Ultimo, il telefono

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Grazia Nardi
Fonte: Rimini Sparita
Url fonte: https://riminisparita.it

di Grazia Nardi – 23 luglio 2014

Mentre il televisore portava il mondo in tutte le case accorciando non di poco le distanze sociali, il telefono, nei primi anni 50, rimaneva tabù almeno presso il ceto popolano.
Il telefono? Per far che? Le relazioni umane erano per lo più dirette. La cerchia dei parenti stretti ruotava attorno a ogni persona, con gli amici ci si incontrava quotidianamente sul lavoro, durante la spesa, nelle veglie serali.
Nel tempo della “spesa” era calcolato quello destinato alle “du ciacri” da scambiare nella bottega, negli incontri che avvenivano nella pescheria, al mercato: “cum stét? e e’ tu fradel? La tu fiola l’a sé spuseda? Ce dventa nona? L’e’ mort Luis!? A ne saveva, ad cò clé mort? D’un malaz? E Valter? L’era un péz che steva mel.. purein e’ menc la fnì da patì. Ehh chi muore tace e chi vive si dà pace! E la Teresina sa che mat de su marid? L’e’ stè sgrazieda, pensè che l’è sempre stè una bona dona, lò un vagabon e faquajon.. ehh sol al puteni gli ha furtuna…set ved la Lavrina salutla e dì cl’an se zcorda.. nun a stemm sempre i lè…adess la fa la pacouna …per e’ front la zircheva i schert dai inglis..
Più o meno questo il tenore di scambi che, tappa per tappa mattutina, diffondevano notizie sullo stato di amici e parenti e che, come cerchi concentrici nell’acqua, si allargavano e ramificavano uniti a quelli che gli uomini più giovani praticavano al bar, nella cantina quelli più su con gli anni.
Nelle veglie serali vicini al fuoco della stufa d’inverno, sulla strada davanti i portoni d’estate, le chiacchiere diventavano corali, le storie s’intrecciavano, si scoprivano parentele fin lì ignorate, si sussurravano gli scandali dell’epoca con termini smorzati per sviare l’attenzione dei bambini che, per nulla annoiati, si sentivano attratti dai discorsi dei “grandi” convinti che prima o poi avrebbero captato qualche informazione “proibita”.
“Avì savù dl’Antognetta? E’ su marid l’endé chesa prima de lavor e u la trova a let se su amig….”
Ma certo il luogo eletto per le chiacchiere era (ed è ) il mare, d’estate, sotto l’ombrellone. Allora sotto la tenda, sulla sedia a sdraio o più semplicemente sull’asciugamano steso sulla sabbia, sì perché all’epoca nessuno l’avrebbe chiamato “telo” trattandosi dello stesso usato per l’igiene personale, di quelli corti, sottili, rigatini.
Lì, tra una partita a carte, un giro nel lavoro a maglia, una pausa nella lettura di un giornale o di un libro, circolavano tra uomini e donne, tutte le notizie dell’anno: corna (altrui), lavoro, amori, preoccupazioni, progetti, aspirazioni, promesse.
Ed i contatti con chi abitava in altre città? Parenti emigrati? I fidanzati estivi rimpatriati? Lettere! Scritte a mano, il francobollo passato sulla lingua, non di rado stese in “brutta” e poi ricopiate in bella. Imbucate per posta aerea, con la busta orlata a tratti colorati, quelle destinate all’estero. Ricordo che la mamma le spediva al babbo, a Liverpool dove faceva scalo il mercantile su cui era imbarcato. La buca per la posta aerea era sotto i portici, in piazza Cavour dove si trova oggi la sala degli Archi.
Era più facile, allora, credere che l’uomo avrebbe presto passeggiato sulla luna piuttosto che ipotizzare un epoca, neanche tanto lontana, in cui si sarebbero scambiati messaggi con telefonini portatili o navigato con gli smartphone.
Dunque il telefono veniva associato esclusivamente ad un uso professionale, l’avuched, e’ dutor..potevano usare il telefono ma gli altri… a che scopo? Al massimo il titolare del negozio perché i bottegai dovevano fare “gli ordini” delle merci eppoi all’occorrenza si prestavano come servizio pubblico per i clienti. E’ sì perché le prime, indifferibili telefonate, prima ancora che nei bar frequentati pressoché esclusivamente da uomini, si sono consumate nella bottega dei generi alimentari, con quel telefono nero, in bachelite, appeso al muro in senso verticale, con la rotellina che girava attorno ai numeri e la rubrica, piccola, ciondolante dallo spago legato al chiodo, legata con la matita. Gratis agli inizi, col contascatti in seguito.

telefo
E qual era la telefonata più urgente? Quella al medico. Il che non poteva capitare spesso perché la visita del dottore era un costo aggiuntivo difficilmente sostenibile, da praticare solamente dopo il fallimento dei rimedi naturali, in presenza di gravi presagi. Ed in genere era la mamma che correva al telefono fuori casa.Il primo telefono entrato quindi nella storia del “popolo” è stato quello nero, seguito dall’apparecchio grigio, per poi passare a quelli a tasto ed arrivare alla storia dei giorni nostri. Si è fatto un gran parlare dei telefoni bianchi, fino a definire un’epoca ed un filone cinematografico, tra gli anni trenta e quaranta.

telefoni

Ma, per l’appunto, quegli apparecchi rimasero confinati nella finzione in uso a dame platinate perennemente in vestaglia mantenute dal gangster o ad aristocratici proprietari terrieri che venivano puniti dal destino per la loro crudeltà nei confronti dei poveri contadini che lavoravano le loro terre. Un buonismo che doveva rassicurare gli spettatori nel clima edulcorato che i regimi di allora cercavano di sovrapporre alla realtà.
Telefoni bianchi così inutili persino in quelle storie tanto da dubitare che fossero veri……poi arriva il duplex….

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