Tsipras ha scelto il male minore

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Tonino Perna / Giacomo Casarino
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://fondazionepintor.net/grecia/perna/maleminore/

di Tonino Perna – 22 luglio 2015

L’aver sal­vato la Gre­cia dall’espulsione voluta da alcuni espo­nenti della classe poli­tica del Nord Europa è un merito di Ale­xis Tsi­pras. Si tratta adesso di vedere se il gio­vane lea­der greco riu­scirà ad argi­nare gli effetti nega­tivi dell’amara medi­cina che ha dovuto accet­tare, usando l’astuzia e l’intelligenza di Ulisse di fronte ad un nemico che pensa di avere già vinto la guerra. Ha di fronte prove par­la­men­tari dif­fi­cili per la mag­gio­ranza di governo e un par­tito diviso. C’eravamo entu­sia­smati come non suc­ce­deva da molto tempo. Abbiamo in tanti, in Ita­lia ed in Europa, cre­duto in Tsi­pras e aspet­tato con appren­sione i risul­tati del refe­ren­dum sulle richie­ste di Bru­xel­les. La vit­to­ria del No ci ha por­tato al set­timo cielo, abbiamo visto aprirsi una strada con­creta per costruire l’Altra Europa. Quel grande OXI, che sulla stampa ita­liana è stato curio­sa­mente tra­scritto come Oki, suo­nava come un noto far­maco anti­do­lo­ri­fico, ed era di fatto un antico rime­dio con­tro i ter­ri­bili dolori e sof­fe­renze dell’austerity. Poi, improv­vi­sa­mente, la nego­zia­zione tra il governo greco ed i potenti dell’Eurogruppo ha preso un’altra piega, ina­spet­tata. Nes­suno imma­gi­nava, infatti, che il con­senso del popolo greco alla linea del governo Tsi­pras potesse por­tare ad un ulte­riore irri­gi­di­mento da parte del governo tede­sco e dei suoi satelliti. In pochi giorni il qua­dro è tra­gi­ca­mente mutato. L’alternativa è diven­tata: uscire dall’euro o accet­tare la peg­giore ricetta di poli­tica eco­no­mica che Bru­xel­les aveva pre­sen­tato negli ultimi sei mesi di trat­ta­tive. Pren­dere o lasciare. E Tsi­pras, il com­bat­tente, tenace e riso­luto lea­der di Syriza, ha ceduto, si è inchi­nato ai dik­tat del mini­stro delle finanze tede­sco. E’ inu­tile negarlo o rica­marci sopra: abbiamo subito una grande scon­fitta che per molti si è tra­dotta in una Grande Delu­sione. Ma, è stata persa una bat­ta­glia e non la guerra. Per supe­rare que­sto stato depres­sivo, ine­vi­ta­bile dopo una botta del genere, dob­biamo ela­bo­rare il lutto e per farlo cor­ret­ta­mente dob­biamo avere il corag­gio di guar­dare in fac­cia la realtà. Se Tsi­pras avesse sbat­tuto la porta in fac­cia ai despoti di Bru­xel­les lo avremmo osan­nato, sarebbe diven­tato il Supe­re­roe della sini­stra euro­pea, un sim­bolo per tutti coloro che non accet­tano più di essere trat­tati come servi. Ma, cosa sarebbe suc­cesso al popolo greco? L’uscita improv­visa dall’euro avrebbe preso in con­tro­piede il governo di Syriza e com­por­tato un periodo di almeno due set­ti­mane di stallo, neces­sa­rie per stam­pare nuo­va­mente la dracma e distri­buirla, con ban­che chiuse e fuga gene­ra­liz­zata dei capi­tali in euro all’estero. Due set­ti­mane dove poteva acca­dere di tutto: la gente presa dal panico, affa­mata, poten­zial­mente espo­sta alle mani­po­la­zioni della destra neo­na­zi­sta, super­mer­cati svuo­tati, tutti con­tro tutti. Una volta tor­nati alla dracma biso­gnava poi fare i conti con una sva­lu­ta­zione di almeno il 60 per cento rispetto a euro e dol­laro, con una ine­vi­ta­bile riper­cus­sione sui prezzi ed un rischio di ipe­rin­fla­zione, data la strut­tura della bilan­cia com­mer­ciale greca. I lavo­ra­tori ed i pen­sio­nati greci avreb­bero avuto una vit­to­ria morale ed una scon­fitta mate­riale molto pesante con un impo­ve­ri­mento improv­viso, una netta per­dita del potere d’acquisto dei già magri salari, sus­sidi e pen­sioni. Di con­tro, accet­tando i dik­tat di Schau­ble e Mer­kel il primo mini­stro greco avrebbe con­trad­detto tutto il per­corso che lo aveva por­tato a indire il refe­ren­dum, sarebbe stato accu­sato di incoe­renza quando non di tra­di­mento, e avrebbe pro­dotto una frat­tura in Syriza, come pun­tual­mente è avvenuto. Secondo alcune fonti gior­na­li­sti­che Tsi­pras ha avuto dal pre­si­dente Jean-Claude Junc­ker un docu­mento in cui veniva trac­ciato il qua­dro cata­stro­fico che sarebbe sca­tu­rito dalla Gre­xit, secondo altre fonti sono stati gli stessi con­su­lenti del governo greco a pro­spet­tar­gli sce­nari da seconda guerra mon­diale. Un fatto è certo: Tsi­pras ha scelto di non fare l’Eroe, l’indomito guer­riero che lotta con­tro tutto e tutti, ed ha lasciato ad altri que­sta parte. Ha scelto il male minore pur sapendo di dover pagare di per­sona un conto salato. Un atto di corag­gio e di respon­sa­bi­lità che solo col tempo verrà com­preso da chi oggi lo liquida fret­to­lo­sa­mente. Un atto che si pone in alter­na­tiva alla linea teu­to­nica della «seces­sione» che noi dovremmo cono­scere bene. Infatti, la pro­po­sta della Gre­xit da parte tede­sca è para­go­na­bile a quella della Lega Nord negli anni ’90 per il Mez­zo­giorno. Come la stampa tede­sca ha creato lo ste­reo­tipo del greco fan­nul­lone, imbro­glione, che vive alle spalle del lavo­ra­tore tede­sco così negli anni ’90 in Ita­lia, gra­zie anche a gior­na­li­sti demo­cra­tici come Gior­gio Bocca (vedi “L’Inferno”, 1990), si era creata l’immagine di un Mez­zo­giorno fatto solo di cri­mi­na­lità e assistenza. Se la seces­sione fosse risul­tata vin­cente che cosa sarebbe capi­tato al popolo meri­dio­nale? Come risul­tava dalle simu­la­zioni fatte in quel tempo il Mez­zo­giorno avrebbe dovuto avere una moneta pro­pria sva­lu­tata al 40% rispetto alla valuta del Centro-Nord, avrebbe perso un flusso netto di risorse dello Stato pari al 35% del suo Pil e un crollo dei con­sumi di pari entità. Un collasso. Certo se la seces­sione del Nord-Italia fosse avve­nuta subito dopo la seconda guerra mon­diale le con­se­guenze per il Mez­zo­giorno sareb­bero state ben diverse e non pochi sareb­bero stati i van­taggi. Ma, ed è que­sto il punto: in eco­no­mia come nella poli­tica la scelta del tempo “giu­sto” è decisiva. La Gre­xit è una que­stione seria che ci riguarda da vicino, non solo per­ché dopo la Gre­cia toc­cherà a noi –mal­grado le ras­si­cu­ra­zioni del mini­stro Padoan– ma per­ché pone un’ipoteca sul futuro della stessa Unione euro­pea. Non sono pochi i segnali che vanno nella dire­zione di una gene­rale seces­sione dei paesi ric­chi del Nord Europa, al di là dell’Eurozona. Basta citare il modo con cui i paesi della Ue hanno affron­tato la tra­ge­dia dei migranti che muo­iono nel Medi­ter­ra­neo. Il para­me­tro che è stato usato è quello delle “quote” come se si trat­tasse di latte o carne da macello, dimo­strando al mondo di essere inca­paci di andare al di là del lin­guag­gio dei mer­canti. Non diver­sa­mente sugli stessi spo­sta­menti di popo­la­zione all’interno della Ue, ad ini­ziare dalla Gran Bre­ta­gna, si parla di vin­coli da porre ai gio­vani che dal Sud e dall’Est Europa cer­cano lavoro in que­sti paesi. E, infine, non va sot­to­va­lu­tato il fatto che l’euro, con tutti i suoi errori , costi­tui­sce una base comune per con­tra­stare l’egemonia del dol­laro e gio­care un ruolo a livello inter­na­zio­nale come Europa. Su que­sto punto la Mer­kel ha ragione: la fine dell’euro rap­pre­sen­te­rebbe la fine della Ue. Si ritor­ne­rebbe neces­sa­ria­mente alle bar­riere doga­nali ed alle sva­lu­ta­zioni com­pe­ti­tive, con tutti gli ingre­dienti di un ritorno al più becero e peri­co­loso nazio­na­li­smo. D’altra parte, con­ti­nuando con que­ste poli­ti­che di auste­rity, che non risol­vono la que­stione del debito pub­blico inso­ste­ni­bile, non si fa altro che ali­men­tare divi­sioni tra Nord e Sud Europa, e si va dritti verso l’implosione. Da parte nostra si tratta di appog­giare, non solo poli­ti­ca­mente, tutte quelle forme di eco­no­mia soli­dale che sono nate in que­sti anni di crisi e che, come ci ha rac­con­tato Angelo Mastran­drea, hanno avuto anche il soste­gno della soli­da­rietà internazionale. Senza dimen­ti­care che que­sta crisi sta met­tendo a nudo la que­stione mone­ta­ria, il biso­gno di un con­trollo sociale di que­sto mezzo di paga­mento che è diven­tato da stru­mento a fine dell’agire sociale, non­ché l’insostenibilità di un pro­cesso di inde­bi­ta­mento infi­nito. Ma, su que­sta rile­vante que­stione tor­ne­remo in altra occasione.

  da il manifesto del 22 luglio 2015

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Perché “piega inaspettata”? Qualcuno poteva illudersi di trovarsi di fronte ad un vero “negoziato” o che l’Eurogruppo prendesse in considerazione, in positivo, il referendum come un condizionamento al proprio comportamento? Forse Tsipras, che se n’è uscito a posteriori affermando “pensavamo che ci dessero più tempo”. Ci vuole molta ingenuità e molta “fede” nel monstrum costituito dall’Unione Europea per presentarsi inermi davanti a simili avvoltoi.
Varoufakis in realtà, dopo il referendum, aveva formulato tre proposte: 1) emettere titoli di credito per la circolazione interna; 2) dimezzare i debiti in bond verso l’estero; 3) un provvedimento che di fatto nazionalizzasse la Banca Centrale Ellenica. Si sarebbero presentati più forti o più deboli i greci a Bruxelles se avessero adottato queste misure:? Io penso più forti: avrebbero creato una situazione de facto di cui sarebbe stato impossibile non tener conto. Forse, in qualche modo, avrebbero scongiurato gli effetti della “serrata” delle banche imposta da Mario Draghi. Trovo poi incongruo e improponibile il parallelismo tra una secessione interna ad una compagine statuale come l’Italia e l’eventuale uscita di uno Stato dalla moneta unica (ma non unitaria).

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