di Alfredo Morganti – 15 febbraio 2017
“La battaglia è già cominciata e Renzi ha intenzione di usare le armi pesanti. Altro che segnali di pace di fronte alla concreta ipotesi della scissione”. Lo scrive Goffredo De Marchis su Repubblica.it, solitamente ben informato in materia. Altro che il realista Renzi, altro che l’uomo prudente che ha capito quanto sia meglio unificare il partito invece di aprire altre contraddizioni. È stato Folli (ed è stato folle!) ieri ancora su Repubblica a parlare di un Renzi divenuto improvvisamente saggio. Macché, il giovanotto di Rignano è, e resta, un giocatore d’azzardo con la necessita di raddoppiare ogni volta la posta, sino a prosciugare la sua borsa. Non c’è nessun realismo nell’esaltazione febbrile di chi fa banco e vuol giocare per la rivincita sino al fallimento.
Una delle armi pesanti renziane è la pretesa di restare reggente del PD, di comandare sempre lui, nonostante le dimissioni da segretario siano obbligate (senza le quali non c’è congresso straordinario). Il PD, lo si sappia, Renzi lo sente come cosa sua (un PDR, come teme Bersani) e non intende affatto lasciarlo andare. Il partito è stata contendibile sinché è arrivato lui, poi basta. Guai a chi glielo tocca. Nel frattempo l’ha ridotto a uno straccio, ‘tutto muscoli e poche gambe’ come direbbe Dalla, ma non lo molla comunque. Anche un uomo di buon senso come Bersani, anche uno che viene dalla tradizione comunista come D’Alema, sono ormai sfiniti. Sfranti, direi.
Il punto non è più tenere unito il PD, ma andarsene da un partito avvizzito, personale, ridotto a quattro bandiere ormai estranee e tanta sciocca retorica. Ho sempre nutrito dei dubbi sull’esperimento PD, fondato purtroppo su un unico collante, quello dell’ideologia della ‘vocazione maggioritaria’ col progetto di andare tutti assieme e appassionatamente al governo. La parentesi Bersani mi parve uno spiraglio di luce (presi la tessera in quella fase, la mollai subito dopo le primarie vinte da Renzi), ma si trattò di una parentesi. Ora si apre (volenti o nolenti) una fase nuova. Con un nuovo raggruppamento di centrosinistra da una parte e, se sorgerà forte come spero, un partito di sinistra dall’altra.
Due gambe per una politica progressista, democratica, di uguaglianza sociale, di riforma morale e intellettuale, di libertà, diritti e partecipazione. Io credo che le risorse ci siano. Alcune sono già in piazza, altre debbono rompere l’incantamento renziano. Ma adesso servono segnali. Segnali precisi, non intermittenti. Forme, contenuti, energie, risorse sono i prossimi necessari ingredienti. Basta coi tatticismi, basta coi politicismi. Diceva Berlinguer che, nei momenti di crisi, si deve tornare agli ideali di gioventù. Nel senso che da lì si traggano energia e spirito per ripartire. La durata della camminata si vedrà. Anche la sua asprezza. Ma tornare in cammino, dopo un lungo stop, è quel che conta.
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IN PROFONDITA’
di Fausto Corsetti
Ammettiamolo: abbiamo un debole per quelli che sanno parlare. Il dono della parola ci affascina. Al punto che, spesso, quasi non ci importa quello che viene detto. Gli affabulatori, i funamboli di ardite metafore, i parolai sono capaci di farci cambiare idea, stravolgere le nostre convinzioni. Una bella frase, il giusto tono di voce, una mimica vivace et voilà, il gioco è fatto.
Quanta leggerezza, superficialità in giro! Nei giornali, alla radio, in televisione, nei piccoli schermi saltellati da dita impazienti, nei contesti più diversi della vita quotidiana.
C’è, in tutti gli uomini, una superficie e una profondità. La superficie è piatta e uguale, la profondità un abisso.
Viviamo spesso in superficie, nel mondo della banalità, del “si dice”, della chiacchiera, del distrarsi, del ripetuto, dove non ci sono emozioni ma, al massimo, sorpresa o curiosità, talvolta soltanto pettegolezzo.
Possiamo restare giorni e giorni incollati al televisore, guardare tutti i talk show, tutti i dibattiti politici, tutti gli incontri salottieri, e non allontanarci un istante dalla superficie. Possiamo perfino andare in vacanza, fare affari restando in superficie.
Eppure, è strano, non poche sono le persone attratte dalla profondità.
Alcuni, ad esempio, dicono di voler provare delle emozioni forti, adrenaliniche, magari correndo in automobile, praticando attività sportive estreme oppure cimentandosi in prove “no limits”: cercano qualcosa che sta al di là.
Non è detto che la trovino, forse la trovano per un istante e devono perciò ripetere l’esperienza estrema, finché anche questa non si usura, non perde potere e novità.
Eppure tutti, ogni tanto, siamo condotti sull’abisso della profondità quando qualcosa scuote i fondamenti della nostra esistenza.
Quando siamo impegnati in una lotta disperata per ottenere un risultato, per superare una dura prova e ci riusciamo. E proviamo un senso di immensa esultanza, il momento di “gloria” che potremo ricordare. Oppure, sul versante negativo, quando muore una persona che ci è cara o ci ammaliamo di una malattia di cui temiamo gli esiti e ripercorriamo, riguardiamo con occhi diversi tutti i nostri rapporti, tutta la nostra vita.
Distinguiamo, allora, ciò che è essenziale da ciò che essenziale non è, la superficie dalla profondità. Capiamo che la profondità è sacra.
E, di più: accade di incontrarla quando ci innamoriamo, quando il nostro animo si dilata e diventa capace di emozioni, di pensieri tanto più grandi di noi stessi che vorremmo abbracciare il mondo e fonderci con esso.
Afferrati dall’amore, possiamo essere felici solo con chi amiamo e se ci distraiamo, se preferiamo altre compagnie o altre cose, la nostra unicità si incrina, si degrada. L’amore è esigente. Tutte le cose perfette richiedono una concentrazione totale: il compositore è totalmente assorbito dalla sua musica, lo scrittore dal suo romanzo.
Sicuro, c’è un’altra strada verso la profondità: l’arte, la grandissima arte.
Ci sono dei libri, dei romanzi, dei film, dei brani musicali, talvolta delle opere di pensiero, che invadono il nostro spirito e sembrano sul punto di farlo esplodere tanto ci apriamo al mondo, agli altri, a noi stessi: vediamo, così, qualcosa della nostra essenza, di cosa potremmo essere.
Allora il nostro abituale modo di vivere ci sembra un vestito vecchio, abbandonato in un angolo di una stanza.
Non è facile riconoscere il respiro profondo della speranza che trascende la provvisorietà o l’oscurità del quotidiano. Spesso il futuro intimorisce o quantomeno preoccupa. Eppure, la vita si distende nella ferialità, nel succedersi instancabile di piccoli avvenimenti, di speranze nuove, una successiva all’altra.
Nella consapevolezza dei giorni, si illuminano gli abissi dell’anima, si alimentano di colori mai visti, di promesse coltivate, di parole gelosamente custodite nel silenzio: chi ha visto sorgere il sole può sperare, anche in piena notte, che l’indomani torni a brillare il giorno