Rosa Fioravante: “In un mondo normale sarei una moderata socialdemocratica”..

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti e Giorgio Piccarreta
Fonte: L_Antonio
Url fonte: https://lantonio2017.wordpress.com/2017/06/29/in-un-mondo-normale-sarei-una-moderata-socialdemocratica-qui-mi-tocca-far-la-parte-della-bolscevica-intervista-a-rosa-fioravante/

 a cura di Alfredo Morganti e Giorgio Piccarreta – 29 giugno 2017

Continuano sull_Antonio le ‘Interviste alla sinistra’, rivolte sia ai dirigenti politici nazionali, sia a chi agisce e rappresenta la sinistra nei territori, alla base, o da social influencer, giovane o anziano che sia. L’intervista di oggi è a Rosa Fioravante giovane dirigente politica, molto presente sui social, e membro del comitato di redazione di Italianieuropei. L’intervista è molto bella ed è ricca di spunti interessanti.

“Il socialismo è l’idea che nessuno possa vivere in miseria mentre altri hanno più di quanto possano consumare in una vita. Per governare bisogna avere un’idea di come farlo: se si governa per fare un favore alle multinazionali e all’1% non penso che sia utile governare. Sinistra è una parola che non significa più nulla. Se vogliamo attribuirle un significato fondamentale è quello della contestazione del presente e di una postura esistenziale che porti a volerlo ripensare e modificare tramite azioni collettive. La vocazione maggioritaria è un falso mito inventato nella seconda repubblica con il maggioritario per imbrogliare i cittadini. Io sono una riformista con idee radicali che mi derivano dal fatto che vivo una realtà radicalmente ingiusta. Credo molto nel socialismo liberale: da Turati e i Rosselli per rimanere in Italia a Rawls, condivido l’idea di sviluppo di Amartya Sen. Ho avuto un’adolescenza punk. Se dovessi fare una classifica tra gli scrittori, comunque, metterei Julian Barnes in cima”.

Rosa Fioravante, quale ‘socialismo’? E quanto ‘nuovo’ o diverso rispetto alla nostra tradizione?

 Vi sono molte idee di socialismo e in ciascuna di queste concezioni c’è qualcosa di importante anche per l’oggi. Universalmente parlando, il socialismo io credo sia l’idea che nessuno possa vivere in miseria mentre altri hanno più di quanto possano consumare in una vita, l’idea che ciascuno può concorrere al benessere della società sviluppando i propri talenti e occupandosi del bene comune, e l’idea che il benessere della persona umana sia più importante del profitto e della ricchezza che deriva dalla speculazione e non dal lavoro. Tutto ciò non è nuovo nella misura in cui le disgrazie umane alla fine sono sempre più o meno le stesse, ma è nuovo perché cambiano le forme dello sfruttamento.

La sinistra delle élite o quella dei ceti popolari? Quella che sviluppa, quando lo fa, egemonia culturale e ‘narrazioni’. Oppure quella che è fatta di ‘popolo’, di gente, di umili, di ultimi, e che cerca una ‘prossimità’ verso la propria base sociale?

Sinistra è una parola che non significa più nulla. Originariamente era il luogo di seduta nell’assemblea francese, una definizione geografica non di categoria politica. Se vogliamo attribuirle un significato fondamentale è quello della contestazione del presente e di una postura esistenziale che porti a volerlo ripensare e modificare tramite azioni collettive. Nel senso comune sinistra sono le tasse e la difesa di omosessuali e immigrati. Ho detto una cosa scorretta vero? Ecco sinistra è ormai sinonimo di politicamente corretto, fa venire i nervi persino a me.  Il “popolo” non esiste in quanto tale, esistono parti di popolo e da tempo la sinistra politica ha smarrito la volontà di appoggiarsi su alcune di queste parti e difenderle. Non è un processo irreversibile ma gran parte del dentifricio è uscito dal tubetto.

Quanto pesano oggi i ‘giovani’ nella politica che conta? Ma, prima ancora, esiste una categoria dei ‘giovani’ in politica oppure è un’invenzione del marketing?

I giovani di oggi, per mille motivi fra cui la precarietà esistenziale, la scarsa alfabetizzazione politica ecc. quando si impegnano nei partiti spesso lo fanno in modo molto accondiscendente, mentre quelli che si impegnano fuori dai partiti spesso non conoscono le leve del potere e se ne disinteressano. Due atteggiamenti che trovo sbagliati: non concepisco il fare battaglia politica “chiedendo il permesso” e non concepisco il non porsi il problema degli effetti concreti che la propria battaglia può portare per cambiare le cose. In generale, come diceva Lelio Basso, le giovani generazioni vivono tutte le contraddizioni materiali e spirituali della società. Bisogna risolvere quelle per risolvere la “questione giovanile”; i giovani certo possono avere un ruolo ma devono guadagnarselo organizzandosi, non avendo timore di “rompere le uova nel paniere” a qualcuno. Soprattutto organizzandosi non in quanto “under30” o “under40” ma per omogeneità di vedute e volontà di fare avanguardia. Ormai non trovo questa volontà nemmeno nei più rivoluzionari a parole, che al momento buono si rimettono sempre in riga; mentre coloro che vorrebbero contestare il sistema (a mio parere giustamente) spesso se ne pongono fuori diventando ininfluenti. Non vale per tutti ovviamente. Chi resiste lo fa con enorme dignità e nobiltà d’animo. Le migliori lezioni di politica le ho ricevute da “giovani” un po’ più esperti di me.

Che cosa non andava in ‘Sinistra Italiana’, cosa si aspetta invece da ‘Articolo 1’?

 Sinistra Italiana è nata come un progetto ambizioso: costruire un quarto polo alternativo al PD e alle politiche neoliberiste che il PD incarna dalla sua nascita e soprattutto farlo costruendo un partito. Penso sia un progetto molto valido tuttora e stimo molto i compagni che vi lavorano. Legittimamente la concezione di organizzazione di partito della dirigenza era diversa dalla mia: io credo al primato della politica e dei soggetti politici, il gruppo dirigente crede molto al movimentismo e allo spontaneismo, tutte cose molto positive ma nelle quali io ripongo meno fiducia per cambiare effettivamente le cose. Inoltre fondare un partito per poi invocare la “lista civica nazionale” lo trovo un controsenso, avrei preferito si fosse lavorato su quello da subito se si riteneva l’orizzonte giusto. Se si va verso una prospettiva unitaria (che auspico) sarebbe bene andarci con un soggetto politico unitario non con una lista elettorale che il giorno dopo le elezioni si polverizza. In Articolo UNO ho ritrovato una discussione molto simile a quella fatta l’anno precedente in merito al se considerare Renzi una meteora nel PD o un inveramento delle sue premesse fondative e quindi se costruire una zattera su cui aspettare che passi la tempesta o qualcosa di veramente discontinuo. Dove per discontinuo si intende non solo con gli ultimi governi ma con le politiche del centrosinistra degli ultimi trent’anni. Io credo che se personalità come quelle che animano Articolo UNO con la loro storia (fatta di luci e ombre) e la loro statura si convincono della necessità della discontinuità allora a sinistra possa davvero nascere un progetto ambizioso e duraturo, tutt’altro che protestatario e minoritario come quelli a cui altri hanno dato ripetutamente vita negli ultimi anni con formule diverse. Ce li vedete D’Alema e Bersani a fare la sinistra oltranzista?! Certo non possiamo più nemmeno fare la sinistra che a parole dice di tutelare i lavoratori e poi con la mano firma leggi che ottemperano al trattato di Maastricht invece che alla nostra Costituzione.

Massimo D’Alema, in un’intervista a ‘L_Antonio’ ha detto che “nel nostro Paese la sinistra non è autosufficiente”. Ha anche aggiunto: “non dobbiamo avere pretese di autosufficienza”. Cosa ne pensa? Lei sostiene una ‘vocazione maggioritaria’ della sinistra, oppure pensa a un fronte politico largo, dove culture diverse agiscano assieme secondo punti programmatici comuni?

 In democrazia rappresentativa i cittadini votano affinché qualcuno si occupi degli affari comuni negli interessi dei propri elettori e della nazione (ecco, ho detto un’altra parolaccia a sinistra!). Per farlo è necessario fare accordi, impegnarsi in lunghe mediazioni, trovare compromessi ecc. Ma fra svendere i propri ideali e valori e fare dei compromessi per avvicinare la realtà a quei valori, ci passa di mezzo la differenza fra essere subalterni all’agenda altrui e saper portare a casa risultati per la propria. La vocazione maggioritaria è un falso mito inventato nella seconda repubblica con il maggioritario per imbrogliare i cittadini: era il tentativo di avere molto potere (finto, visto che comandano comunque a Berlino-Bruxelles) senza che si avesse la maggioranza del consenso nel paese. La vocazione maggioritaria è il contrario di “culture diverse che agiscono insieme secondo punti programmatici comuni”: significa annacquare una visione del mondo, dell’economia e della società per creare un calderone indistinto in cui non si capisce più quali interessi, quale “parte di popolo”, si rappresenta. I cittadini l’imbroglio lo hanno capito benissimo e infatti ormai in larga parte disertano le urne. Altra cosa è avere un mandato di difesa di interessi sociali e trovarsi nelle istituzioni a dover mediare con chi ne difende altri, magari nel nome dell’interesse comune di cui si legge nella Costituzione: questa è una cosa sana ed è la punta più alta della politica istituzionale.

 ‘Sinistra di governo’, per lei, è un ossimoro, una diminutio, una brutta locuzione, oppure è il vero e unico obiettivo, con quel che ne consegue, ovviamente, in termini di possibilità di cambiamento ma anche in termini di responsabilità verso lo Stato, le alleanze politiche e sociali, e le comunità e i trattati internazionali?

Io sono una riformista con idee radicali che mi derivano dal fatto che vivo una realtà radicalmente ingiusta. Considero il partito un mezzo e il governo un fine: certo il partito è un mezzo che eccede il fine nella misura in cui rappresenta una comunità di valori e intenti, è infrastruttura della società ecc. ma se al governo si fanno cose sbagliate, la disciplina di partito deve venir meno. Anche il governo lo considero un mezzo poiché il fine è il benessere della maggioranza delle persone, se si governa per fare un favore alle multinazionali e all’1% non penso che sia utile governare. In ogni caso per governare bisogna avere un’idea di come farlo, di come sanare i conflitti sociali in modo equo, di come implementare un disegno strategico di sviluppo del paese, di come architettare il vivere comune su territorio nazionale e internazionale per i mesi e allo stesso tempo i decenni a venire. Motivo per il quale per governare bisogna saper fare una buona opposizione: in Italia la Sinistra ha sempre avuto l’ossessione del governo ma si è scordata che per vincere le elezioni serve avere un programma autonomo e aver fatto una convincente opposizione agli avversari. In Italia c’è gente che pensa che fosse una vittoria del centrosinistra che Berlusconi sia stato fatto fuori dalla Merkel o ridicolizzato dai giudici, non mi stupisco che oggi le persone piuttosto che votare costoro credano a chi propone campagne contro le scie chimiche.

 Ci indichi la tradizione politica e di pensiero a cui fa riferimento. A proposito, ha ancora un senso parlare di ‘tradizione’ oppure anche qui dovrebbe prevalere un segno di discontinuità forte?

Senza tradizione non può esserci innovazione. Keynes diceva che tutti quegli economisti che credono di essere “uomini nuovi” sono in realtà schiavi di qualche pensatore defunto. Per trent’anni ci hanno spacciato la fine delle ideologie come una verità incontestabile quando l’unico dato di realtà è che le ideologie ci sono e ci hanno consegnato un mondo fra i più diseguali possibili, con una crisi economica drammatica, una crisi ambientale che miete vittime ogni giorno e una crisi valoriale che investe tutto occidente. Io credo molto nel socialismo liberale: da Turati e i Rosselli per rimanere in Italia a Rawls, condivido l’idea di sviluppo di Amartya Sen. Trovo sia un modo per avere giustizia sociale ed equità senza rinunciare al libero pensiero e alle soddisfazioni individuali. L’impegno politico però è tutto frutto dell’esistenzialismo: Sartre e Camus sono punti di riferimento imprescindibili per chi crede nel cambiare il mondo attraverso la politica. Tutti questi pensieri sono discontinui: dicono il contrario di ciò che è stato detto e fatto dalla maggior parte dei politici occidentali di ogni schieramento negli ultimi decenni, non è poco. Praticamente in un mondo normale sarei una moderata socialdemocratica, qui mi tocca far la parte della bolscevica, capitemi, non mi ci trovo a mio agio ma è necessario.

Cosa ascolta Rosa Fioravante? Quali film o serial tv vede? Il poeta che ama di più? E qual è l’autore di narrativa che preferisce?

 Ho avuto un’adolescenza punk, dai Clash e gli Anti-Flag ai Blink182, con qualche fascinazione per gli Articolo31 non fosse altro per condivisione di origini geografiche e ovviamente un amore spassionato per Guccini e De André ma questo si intuisce. Dall’università in poi per lo più indie: Editors, Alt-J, Arctic Monkeys, Kasabian. Interpol. Ho una passione anche per l’intrattenimento spazzatura se devo essere sincera: al volante sento sempre musica super commerciale e quando ho periodi intensi di studio guardo tutta la tv trash che trovo, dal Grande Fratello alle serie tv del momento. I telefilm che so a memoria battuta per battuta comunque sono Gilmore Girls, Skins e Sex and the City. A memoria, giuro. In libreria ho frequentato tanti classici, ho adorato Thomas Mann, ma alla fine la mia anima pop riemerge anche lì: ho divorato la saga di Harry Potter; se dovessi fare una classifica comunque metterei Julian Barnes in cima. Quanto alla poesia, amo tutto il decadentismo e fra i russi prediligo Blok.

Tifa per una squadra oppure il calcio è l’oppio dei popoli?

Lo sport è tutto bello e importante. Il mio contempla più che altro l’andata e ritorno dal letto alla scrivania al frigorifero, ma ammiro molto chi ha la costanza di allenarsi e la passione per il gioco di squadra. Ho sempre fatto danza da piccola, purtroppo di calcio mi intendo poco. Lo so che Togliatti non approverebbe, ma infondo io son socialista!

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Rosa Fioravante, 28 anni, laureata magistrale in Filosofia Politica presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sulle ideologie della globalizzazione. Ha tradotto e curato il volume “Quando è troppo è troppo! Bernie Sanders” per il quale ha scritto un saggio conclusivo. Si è occupata di valutazione universitaria e internazionalizzazione nell’ambito della rappresentanza studentesca, è stata responsabile esteri e project manager per IUSY negli anni di militanza nel PD. Nel 2016 ha partecipato al processo costitutivo di Sinistra Italiana divenendo CoPresidente della Commissione tesi congressuali e membro della direzione nazionale dalla quale si è dimessa uscendo dal partito. E’ fra i fondatori della rete giovanile di cultura politica socialista “i Pettirossi”. Attualmente è membro del comitato di redazione della Rivista Italianieuropei.

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