Fonte: Il Manifesto
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di Pavlos Nerantzis, ATENE,
Grecia. Non mancano critiche ma all’interno di Syriza si loda la «praticità» del premier
La riunione del consiglio dei ministri per discutere sull’ accordo di Bruxelles e la lista delle riforme presentate all’ Eurogruppo, è stata lunga. Alexis Tsipras ha dovuto trovare un difficile equilibrio tra le richieste dei creditori internazionali e il suo piano anti-austerity; tra la necessità di retrocedere, puntando sulla sopravvivenza del suo Paese e il bisogno di applicare una parte del programma di Salonicco, ovvero del «Piano di ricostruzione nazionale», basato su quattro pilastri. Affrontare la crisi umanitaria, riavviare l’economia e promuovere la giustizia fiscale, riconquistare l’occupazione, trasformare il sistema politico per rafforzare la democrazia.
Alexis Tsipras per evitare che il suo governo fosse una «parentesi di sinistra», come vorrebbero l’ex premier Samaras e la maggioranza dei partner europei, ha preferito svoltare. Una «retromarcia di destra» come viene descritta dagli avversari interni al partito del premier, realistica e «di dignità» secondo il Megaro Maximou, sede di governo.
Tra pragmatismo e idealismo su una cosa sono d’ accordo ambedue le correnti della sinistra radicale greca. Il prolungamento del negoziato e il pericolo di un tracollo finanziario in Grecia avrebbero provocato uno scontro frontale tra il neo governo e i creditori internazionali. Ad Atene immagini simili a quanto era successo a Cipro nel marzo del 2013 con le lunghe file di fronte ai bancomat sarebbero inevitabili. Al di là di questa valutazione comune, le strade tra le due correnti si separano. Gli «inconciliabili» credono che una fuoriuscita della Grecia dall’Ue metterebbe i greci in salvo, senza tener conto che la competitività del Paese rimane bassissima; i realisti fanno notare che il governo del Syriza-Anel continua a trattare. «È meglio un Grexit che una continuazione perenne dello stato dell’ impoverimento attuale» sostiene l’economista e giornalista Leonidas Vatikiotis. Per aggiungere ciò che si sente molto in questi giorni da chi critica l’operato del governo: «il contenuto dell’ accordo di Bruxelles non deve essere paragonato con il programma del governo precedente, ma con il programma pre-elettorale del Syriza».
In realtà ministri e dirigenti del Syriza vicini al premier non nascondono il loro imbarazzo. Ciò che maggiormente ha colpito a livello morale è stata la reazione di Manolis Glezos. «Probabilmente Glezos era deluso per la mancata elezione a presidente della Repubblica» sostengono alcuni che conoscono da vicino il simbolo della resistenza greca contro i nazisti. Ieri Tsipras ha parlato telefonicamente con vari dirigenti del suo partito che si sono opposti all’accordo di Bruxelles, si è incontrato con Mikis Teodorakis a casa sua, ma non ha voluto scambiare una parola con il suo maestro Manolis.
Critiche sono arrivata anche da parte dei comunisti del Kke, che venerdì prossimo organizzeranno una manifestazione alla Platia Syntagmatos di fronte al parlamento per denunciare l’accordo di Bruxelles, mentre secondo il Pasok il governo «rimane senza finanziamenti fino al giugno».
Con il via libera dell’ Eurogruppo alla lista delle riforme greche la Borsa di Atene ha registrato ieri un rialzo record (9,81%), ma questa buona notizia non viene vista da alcuni media internazionali che fino a ieri continuavano a parlare della fuga dei capitali greci all’ estero.
«Negli ultimi giorni sono stati prelevati dalle banche greche 500 milioni di euro al giorno… i soldi prelevati in fretta in parte sono finiti addirittura in Svizzera, dove i greci avrebbero depositi per 60 miliardi di euro» ha scritto pochi giorni fa il sito de Il sole 24 Ore, senza spiegare chi sono quelli che hanno questi soldi. Il sottinteso è chiaro: «i greci, piccoli e grandi risparmiatori» per il timore della sinistra radicale ritirano le proprie economie.
Le cose non stanno propriamente cosi. C’è stato un calo dei depositi bancari dai 160 miliardi (ultimo dato ufficiale del dicembre scorso) a 145 miliardi, secondo le stime a metà febbraio. Ma a sentire gli economisti, «i capitali fuggiti all’ estero non appartengono ai piccoli correntisti, bensì ai soliti evasori fiscali. I dipendenti pubblici e i pensionati non hanno soldi sufficienti per sopravvivere, figuriamoci se hanno dei soldi a parte».
A confermare l’identikit dei risparmiatori che hanno fatto fuggire i loro «risparmi» all’estero è il ministro dello Stato, adetto alla lotta contro la Corruzione, Panagiotis Nikoloudis, già procuratore della Corte suprema che ha preparato una lunga lista di 3.500 nomi, sospetti di aver evaso fiscalmente e di aver riciclato denaro sporco.
Si tratta di persone sopra ogni sospetto dalla casta dei businessmen (proprietari di catene di supermercati e di negozi di abbigliamento, armatori) e dei liberi professionisti (medici, farmacisti, ingegneri civili, ecc.) che di crisi ne hanno capito poco, con depositi bancari che vanno oltre ai dieci milioni, mentre alle autorità si dichiarano «poveri» con introiti che non superano le poche migliaia di euro. Sono gli stessi che risultano irreperibili oppure descritti con il termine generico «greci» nei servizi di una parte della stampa internazionale.