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di Luca Billi, 10 marzo 2018
Mio nonno Vincenzo è stato l’ultimo daziere comunale di Granarolo. Nel 1972 – erano gli anni del centrosinistra – con l’introduzione dell’Iva venne abolita la riscossione del dazio, ossia la tassa sulle merci che entravano nel territorio comunale. Mio nonno lavorò ancora alcuni anni, continuando a occuparsi dei tributi comunali. A Bologna, come nelle altre città, vennero chiusi i caselli daziari: non ci passo da tempo, ma credo sia ancora in piedi quello all’incrocio tra via Mattei e via Bassa dei sassi, che serviva per le merci che arrivavano da Castenaso. Di quell’età rimangono in tanti nostri paesi i piccoli edifici che ospitavano le pese pubbliche. Ogni commerciante che riceveva la merce sottoposta al dazio doveva avvisare il daziere, che poneva un sigillo, in alcuni casi un piombino chiuso su uno spago, in altri un timbro circolare di colore fucsia. E poi riscuoteva una tassa, che andava ovviamente a caricare il prezzo di vendita. Il daziere inoltre poteva sanzionare chi non metteva il dazio o chi lo faceva in maniera irregolare: non si trattava di un compito facile, spesso non molto gratificante, perché il daziere non era particolarmente amato in paese, specialmente quando era severo, come mio nonno.
E’ curiosa l’etimologia di questa parola, perché, derivando dal latino datium, indica una tassa pagata spontaneamente, a differenza dell’imposta che – come dice la parola – è qualcosa a cui il cittadino è sottoposto contro la sua volontà. Sappiamo bene che anche il dazio è imposto: un commerciante vorrebbe volentieri non pagarlo. E tentava di non pagarlo. Come avrebbe tentato successivamente di evadere l’Iva.
Questa parola sta tornando di moda, visto che il presidente degli Stati Uniti, sfidando molti suoi consiglieri economici, ha deciso di imporre un dazio del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio, con l’obiettivo di favorire l’industria del suo paese e quindi di creare nuova occupazione. Curioso che un esponente del finanzcapitalismo come Trump abbia deciso una cosa del genere, che in qualche modo contravviene l’unica regola riconosciuta dal capitalismo, ossia che non ci devono essere regole. E per questo molti esponenti del suo partito – ma anche dei democratici – sono insorti contro questa decisione: i dazi devono essere aboliti perché solo il mercato deve avere il compito di imporre i prezzi. E’ qualcosa da cui lo stato deve star fuori.
Ovviamente Trump non è diventato comunista; e neppure socialdemocratico. Deve semplicemente pagare la sua cambiale ai grandi gruppi industriali che gli hanno finanziato la campagna elettorale e soprattutto deve gettare un po’ di fumo negli occhi agli elettori, che lo hanno votato con la speranza che quel politico così “irregolare”, così populista diremmo in Europa, avrebbe finalmente fatto qualcosa per difendere l’industria statunitense. Quello che scopriranno a proprie spese gli operai americani è che gli effetti positivi dei dazi – che ci saranno nel breve periodo – andranno a tutto vantaggio dei padroni delle fabbriche che in questa fase, grazie ai dazi, guadagneranno di più. E quando invece i dazi si riveleranno dannosi, perché ovviamente anche gli altri paesi li imporranno come forma di ritorsione, provocando una diminuzione delle esportazioni degli Stati Uniti, saranno ancora gli operai a pagarne le conseguenze. Ma per quel tempo i padroni avranno già trovato un “nuovo” Trump e il ciclo ricomincerà, facendo aumentare i guadagni dei ricchi e impoverendo ancora di più quelli che sono già poveri.
E Trump? Farà la figura dello scemo, per non pagar dazio.