di Antonio Gaeta – 16 agosto 2018
Scrive Riane Eisler che già negli anni Quaranta (del XX secolo) lo studioso della preistoria europea, V. Gordon Childe, osservava le testimonianze archeologiche di un drammatico cambiamento avvenuto nella preistoria europea. Childe riferiva di segni, che indicavano il passaggio da un’organizzazione sociale matrilineare a un’organizzazione sociale patrilineare. Prova ne era la graduale scomparsa delle figurine femminili, un tempo onnipresenti, nonché la comparsa al loro posto di inconfutabili tracce di sempre più numerose lunghe guerre (1)
Childe collegava questo passaggio, che definiva «la crisi del tardo Neolitico» (2), al collasso dei piccoli insediamenti e all’adozione di modi di produzione sempre più fondati sulla pastorizia e sull’allevamento degli animali. Egli non riusci ad addebitare l’introduzione di questa forma di economia all’invasione di nuovi popoli, che distruggevano la preesistente economia agricola. Solo più tardi, Childe collegò questa «crisi» alla comparsa sulla scena archeologica europea di un nuovo elemento: la popolazione che studiosi della preistoria e linguisti chiamano «indoeuropea». Tuttavia, Childe, come Hitler, idealizzava questi proto-indoeuropei, quali «fondatori della cultura europea», affermando che essi erano «dotati di eccezionali qualità mentali» ed erano «promotori di vero progresso» (3)
Riane Eisler prosegue la sua narrazione scrivendo che ben pochi indoeuropeisti (o ariani, secondo la preferita accezione nazista, ndr) oggi idealizzerebbero tanto apertamente gli indoeuropei. Questo non solo per l’uso da lei definito «troppo efficace» di questa mitologia, fatto dai nazisti nel tentativo di giustificare lo sterminio degli ebrei e di altre «razze inferiori». La motivazione primaria, come scrive l’indoeuropeista J.P. Mallory (4) é quella che sono scarsi, se non inesistenti, i successi culturali attribuibili ai protoindoeuropei, in quanto li si incontra primariamente «nella posizione di distruttori di precedenti culture» !
Mallory, Gimbutas e altri studiosi – prosegue Riane Eisler – sottolineano anche la circostanza che le lingue indoeuropee sostituirono quasi completamente le precedenti lingue note in Europa e in altre regioni del mondo antico: fatto che sta a dimostrare come il passaggio fondamentale nella cultura occidentale non avvenne come una naturale progressione nell’evoluzione sociale. Questo perché il nuovo ceppo linguistico é chiaramente connesso alla comparsa improvvisa di un nuovo nucleo etnico, che distrusse quello precedentemente esistito (esistente da millenni, ndr) e lo assoggettò con ben 3 ondate successive di truculente invasioni. Al termine delle quali sopravvisse soltanto l’Etrusco (fino ad epoca romana) e il Basco, tutt’ora parlato nell’area intorno ai Pirenei, tra Spagna e Francia !(5)
Nel tentativo di riassumere il pensiero condiviso dalla maggior parte degli indoeuropeisti contemporanei, Mallory scrive: “Nel corso del IV millennio (a. C.) gli archeologi individuano una riorganizzazione strutturale della società nella maggior parte dell’Europa sud-orientale“. Egli osserva che «le prove stanno nell’abbandono dei siti nei tell (territori/ambienti), già fioriti nel corso di parecchi millenni; nello spostamento di precedenti culture in quasi tutte le direzioni, ma non verso oriente (leggi Asia); nel movimento verso siti marginali, quali isole e grotte, ovvero sulla cima di colline facili da fortificare, come Carnavoda I; il tutto in un generale deterioramento delle principali tecnologie del Neolitico: la manifattura di ceramiche e la lavorazione del rame».
NOTE:
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– Childe, V. Gordon, The Dawn of European Civilization, (ed. Knopf. New York, 1958)
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– MALLORY J.P. In Search of the Indo-European: Language, Archeology, and Myth (Thames & Hudson, London 1989) pp. 259-260
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– Ibidem – p. 266
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– Ibidem – p. 270. Ancora perdura l’idealizzazione degli indoeuropei quali «promotori di vero progresso» , che abbiamo ereditato da Childe. Uno degli ultimi revival è ad opera dell’archeologo britannico Colin Renfrew, il quale di recente ha affermato gli indoeuropei non solo non avviarono la distruzione delle società agricole europee, bensì erano essi stessi agricoltori. Tuttavia, come sottolinea Mallory, l’affermazione di Renfrew, secondo cui si deve agli indoeuropei il merito dello sviluppo dell’agricoltura e la sua diffusione dall’Anatolia a tutto il continente europeo, va contro l’evidenza, poiché senza alcun dubbio le incursioni degli indoeuropei in Europa sul finire del V e l’inizio del IV millennio a. C. furono attuate da «pastoralisti» (cultori della pastorizia). Inoltre, Mallory osserva, poi, che la tesi di Renfrew contraddice le ricche testimonianze archeologiche, a riprova che l’agricoltura fu introdotta, sia in Anatolia sia in Europa, molto prima delle incursioni indoeuropee (VIII-VII millennio a. C.). Malloy, quindi, liquida rapidamente anche l’affermazione di Renfrew secondo cui le lingue europee si diffusero non grazie alla conquista, ma con la «pacifica diffusione dell’agricoltura», operata dagli indoeuropei neolitici a partire dall’Anatolia.
Egli scrive: «Qualsiasi tentativo di collegare l’iniziale colonizzazione (agricola) neolitica dell’Europa alla diffusione dei più antichi indoeuropei, non é suffragata dalle testimonianze linguistiche, né archeologiche e, per la verità, non offre neanche la giustificazione dell’economia, che potrebbe essere stata una delle principali attrattive. L’Anatolia é il posto sbagliato nel momento sbagliato. Le migrazioni dall’Anatolia danno i risultati sbagliati» (Malloy, 1989 – p. 181)
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– Le testimonianze indicano che inizialmente con la forza e la paura, ma poi anche mediante fondamentali cambiamenti istituzionali e ideologici, questo nuovo gruppo etnico gradualmente finì con l’assumere il controllo sempre più ampio dei contesti economici, religiosi, artistici e anche mitici (vedi Richard Graves), per non parlare di quelli militari, da quanto restava degli europei. Pertanto, se inizialmente avrebbero potuto convivere come società bilingui, con la subordinazione delle popolazioni indigene ridotte a schiavi o caste inferiori, come avvenne in India (vedi Heide Gottner-Abendroth), alla fine diventarono quasi tutte società di lingua indoeuropea.
Inoltre: https://www.nuovatlantide.org/le-societa-matriarcali-e-patriarcali-le-classi-sociali-lo-stato/