Ucraina, Papa Francesco: “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” – Guerra più guerra non fa pace. Una verità semplice

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marco Tarquinio
Fonte: Avvenire

Il Papa al Corriere: sono pronto a incontrare Putin a Mosca

Francesco a colloquio con il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana: io sento che prima di andare a Kiev devo andare a Mosca. “La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto”

Vatican News

“Ho un legamento lacerato, farò un intervento con infiltrazioni e si vedrà”. “Da tempo sto così, non riesco a camminare. Un tempo i papi andavano con la sedia gestatoria. Ci vuole anche un po’ di dolore, di umiliazione”. Francesco giustifica così il fatto di non potersi alzare per salutare il direttore Luciano Fontana e la vicedirettrice Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera che riceve a Santa Marta per l’intervista che il quotidiano pubblica oggi. Una conversazione centrata sul tema della guerra in Ucraina contro la quale si è appellato sin dal primo giorno, il 24 febbraio scorso, e per la quale tanti sono stati finora i tentativi di mediazione, a partire dalla telefonata a Zelenski, alla visita all’ambasciata russa presso la Santa Sede per chiedere di fermare” le armi, e soprattutto con la disponibilità ad andare a Mosca fatta pervenire da subito al presidente Putin. “Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di far arrivare il messaggio a Putin che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo era necessario – afferma il Papa – che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tutta questa brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa”.

Le guerre si fanno per provare le armi che abbiamo prodotto

Nelle parole del Papa anche la riflessione delle ragioni della guerra e sul “commercio” delle armi che per il Papa resta sempre uno “scandalo” contrastato da pochi. Francesco parla di “un’ira facilitata” forse, dall’ “abbaiare della Nato alla porta della Russia” che ha portato il Cremlino a “reagire male e a scatenare il conflitto”. “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini – ragiona –. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto”. Pochi contrastano questi commerci, invece si dovrebbe fare di più e il Papa cita lo stop a Genova di un convoglio che portava armi nello Yemen e che i portuali scelsero “due o tre anni fa” di fermare.

Prima il viaggio a Mosca. Il Patriarca non è il chierichetto di Putin

Nessun viaggio a Kiev per ora è previsto, prima ci deve essere quello a Mosca. Ripercorrendo gli sforzi fatti o da poter fare per fermare l’escalation della violenza, il Papa chiarisce: “A Kiev per ora non vado”, “sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…”. E ancora a Mosca il Papa guarda per la possibilità di agire insieme al Patriarca della Chiesa ortodossa Kirill. Cita il colloquio di 40 minuti via zoom del 15 marzo scorso e le “giustificazioni” della guerra citate da Kirill, e torna sul mancato appuntamento a giugno a Gerusalemme. “Ho ascoltato – afferma Francesco nell’intervista al Corriere della Sera – e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare via di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”.

Un mondo in guerra per interessi internazionali

Si allarga ancora lo sguardo del Papa per parlare dei diritti dei popoli in un mondo in guerra, quella “terza guerra mondiale” tante volte evocata e temuta. Non un “allarme”, precisa, ma “la constatazione delle cose: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sembra che sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio. Certo loro sono un popolo fiero”.

Lo “scandalo” della Via Crucis: per la pace non c’è abbastanza volontà

A questo proposito il Papa torna alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo e alle richieste da parte ucraina che hanno portato allo stop alla lettura della meditazione nella tredicesima stazione, guidata da una donna russa e da una ucraina. Francesco spiega del colloquio avuto con l’Elemosiniere, il cardinale Krajewski, che per la Pasqua si trovava proprio a Kiev per la terza volta inviato dal Papa dall’inizio del conflitto. “Ho chiamato Krajewski che era lì e lui mi ha detto: si fermi, non legga la preghiera. Loro hanno ragione anche se noi non riusciamo pienamente a capire. Così sono rimaste in silenzio. Hanno una suscettibilità, si sentono sconfitti o schiavi perché nella seconda guerra mondiale hanno pagato tanto tanto. Tanti uomini morti, è un popolo martire. Ma stiamo attenti anche a quello che può accadere adesso nella Transnistria”. Ma  il 9 maggio potrebbe essere la fine di tutto. Dall’udienza a Viktor Orbán, primo ministro dell’Ungheria il 21 aprile scorso in Vaticano, il Papa dice di aver saputo che “i russi hanno un piano”. “Così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi”.

L’Italia, la Cei: cerco un cardinale autorevole che voglia innovare

Infine lo sguardo del Papa, nella conversazione col Corriere della Sera, si ferma all’Italia, la politica da Napolitano a Mattarella e al rapporto “molto buono” con Mario Draghi, “una persona diretta e semplice”. E ancora il “rispetto” per Emma Bonino, anche se non ne condivide le idee “ma conosce l’Africa meglio di tutti”. Poi le riforme in Vaticano e la Chiesa italiana che attende il nuovo presidente dei vescovi: “Una delle cose che cerco di fare per rinnovare la Chiesa italiana è non cambiare troppo i vescovi. Il cardinale Gantin diceva che il vescovo è lo sposo della Chiesa, ogni vescovo è lo sposo della Chiesa per tutta la vita. Quando c’è l’abitudine è bene. Per questo cerco di nominare i preti, come è accaduto a Genova, a Torino, in Calabria. Credo che questo sia il rinnovamento della Chiesa italiana”. Per il nome che sceglierà a capo dei vescovi, nella prossima assemblea della Cei, chiarisce: “Cerco di trovarne uno che voglia fare un bel cambiamento. Preferisco che sia un cardinale, che sia autorevole. E che abbia la possibilità di scegliere il segretario, che possa dire voglio lavorare con questa persona”.

Ucraina, guerra più guerra non fa pace. Una verità semplice

di Marco Tarquinio

Dicono che per far finire la guerra bisogna fare più guerra. E a noi che diciamo che non è vero, che guerra più guerra in Ucraina e ovunque significa solo un più grande massacro di vite umane e di verità, ribattono: e allora come lo fermate, voi, Putin? Lo fermate con le preghiere e le marce per la pace? Con le carovane di pacifisti, le missioni della Caritas che portano cibo e medicine in Ucraina e riportano in salvo i disabili e ancora altri profughi? Lo fermate con la diplomazia degli smidollati disposti a parlare con il «criminale del Cremlino»? Lo fermate con le buone intenzioni e con le buone azioni che le nonne, le madri e le maestre insegnano ai bambini: “Ricordati, quando due si picchiano, ha ragione solo il primo che smette”?

Già, la guerra è cosa da grandi, da uomini veri. (Pensateci: dove sono finite le foto delle bambine col fucile e dei ragazzini d’Ucraina con le molotov? Evaporate con i massicci rifornimenti di armi da adulti. Pensateci: dove sono finiti i ragazzi russi di neanche vent’anni, «partiti soldato e non ancora tornati», come canterebbe De Gregori, perché morti al fronte? Ragazzi dei quali le madri cercano invano qualche notizia mentre i loro corpi non vengono accettati indietro dai generali di Putin).

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Già, la guerra è cosa da grandi. E la pace è roba da piccoli, da bambini. Per questo non ne facciamo più di bambini, noi come i russi. E facciamo le guerre, i russi come noi. Magari per procura. Le guerre attraverso gli altri. Costi quel che costi. Se necessario – constatazione dolente e amarissima di Jeffrey Sachs – «fino all’ultimo ucraino». Parole terribili, che potrebbero stare in bocca all’uomo del Cremlino e stanno in testa agli strateghi, d’occidente e d’oriente, della nuova guerra fredda.

Una volta si diceva “Dio lo vuole”, oggi qualcuno si azzarda ancora a dirlo, ma ormai basta dire “il popolo lo vuole”, anzi quel popolo lo vuole. Assolutamente lo vuole. E anche questo è populismo, e della peggior specie.

Guerra più guerra, allora, non per “resistere” non per “liberare”, ma per “vincere”, e a quel punto, solo a quel punto, far finire finalmente la nuova e atroce tappa dell’eterna guerra dei grandi che distrugge la vita e la pace dei piccoli.

No, mille volte no. Ma noi, che vogliamo pace e chiediamo tregua immediata, come lo fermiamo Putin? Noi che diamo ascolto a papa Francesco che chiama i giochi di potere «follia», il riarmo una «vergogna» e la guerra «sacrilega». Noi che prendiamo esempio da Gandhi, King, Mandela, Capitini e Tonino Bello (anche se è quasi tutta gente morta ammazzata o troppo giovane). Noi che crediamo in una resistenza nonviolenta persino alla guerra dei carri armati. Noi che ci emozioniamo e ci mobilitiamo per non lasciar soli i Nastri Verdi dei coraggiosi e disarmati obiettori russi al regime di Putin. Noi che ci entusiasmiamo per gli ucraini che affrontano con pura voce, mani alzate e bandiere giallo-blu le colonne militari venute da est.

Non so più quante volte ce lo hanno chiesto: voi che vi dite nonviolenti, come lo fermate Putin?

(Lo stesso Putin che attraverso i suoi scherani ha sostenuto – ma questo glielo rinfacciamo in pochi – la “nave nera” che nel Mediterraneo ha dato in lungo e in largo la caccia a chi soccorre i profughi dalla pelle scura, scappati da altre guerre che magari armiamo, ma preferiamo non vedere e non riconoscere).

Scusate. Ma voi, voi altri, voi che avete l’unica risposta – la guerra – e tutte le armi, tutte le strategie e tutti i calcoli giusti, lo avete forse fermato il signor Putin? O vi state facendo suoi soci nella nuova guerra dei mondi? Diteci come lo fermate voi che vorreste proibirci anche solo di dire che una Terra più piena di armi non è un posto sicuro, ma è un mondo che non sa vivere la pace e dunque si prepara a far perdere all’umanità la prossima guerra.

Quando ero giovane, mi ero piazzato davanti agli occhi, sulla scrivania, una frase di Leo Longanesi «Quando potremo scrivere tutta la verità, non ce la ricorderemo più». Era un monito. L’ho tolta, ormai da parecchio tempo. Il tempo di dire la verità è sempre adesso. Nessuno ha la verità in tasca, e la verità è una strada, ma ci sono verità semplici. Gli eroi sono quelli che non uccidono. E guerra più guerra non fa pace.

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