Un conflitto mondiale, altro che guerra russo-ucraina

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Un conflitto mondiale, altro che guerra russo-ucraina
Hai voglia a chiamarla guerra russo-ucraina, e a utilizzare lo schema tecnico-interpretativo “aggredito-aggressore”. Questa è una guerra mondiale a tutti gli effetti, e tale verrà ricordata nel tempo, soprattutto se perdurerà l’escalation e si perverrà a un punto bellico di non ritorno. Sono coinvolti (direttamente e indirettamente) nello scontro non solo i due paesi che denominano il conflitto, ma indirettamente (in certi casi mica tanto) decine e decine di altri, compresa l’alleanza militare occidentale Nato e, molto in subordine, l’UE. La quantità e qualità di risorse impegnate nel conflitto supera di gran lunga precedenti eventi storici; sappiamo che gli arsenali occidentali si stanno svuotando e che centinaia di miliardi affluiscono in varie modalità nel calderone della guerra, rinvigorendo l’industria bellica e rivoluzionando i bilanci pubblici nazionali.
La crisi economica ingenerata anche (soprattutto) dalla guerra stessa sta gettando scompiglio nel mondo intero, a partire dall’Europa, in una fase in cui il disasatro climatico incombente e la crescita delle diseguglianze già facevano del loro. Accade persino che si riuniscano in un vertice le forze democratiche e socialiste europee, e al tavolo trovino (con sommo sbigottimento, ma senza fiatare) Stoltenberg, ossia la Nato in persona, l’ospite ingrato, il convitato di pietra. Sembra quasi che l’occidente abbia deciso la propria eutanasia.
La forza d’urto del caos bellico sta squassando il mondo, assumendo dimensioni sempre meno controllabili, eppure si resta incapocciati allo schemino “aggredito-aggressore”, si fa leva su di esso per consegnare a Zelinsky miliardi e miliardi di armamento bellico che si consumano in un batter d’occhio, si spinge la Russia al’escalation, quasi ci si frega le mani in occidente che il conflitto si inasprisca. L’informazione è drogata dalla volontà di riarmo della classe dirigente, dalla convinzione che questo rilanci l’economia, frutti punti di PIL, e dall’idea di far fuori Putin cogliendo l’attimo del Donbass (che ‘attimo’ non è, visto che da anni lì c’è una guerra nemmeno troppo strisciante, con 14.000 morti tra civili e militari in tutte le fazioni). Un conflitto mondiale, dicevamo, eppure facciamo finta che tutto si giochi e si contenga nel fazzoletto di terra ucraino, spiegato integralmente dalla cattiveria di Putin, motivato dallo schema dell’aggressione, ma badando bene che non tracimi a disturbare gli ingranaggi di mercato occidentali, ma anzi li alimenti.
Non si troverà una soluzione se non si comprenderà che il conflitto è mondiale, è pericolosissimo, è quasi fuori controllo, non lo giocano solo Zelensky e Putin ma riguarda tutti, visto che potrebbe provocare, di balzo in balzo, una catastrofe generale. Peraltro si sta saldando un’alleanza russo-cinese, quale effetto collaterale dello sciocchezzaio occidentale, e si stanno già determinando nuovi equilibri mondiali, di cui l’impennata migratoria è solo un possibile effetto. Detto ciò, che aspettiamo ad allargare lo sguardo a questa fenomenologia mondiale? Perché si resta ancora avvinti allo schema locale, aggredito-aggressore, che spiega solo in parte il suicidio collettivo che ci stanno imponendo? Domande retoriche. Peraltro, da questa palude, si uscirà, se si uscirà, solo a destra, visto che i progressisti non potevano lasciare la belligeranza ai belligeranti, non potevano essere per la pace, non potevano non cadere nella retorica della guerra, perché «l’aggredito, l’aggressore, Putin è il male, Zelensky fa bei discorsi e meriterebbe il Nobel, ecc. ecc.».
La verità è una sola, ed è questa: sta prevalendo l’istinto bellico, a oriente come a occidente, anzi forse più a occidente, visto il protagonismo di pace cinese. Si ritiene questo istinto l’unica risorsa in tempi di crisi come questi, com’è già accaduto in altri momenti storici. Altro che mediazione, altro che politica, dialogo, negoziazione, riconoscimento reciproco dei diritti e delle ragioni. La guerra, solo la guerra, lo scontro diretto con l’avversario, la disintermediazione, l’azzeramento del confronto e del dibattito pubblico, il menare le mani come prima e unica soluzione (non pensate solo a Putin, pensate anche all’Iraq, all’ “errore” iracheno, o al Medio Oriente, per dire).
Ma chi ci va di mezzo per primo è il popolo ucraino, il popolo che si vorrebbe retoricamente “eroe”, che subisce a casa sua la follia delle classi dirigenti e del capitalismo più stolto e disumano che si conosca. La pace che viene da una negoziazione, dal dialogo, dalla trattativa, da un cessate il fuoco, non è affatto una resa, ma sarebbe al contrario la salvezza per quelle donne, quegli uomini, quei bambini. Alla fine di tutto c’è un’unica alternativa: una soluzione negoziata, dove la pace non sia considerata l’esito della guerra, ma un’altra cosa, del tutto lontana e avulsa dalla follia delle armi. Chiedo troppo, lo so. Già sento le obiezioni: e l’aggredito? E l’aggressore? E i sacri confini? E il popolo eroe? E la retorica nazionale? E il Male? E il Bene? Stiamo messi così, come gli stolti.
Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.