Fonte: facebook
di Lanfranco Turci – 15 marzo 2015
Il progetto di “coalizione sociale” lanciato dalla FIOM potrebbe essere l’inizio di una ristrutturazione della sinistra e della nascita di un nuovo soggetto politico. O potrebbe presto risolversi nella inconcludenza e in nuove rotture all’interno di ciò che resta della sinistra politica e sociale. Io tendo a vedere nella mossa di Landini notevoli potenzialità che vanno colte e aiutate ad emergere.
1) Comincio con una nota che avevo pubblicato il 30 NOVEMBRE DEL 2014 e che ritengo tuttora valida: “A questo punto dello stato della sinistra, scrivevo, vado alla disperata. Secondo me in una società dominata dai media (che ci piaccia o no è quella in cui viviamo) non si può prescindere da un leader nuovo e trainante. Guardate Tsipras e Iglesias. Un leader che abbia sangue fresco da spendere, una origine popolare e l’impronta del mondo del lavoro. Un leader che non lasci dubbi sul suo orientamento di sinistra e anti liberista. Un leader che non cerchi l’angolino identitario e sfidi il Pd parlando ai vecchi elettori e militanti di sinistra e al contempo ai giovani senza storia politica alle spalle…. Per me fare un discorso di questo tipo è uno strappo, anzi è uno schiaffo alla mia formazione e alla mia cultura politica. Ma solo un Landini, nel panorama attuale della sinistra, ci potrà salvare o almeno tentare con qualche possibilità.”
2) Landini ha capito che occorre un linguaggio politico nuovo. Non serve il nostro da intellettuali della politica, nè tanto meno il politichese corrente che allontana la gente come la peste. Landini o per calcolo consapevole, o per la sua stessa formazione, si muove fuori dal recinto consunto della politica corrente. Quel recinto, lo sappiamo, è consunto per effetto di una campagna ben pilotata di anni e anni di predicazione antipolitica, che ha contestato, in nome della lotta agli scandali, le basi stesse della istituzioni democratiche e dei corpi intermedi. Ma quel recinto è stato consunto anche, e prima ancora, dallo svuotamento dei poteri democratici per opera delle politiche liberiste e delle istituzioni burocratiche europee. (Quello che Draghi definì il pilota automatico che funziona a prescindere dai singoli governi e che i Greci cercano di smontare in queste settimane!) Per questo Landini non parla al momento di Partiti e lascia correre perfino una accennata indifferenza alla contrapposizione fra destra e sinistra. In ciò concedendo qualcosa a quello che potremmo chiamare un certo populismo di sinistra, o quasi un grillismo di sinistra. Credo che egli si renda conto che il recinto tradizionale della politica è stato distrutto da Renzi, dalla sua sfida come uomo del fare, come leader di un Partito della Nazione capace di scavalcare i vecchi confini in funzione di un centro oligarchico e populista. Per questo non sarà più possibile contare sul vecchio campo di gioco della politica (centro-destra contro centro-sinistra) con gli stessi giocatori e con i riti del passato. Per questo invece di partire dal posizionamento politico Landini preferisce partire dai problemi sociali come egli li ha vissuti in questi anni, con un occhio allargato oltre la categoria dei metalmeccanici o del solo lavoro salariato. In questo modo riesce a parlare a platee reali e virtuali oggi inaccessibili non solo ai residui della sinistra Pd (e parlo di quel poco che è ancora definibile sinistra in quel partito), ma anche ai partitini di sinistra e a reti associative come le nostre.
3) Per chi viene dal Pci o dalla tradizione del movimento operaio suona come una bestemmia la contrapposizione fra coalizione sociale e soggetto politico. Eppure bisogna capire perchè il problema, sia pure in termini attenuati, tenda a ripresentarsi nella proposta di Landini. Non credo sia solo per sua ingenuità o per l’opportunismo di alcuni intellettuali che tendono a mettere il cappello su tutto ciò che si muove, reinventandosi in tutti i ruoli possibili. Credo invece che la scomposizione degli assetti sociali del “popolo” (si veda per esempio la lettura che ne fornisce il nostro amico Tupàc Amarù) e l’evaporazione della capacità di una effettiva lettura di classe di questi cambiamenti, comporti la necessità di ripartire dalla materialità dei nuovi rapporti di classe, per ricostruire da essi processi unitari e disegni di trasformazione. E’ un pò come ritornare a fare le aste della prima elementare per chi riteneva di essere già all’università.
4) Peraltro al di là dei vecchi e nuovi conflitti che possono essere descritti in termini di classi e di ceti sociali, esiste una miriade di conflitti territoriali e di vertenze locali sull’ambiente, sull’uso del territorio, sui “beni comuni”, sulla legalità, che prendono forma in una molteplicità di iniziative e comitati in cui si raggruppano le più diverse organizzazioni sociali e politiche. Un censimento di queste esperienze richiederebbe la pazienza di un entomologo che munito di una lente di ingrandimento sappia scoprirle e catalogarle. Ma al di là della catalogazione esse richiedono soprattutto un processo di aggregazione e in questo senso il contenitore della “coalizione sociale” può ben prestarsi a fornire loro un inquadramento sufficientemente elastico.
5) Resta però il fatto che, pur facendo lo sconto ai prezzi che un processo nuovo come la “coalizione sociale” deve pagare per affermarsi quale attore significativo nel quadro che si viene ristrutturando, sappiamo, almeno tutti noi che veniamo da una certa esperienza politica, che non basta la somma di mille vertenze, di mille movimenti e di mille conflitti per dare vita a un processo politico che duri e si affermi. (Basti pensare in tutt’altro contesto alla evoluzione di Podemos in partito politico). Io non dubito che Landini ne sia consapevole. Se così non fosse saremmo di fronte a un fuoco di paglia destinato a esaurirsi rapidamente, con un lascito di conflitti intanto innescati nella sinistra politica e nel sindacato. Io credo invece che la ridefinizione del modo di essere del sindacato dovrà trovare una sua strada, perchè il problema della sua burocratizzazione e il rischio di corporativizzazione non sono una invenzione polemica. Sull’altro versante la strada della costruzione della “coalizione sociale” è tutta da inventare e alla fine non potrà non investire e coinvolgere quanto c’è oggi di sinistra politica. Non credo, ad esempio, che l’idea del “Coordinamento vasto” lanciata quasi due mesi fa da Sel a conclusione di Human Factor, possa essere recuperata oggi a prescindere dal progetto di ” coalizione sociale”, o possa sovrapporsi ad esso automaticamente. Nè basterà una grande campagna referendaria sul Jobs act per andare avanti. Anzi, sarà da pensarci bene prima di giocarsi tutte le carte su un terreno scivoloso (do you remember il referendum sulla scala mobile?) in cui Renzi si contrapporrà a noi con una impostazione da plebiscito pro o contro di lui. Molto più importante è invece accumulare le risorse per costruire una rappresentanza della sinistra capace di muoversi autorevolmente e con ambizione egemonica sullo scacchiere politico e sociale. In questa prospettiva io vedo la “ coalizione sociale”.
6) Noi che compito abbiamo? Intanto non restare ai margini a pontificare dalle tastiere dei nostri computer o dai nostri colti convegni di studio. Dobbiamo appoggiare il tentativo della “coalizione sociale”, dare una mano. Per questo abbiamo già dato l’adesione alla manifestazione del 28 Marzo. Contemporaneamente dobbiamo tenere aperto il discorso di prospettiva alimentandolo, nei limiti delle nostre possibilità, di analisi e di proposte strategiche. Non abbiamo, né possiamo pretendere alcun ruolo di protagonisti. Ma una disponibilità generosa ad aiutare e a dare qualche consiglio disinteressato ci tocca!