Fonte: La Stampa
Toni Negri è morto, il sospetto del “grande vecchio” del terrorismo rosso.
Sfide e convinzioni di Toni Negri
Da giovane era stato dirigente della Gioventù di Azione cattolica (Giac) negli anni Cinquanta, ma ne era stato radiato, per qualche anno aveva militato nel Partito socialista, dove conobbe Raniero Panzieri e collaborò alla sua rivista «Quaderni Rossi»
Era il 7 aprile di 44 anni fa e su Toni Negri iniziò a volteggiare un sospetto assai gravoso, quello di essere il “grande vecchio” del terrorismo rosso. La retata del giudice Pietro Calogero a Padova, nella primavera del 1979, oltre a colpire l’illegalità allora assai diffusa presso quella Università, conteneva un “teorema” che risultò poi indimostrato circa le responsabilità dirette e penali di Negri come capo dei capi del brigatismo. E tuttavia, come provò a spiegare molti anni dopo un suo compagno di lotta, Oreste Scalzone, altra e non indifferente era stata la responsabilità politica, morale di quel giovane professore che nel corso degli anni Settanta si era affermato come una delle teste più brillanti nella facoltà di Scienze politiche a Padova.
In una intervista del 2004, Scalzone sostenne che il giudice Calogero aveva sbagliato “per eccesso, ma anche per difetto”, nel senso che mentre Negri come capo della Cupola brigatista era un “fantasma dietrologico”, invece la “teorizzazione della lotta armata, anche se diversa da quella praticata dalle Br, compresi reati come rapine e gambizzazioni, erano tutte cose vere”. A distanza di anni, l’essenza della figura di Toni Negri si è fatta più nitida: fu “cattivo maestro” in quanto teorizzò la lotta armata, fu lui a teorizzare la violenza come metodo di lotta politica. E, come si sa, l’azione politica è preceduta, quasi sempre, da una teorizzazione intellettuale. E infatti dopo la stagione del Sessantotto il professor Toni Negri, aveva predicato la violenza politica e guidato gruppi di estrema sinistra che si richiamavano alla Autonomia operaia organizzata, tanto è vero che fu condannato a 12 anni di carcere con sentenza definitiva.
E tuttavia poderosa era la sua levatura intellettuale: fu maestro nel leggere la filosofia e la storia, era stato borsista all’Istituto Croce di Napoli, fu innovatore del pensiero filosofico, introdusse in Italia pensatori come Althusser e Deleuze. Ma proprio nella sua stagione universitaria, che peraltro visse concretamente alla stregua di un “barone”, si insinuò in lui l’ambizione di diventare un “capo”, di esercitare in modo attivo il suo carisma su una parte del ceto intellettuale di estrema sinistra e di esercitarlo contestando con la violenza le istituzioni democratiche.
Diventò il leader intellettualmente più autorevole di Potere operaio che però nel 1973 concluse la sua stagione più arrembante, lasciando il campo all’Autonomia operaia, che trovò in Negri l’ideologo con la sua teoria dell’«operaio sociale», pronto allo scontro frontale con lo Stato borghese. E nella seconda metà degli anni Settanta si moltiplicarono infatti gli espropri proletari e le violenze gratuite. Dopo l’arresto del 7 aprile 1979, Negri dovette affrontare oltre quattro anni di carcerazione preventiva, dai quali si liberò nel 1983 grazie all’elezione in Parlamento nelle liste del Partito radicale. Successivamente, per sottrarsi all’arresto, si rifugiò a Parigi, dove fu accolto nel sempre generosissimo mondo intellettuale francese. Negli ultimi anni della sua vita aveva scritto diversi libri, attraversati dal proverbiale acume e da quell’anima nichilista e borghese che sono stati la cifra della sua esistenza.