Terrorismo, guerra e disagio della civiltà

per ppcaserta

di Pier Paolo Caserta, 17 luglio 2016

La realtà rivelata con drammatica evidenza dalla strage di Nizza, e che Hollande e Valls non riusciranno di certo ad affrontare proseguendo la guerra in Siria e in Iraq, è l’essere la società francese sempre più un coacervo di disagi. Non si risolve con la guerra perché è un problema interno alla società francese, ma con la guerra in corso tra la Francia e lo “Stato Islamico” si intreccia purtroppo strettamente. L’Isis ha portato la guerra asimmetrica al livello successivo, globalizzandola: si è organizzato per colpire sistematicamente sul territorio del nemico, cioè un Paese lontano dal primo teatro di guerra, falciando il maggior numero possibile di vite di civili. Gli sciacalli che vorrebbero “chiudere le frontiere” pronunciano un controsenso dal quale incassano lauti dividendi elettorali. Gli esecutori dell’infame mandato sono già dentro le frontiere, sono ben dentro la società francese. Sono francesi. L’Isis recluta in Francia pescando nella marginalizzazione, che è dunque la società francese, non l’Isis, a produrre. Non nelle moschee. Al contrario, è dimostrato che la radicalizzazione islamista avviene in prevalenza quando ci si allontana dalle moschee. Nelle prigioni. Nella spirale senza uscita del disagio. Al quale, magari, si somma una malattia psichica non diagnosticata.

 

L’autore della strage di Nizza convalida in pieno questo quadro. Mohamed Lahouaeiej Bouhlel è stato descritto come musulmano pochissimo osservante. Oltre a ciò, è subito emerso come non avesse avuto collegamenti significativi o di lungo corso con il radicalismo islamista, nonostante le frettolose dichiarazioni di Valls, seguite da quelle di guerra di Hollande. Quello che è emerso immediatamente è, invece, il quadro psicologico di una persona violenta, depresso dopo la fine del matrimonio, con precedenti penali. In un secondo momento si è detto che sarebbe andato incontro ad un processo di radicalizzazione molto rapido, facendosi reclutare dall’Isis.

 

Sono germi che nella società francese covano da tempo. Chi conosce la Francia e non l’abbia vissuta solo da turista o per via di infatuazione culturale lo sa. Segni di disagio, di profonda lacerazione e nevrosi, che fanno della Francia, per dir così, gli “Stati Uniti” della nostra Europa. Questa mia lettura presenterà, per qualcuno, un grave “inconveniente”: colloca il fondamento del problema ben dentro e non fuori la società francese, ben dentro alle nostre società. Senza negare la specificità del fenomeno del radicalismo islamico – esattamente come non dobbiamo negare altre forme specifiche di estremismo e di terrorismo, ad esempio quelle riconducibili al suprematismo bianco, negli Stati Uniti e non solo –, dovremmo evitare accuratamente di contrassegnare il male in senso etnico o confessionale ed iniziare a chiederci, piuttosto, cosa abbiano in comune Mohamed Lahouaeiej Bouhlel, Dylan Roof, Anders Breivik, Amedeo Mancini. Se il disagio è nelle nostre società, sembra difficile contestare, e proprio su un piano pragmatico, che andare alla guerra valga assai meno che affrontare le cause di quel disagio. Anzi, la guerra, quel disagio, lo occulta, lo devia, e quindi lo alimenta e lo rafforza. La guerra è, in fondo, il grande palliativo del disagio della civiltà. Ma chi lo vuole affrontare, foss’anche in modo sintomatico? Hollande? Lo voleva affrontare Bush, prima di lui? 

 

É facile convincere ancora una volta che tutto si risolverà vincendo l’ennesima guerra contro il nemico esterno di turno; soprattutto da parte di chi i problemi dell’inclusione, dell’integrazione e della convivenza tra gruppi non omogenei (che non sono affatto questioni semplici da affrontare e gestire) non vuole in fondo nemmeno toccarli perché, esattamente al contrario, proprio la guerra tra poveri, e il razzismo che la alimenta, rimane l’esito gradito alle èlite che oggi hanno portato al massimo del cinismo le politiche economiche antisociali egemoni e la guerra è al suo posto nel mosaico.  Dai bambini di Nizza a quelli di Aleppo, tra un funerale di massa e un alzabandiera, per qualcuno il gioco vale sempre la candela.

 

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