che la sinistra riformista non esiste più – o è una caricatura, come in Italia – la sinistra radicale deve anch’essa ridefinirsi, perché non basta più dire di essere a sinistra del Pse. A sinistra di niente non c’è posto per niente.
Mi pare che in Italia in particolare ci sia la tentazione di riunire tutta la sinistra, senza aggettivi, che si dia un’eccessiva enfasi alla necessità di stare tutti insieme. Capisco che sia importante, vista anche la nostra naturale tendenza a scinderci. Ma se è vero quello che ho detto prima, credo invece che qualche aggettivo occorra usarlo, altrimenti rischiamo che l’entusiasmo che si è creato intorno al pur importantissimo risultato del referendum greco venga vanificato nel lungo periodo. Come sapete io sono particolarmente affezionato all’aggettivo socialista, perché credo che questa parola possa esprimere ancora molta della sua potenzialità, possa spiegare il conflitto che c’è nel mondo – e lo abbiamo visto agire in questi giorni – tra le forze del capitale e quelle del lavoro. Una volta la chiamavano lotta di classe, altro termine che io voglio ricominciare a usare, perché spiega che si sta da una parte o dall’altra e che queste due parti sono destinate a scontrarsi. E infatti essere socialisti significa lottare per un’uguaglianza sostanziale, che è in antitesi alla concezione prettamente individualistica oggi così in auge; essere socialisti significa credere che esistano dei beni comuni da sottrarre al mercato, che la ricchezza debba essere redistribuita, che la piena occupazione e la dignità del lavoro possano porre dei limiti all’iniziativa privata, che il welfare debba essere universalistico.
Ad esempio credo sia significativo il fatto che una delle richieste della Troika su cui si è arenata la trattativa, sia stata quella di impedire al governo Tsipras di reintrodurre la contrattazione collettiva nazionale, abolita dai precedenti governi di destra. Dal momento che questa misura non ha incidenza sul debito che la Grecia è stata costretta ad accumulare, è chiaro che l’Unione europea ha condotto tutti i negoziati in questi mesi – e li sta conducendo oggi – con uno spirito violentemente ideologico, con l’obiettivo di cancellare i diritti conquistati dai lavoratori nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. E, guardando all’Italia, è altrettanto chiaro che il tanto decantato riformismo renziano, che ha prodotto – tra le altre castronerie – il jobs act, non è altro che la mera esecuzione di ordini che vengono dalle forze del capitale; anche per questo il risultato del referendum è stato così importante.
E’ stato necessario, ma non sufficiente. E’ stato necessario votare no, per fermare l’attacco del capitale, per guadagnare un po’ di tempo, per prendere coraggio, ma non è sufficiente per costruire una vera alternativa socialista, che prospetti un sistema radicalmente diverso dei rapporti economici e sociali. Mi pare che i compagni greci ci stiano provando. Noi purtroppo no.

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