Un impegno per la prossima legislatura, nessuna grande riforma costituzionale di parte

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Pertici
Fonte: huffingtonpost

di Andrea Pertici – 6 dicembre 2017

È trascorso un anno dal referendum sulla riforma costituzionale del Governo Renzi, bocciata il 4 dicembre 2016 da quasi venti milioni di elettori, con la partecipazione di oltre il 65% degli aventi diritto.

Se a quel risultato conseguirono le dimissioni del Governo che su quella riforma costituzionale aveva investito tutto, è mancata – come abbiamo detto più volte – un’adeguata analisi di quell’espressione della volontà popolare.

Quel risultato, infatti, non sembra da leggere solo come la sconfitta di una persona, ma come la bocciatura di un approccio alla Costituzione che, in realtà, gli italiani avevano già respinto dieci anni prima, quando avevano bocciato la revisione costituzionale del Governo Berlusconi.

Le due riforme, pur con alcune differenze contenutistiche (soprattutto rispetto alla questione delle autonomie), condividevano sia aspetti di metodo che di merito. Dal primo punto di vista entrambe erano proposte dal Governo dell’epoca e approvate dalla sola maggioranza che lo sosteneva. Nel merito, invece, pur con le specifiche differenze del caso, entrambe le revisioni – per espressa ammissione dei loro ideatori – miravano a rendere più agevole l’assunzione di decisioni da parte della maggioranza (nel secondo caso, con la complicità di una legge elettorale poi risultata incostituzionale).

Sotto quest’ultimo profilo, occorre ricordare come le Costituzioni (rigide) nascano con il preciso obiettivo di limitare il potere della maggioranza, salvaguardando così i diritti delle persone da chiunque possa prevalere in quel determinato momento storico. Le continue lagnanze di molti governi italiani circa i freni che la Costituzione avrebbe messo loro sono parsi spesso pretesti per coprire la loro inadeguatezza nell’amministrazione del paese. In effetti, gli Esecutivi sembrano sempre più spesso impegnati in un’attività legislativa, rispetto alla quale mal sopportano i pur non molti vincoli – procedurali e di merito – imposti dalla Costituzione a salvaguardia dei principi e delle libertà su cui la stessa si fonda, mentre risultano avere trascurato la funzione amministrativa che loro compete e rispetto alla quale la Carta fondamentale non rappresenta certamente un impedimento. Gli elettori, nel 2006 come nel 2016, sembrano avere compreso l’importanza di avere una Costituzione capace di limitare i poteri della maggioranza di turno anche rispetto all’intervento (potenzialmente pure restrittivo) sui loro diritti e per questo hanno, in entrambi i casi, votato “No”.

Quanto al metodo, occorre considerare che la Costituzione fu elaborata in sede di Assemblea costituente da un’apposita commissione, composta dai rappresentanti di tutti i partiti politici presenti e che fu discussa senza alcuna ingerenza del Governo, che lasciava i propri banchi alla suddetta commissione, mentre il Presidente del Consiglio dell’epoca, Alcide De Gasperi, intervenne una sola volta e dal proprio banco di deputato della Democrazia cristiana. Questo metodo consentì l’approvazione finale con una percentuale di quasi il 90% dei presenti, facendo sì che nella Costituzione repubblicana potessero riconoscersi praticamente tutte le forze politiche, pur nelle loro profonde differenze ideologiche e nella distanza delle proposte programmatiche. Cercare di trasformare la Costituzione in un testo capace di rappresentare solo una parte, e in particolare quella al Governo in quel determinato momento, piegandola alle proprie contingenti esigenze finisce per negare la stessa funzione della Costituzione, che deve rappresentare il perimetro entro il quale il confronto politico si realizza consentendo la scelta tra programmi alternativi, nella garanzia del rispetto dei principi e dei diritti costituzionalmente garantiti.

Se questa legislatura ha quindi rappresentato, rispetto alla Costituzione, solo la replica di errori già compiuti, c’è da augurarsi che la prossima segni a questo proposito una chiara discontinuità. Per questo sarebbe molto rassicurante se tutte le forze politiche che si candidano alle prossime elezioni si impegnassero a non fare di una “grande riforma” costituzionale l’oggetto di un programma di governo, condividendo l’idea che alcune utili – e puntuali – leggi di revisione della Costituzione possano essere discusse e approvate con il concorso di una larga maggioranza parlamentare. Sarebbe il riconoscimento che la Costituzione è per tutti il perimetro del confronto tra alternative politiche diverse e sarebbe un buon prologo alla legislatura che verrà.

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