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di Franco Cardini – 6 novembre 2016
Tempi duri, i nostri. Tempi di violenza, di corruzione, di cataclismi e di segni. Tempi di “nuovo medioevo”, come direbbero quanti in tale periodo – convenzionalmente ritagliato nei secoli da alcuni diligenti umanisti e quindi inchiodato ai suoi connotati di barbarie e di superstizione da alcuni non meno diligenti illuministi – vedono appunto solo Guerre, Pestilenze, Carestie e insomma i Cavalieri dell’Apocalisse Prossima Ventura.
Se non è vera, è efficacemente pensata. Qualcuno ha visto nella basilica di San Benedetto a Norcia, distrutta ma la facciata della quale è rimasta miracolosamente e precariamente in piedi, un simbolo della Chiesa cattolica dei nostri tempi, in cerca d’unità ma in pericolo al contrario di scisma; una Chiesa corrotta, guidata da un papa al servizio dell’Anticristo che tratta con gli eretici. Immagini davvero “medievali”, degne di Ademaro di Chabannes, di Gilberto di Nogent, di Arnaldo da Brescia, del Savonarola.
Quanto a me, dal momento che come medievista nei confronti di queste immagini sono vaccinato mentre, come cittadino, mi preoccupo piuttosto della crisi di quell’Europa nell’unità della quale fin da ragazzo ho profondamente e sinceramente creduto, nel crollo della basilica di Norcia ho visto piuttosto il simbolo della rovina dei sogni che per alcuni decenni abbiamo avvolto nella bandiera azzurro-stellata. Perciò torno a pensare a Bendetto.
Il nobile Benedetto, membro dell’eccelsa aristocrazia romana – apparteneva alla gens Anicia – era figlio di un alto funzionario che aveva servito sotto il saggio Teodorico nel suo tentativo di far convivere romani e goti. Benedetto, nato a Norcia verso il 480 e morto nell’abbazia da lui fondata, Montecassino, nel 547, in tempi di terribile disordine (infuriava in Italia la cosiddetta “guerra greco-gotica”). Secondo il suo biografo, papa san Gregorio Magno, che ne trattò nel secondo libro dei suoi Dialogi, si ritrasse dal mondo in quanto scandalizzato dai vizi che dilagavano in Roma, dov’egli era stato mandato a studiare.
Fu attratto dalla vita monastica, ch’era allora essenzialmente eremitica secondo l’uso orientale: ma, ispirandosi alla miseria e all’insicurezza dei suoi tempi e reagendo alla durezza dei suoi tempi con quel senso di virile concretezza ch’è caratteristico del migliore spirito romano e occidentale, finì dopo varie esperienza con il fondare un ordine monastico nuovo che prescriveva la vita “cenobitica”, vale a dire comune, e l’equilibrio fra preghiera, studio e lavoro fisico ben espresso dalla formula ora et labora (“prega e fatica”) della famosa regola – ispirandosi al modello di quella, precedente, di san Martino di Tours – che verso il 540 dette ai suoi monaci.
Il modello di Montecassino s’impose in tutto il mondo romano d’Occidente, ormai privo di unità politica in quanto la compagine imperiale, sopravvissuta in Oriente, là si era dissolta. Quando grazie alla conversione dei vari popoli germanici e quindi alle successive conquiste oltre la linea del Reno e del Danubio si andò configurando anche a livello sociostorico quella che prima era solo un’espressione geografica teorica, il continente europeo, il monachesimo benedettino ne divenne il nerbo spirituale e culturale: da esso sorsero le varie congregazioni – come la cluniacense e la cistercense – che fra XI e XII secolo fondarono l’identità dell’Europa cristiana. Perciò egli è stato proclamato Patrono d’Europa.
Benedetto, morto nel giorno dell’equinozio di primavera del 547 (il 21 marzo), fu un pacificatore e un costruttore. Egli è per gli europei – credenti di qualunque confessione o religione, o anche agnostici e atei – un vero e proprio simbolo: e la nostra Europa, quell’Unione Europea che non è ancora tale sotto il profilo politico, attraversa una fase di serio pericolo in quanto priva di quei “simboli condivisi” senza i quali non si costruisce nessuna patria comune.
Dopo la seconda guerra mondiale, i popoli d’Europa trovarono nell’abbazia benedettina di Montecassino, distrutta in un terribile scontro fratricida,* il simbolo della loro fratellanza che doveva, al pari di essa, essere ricostruita. Oggi, la distrutta basilica di san Benedetto a Norcia, è il simbolo evidente, quasi terribile, di questa nostra Europa ancora viva nelle apparenze istituzionali (la facciata, miracolosamente rimasta in piedi) ma rovinata nelle sue strutture profonde perché, dopo quasi sessant’anni dalla sua fondazione, non ha ancora trovato un’anima e quindi un’effettiva concreta unità.
Il terremoto recente è un’atroce occasione per ripartire: la chiesa di Norcia rovinata, un simbolo e un mònito. La si ricostruisca con il contributo di tutti i popoli dell’Unione Europea, come dopo la guerra si ricostruì Montecassino. Allora era stata perduta una guerra: perché le guerre le perdono tutti. Oggi noialtri europei rischiamo di dover ammettere di aver “perduto la pace”, perché sette decenni di pace nel nostro continente ci hanno condotto, in gran parte per colpa nostra, alla crisi attuale. Ricostruiamo tutti insieme il santuario di Norcia e ripartiamo da lì, nel nome di Benedetto nostro patrono.
In attesa che questa benemerita iniziativa conosca sollecita partenza e felice compimento (?!), non priviamoci comunque, in questi tempi tristi, di un pudico sorriso. Se il contesto fosse meno triste, ci consentiremmo una bella risata. La sublime sortita di Radio Maria, secondo la quale la basilica di Norcia è stata colpita da un terremoto a causa dei nostri peccati – peccatis nostris exigentibus –, costituisce un interessante esempio di applicazione del principio della “giustizia divina immanente” e pone pertanto un problema di teodicea. Secondo i pii e dotti speakers di tale devotissima emittente, che già aveva segnalato come gli tzunami puniscano nel nome e per conto di Dio dei poveracci a sconto dei peccati commessi da altri, Dio paga dunque il sabato. O comunque, potrebbe anche decidere di farlo: il che è teologicamente fuori discussione.
Solo che, secondo la teologia cattolica, di solito non lo fa. Sfugge probabilmente ai teologi di Radio Maria il tema dell’Onnipotenza Ordinata di Dio. Dovrebbero farselo spiegare dall’amico Giulio Giorello, che viceversa ne è profondo conoscitore e che più volte, nonostante sia ateo, ne ha trattato con grande dottrina. Fra l’altro, se ne sapessero qualcosa, potrebbero farsene argomento nella loro frequente polemica antimusulmana. Difatti i teologi islamici, fedeli sostenitori della sola Potenza Assoluta di Dio, ritengono che se Egli all’atto della Creazione si fosse volontariamente assoggettato a precise regole di comportamento da Lui impresse al cosmo e alla natura, avrebbe rinunziato alla pienezza della propria Onnipotenza stessa: il che è senza dubbio un adynaton. Per questa ragione, il miracolo non ha posto nella teologia musulmana: in quanto cosmo e natura non seguono affatto regole che Dio ha imposto loro una volta per tutte, creandoli, bensì obbediscono continuamente alla Sua volontà in una Creazione continua. Il miracolo non esiste perchè tutto è miracolo: non si muove foglia che Dio non voglia, nel senso letterale di questo adagio.
Invece, ebrei e cristiani distinguono tra Onnipotenza Assoluta e Onnipotenza Ordinata. Cosmo e natura hanno le loro regole, divinamente stabilite ma sulle quali Dio ordinariamente non interviene, pur riservandosi il diritto di farlo in deroga ad esse (e allora c’è appunto il miracolo). Dal cosmo e dalla natura, dopo il peccato originale, possono bensì derivare conseguenze che colpiscono l’uomo, il quale, disubbidendo, ha perduto i doni che Dio gli aveva dato cerandolo e che lo ponevano in uno stato di perfetta felicità. Da allora egli è soggetto a tutti i mali e i pericoli che la natura per lui comporta, restando impassibile (ricordate il bellissimo Dialogo della Natura e di un islandese di Giacomo Leopardi?). I terremoti, gli tzunami, le eruzioni, le epidemie, le malattie e via dicendo sono effetto di precise, geometriche regole naturali: una faglia sotterranea cede non perché Dio lo vuole – Dio non vuole il male – ma in quanto lo permette sulla base di norme e di equilibri dinamici stabiliti ad initio saeculorum (poiché è la Creazione ad aver impiantato il tempo, insieme con lo spazio). Non è che Dio non c’entri, intendiamoci: potrebbe miracolosamente arrestare il processo naturale, il decorso delle cose. Talvolta lo fa: quando Gli piace, e ciò appartiene all’imperscrutabilità del suo Volere. A noi restano lo Stupore, il Timore e la Preghiera: perché Egli ci ascolta, e quando vuole ci esaudisce senza stancarsi del nostro continuo patire chiedendogli una serie infinita di grazie. Ma il povero cristiano, pur implorando, premette sempre e comunque un fiat Voluntas Tua (che poi equivale all’Inshallah dei musulmani, i quali nella loro preghiera di solito si limitano a lodare e a ringraziare Dio, ma evitano d’implorarLo di far questo o quell’altro fiduciosi del Suo volere: il che è appunto espresso nella parola Islam, ch’è molto improprio ed equivoco tradurre col termine “fatalismo”).
Del resto, le “grazie” si possono chiedere anche agli esseri umani. Ai dotti e pii emittenti di Radio Maria, ad esempio, chiediamo volentieri e umilmente la grazia di smetterla di bestemmiare. Sono convinto che Dio si diverta quando ascolta le fantasiose bestemmie degli scaricatori di porto livornese. Ma temo si annoi quando Gli pervengono quelle dei Bastemmiatori Devoti.
FC
* ATTENZIONE! Un piccolo asterisco per notare che, se Montecassino fosse stata distrutta nel ’44 dai tedeschi (i quali invece, per fortuna, avevano provveduto prima della catastrofe di svuotarla dei suoi tesori trasferendoli con i propri mezzi militari, in pieno conflitto, nella Città del Vaticano), nessuno si lascerebbe sfuggire l’occasione, ogni volta che se ne parlasse, di stigmatizzare “la barbarie nazista”. Ma poiché l’abbazia fu rovinata da un bombardamento “alleato”, tanto inutile e idiota quanto criminale, il politically correctimpone di recitare la litanìa dei “fatali eventi bellici”…