di Alfredo Morganti – 17 giugno 2016
Le campagne elettorali si fanno nelle strade, porta a porta, nei mercati, tra la gente spiegando le proprie ragioni e soprattutto cercando di comprendere quelle dei cittadini. Da che mondo è mondo si fa così. I partiti diceva Gramsci stanno con un piede nella società politica e con uno nella società civile, sono un ponte essenziale, un soggetto di mediazione insostituibile e laborioso, in un regime parlamentare, tra Stato e cittadini. In campagna elettorale questa funzione di raccordo, di dialogo, di ascolto, di strutturazione del rapporto tra popolo e istituzioni si esalta, tocca un culmine. Ci si rivolge alle città, alle regioni, alla società italiana nel suo complesso quale interlocutore indispensabile, in una sorta di bagno rigeneratore. Se questo è vero, come non cogliere un’anomalia evidente, lapalissiana, nella campagna elettorale in corso? Da tre giorni, difatti, ci si occupa solo di D’Alema e poco del resto. Peggio: ci si occupa di quello che NON ha detto, dei pensieri che non ha dichiarato, virgolettando come se fosse un’intervista una battuta da pianerottolo, scambiando fatti e opinioni, trasformando i retroscena in una sceneggiata napoletana.
Si sta insomma tirando per la giacchetta (sic!) un uomo che ha altro a che pensare, e che sta rispondendo alle interviste addirittura da Bruxelles, in tutt’altre faccende affaccendato. Ma che ha fatto anche campagna elettorale, peraltro, nel suo vecchio collegio di riferimento in Puglia, perché tra l’altro non è nemmeno più deputato. Tre giorni lunghissimi e anacronistici, durante i quali si è tirato in causa D’Alema come se fosse LUI il segretario del PD, chiedendogli delle dichiarazioni di voto e un indirizzo politico. Con ciò aprendo di fatto una crepa nella leadership di Renzi, scioccamente collocato dai suoi sotto il cono d’ombra dell’ex deputato di Gallipoli e rimpicciolito dall’eccessiva attenzione posta verso l’ex Ministro degli Esteri. Lo spin di Renzi, a conti fatti, ha lavorato per D’Alema non per il premier. Non solo. In questi tre giorni del Condor la politica piddina ha delegato a ‘Repubblica’ la gestione della linea antidalemiana, giocando di sponda in termini del tutto subordinati all’indirizzo editoriale del giornale fondato da Scalfari. Mostrando il volto della politica che dipende dai media, in termini totalmente riflessi e strumentalmente subordinati. Insomma, un errore dopo l’altro che costerà caro alla leadership del PD, perché gli errori, come sempre nella vita, si pagano sempre tutti. Ma proprio tutti.