Fonte: la Repubblica
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di CARLO PETRINI 2 ottobre 2015
DA ORMAI più di dieci anni Terra Madre è una realtà consolidata e riunisce in una grande rete migliaia di comunità del cibo in quasi ogni Stato del mondo: produttori di piccola scala, artigiani, pastori, nomadi, pescatori. Un’umanità che ha a cuore il nostro cibo, perché lo produce in maniera buona e sostenibile, e lotta perché il sistema globale dell’agroindustria non la inghiotta ma le renda giustizia, poiché è l’unica alternativa che ci possa garantire un futuro degno di questo nome.
Perché radunare i giovani di questa rete a Milano? Perché se Terra Madre è il futuro del pianeta loro sono quelli a cui consegnare le chiavi di questa prospettiva felice: rappresentano il seme benefico che deve poter germogliare in un contesto sempre più difficile, fatto di guerre visibili e invisibili, di attività che consumano più di quanto preservino o producano, di un mondo che sembra essersi smarrito insieme all’umanità. Il rinascimento di ciò che ci serve passa dalla terra, da chi la lavora con passione, soprattutto dalle giovani mani che se ne prendono cura e vogliono consegnarci il nutrimento di cui abbiamo bisogno.
Cibo non soltanto materiale, ma anche dell’anima. Il grande scrittore Kurt Vonnegut, in un discorso ai neolaureati del Fredonia College, New York (Quando siete felici, fateci caso, Minimum Fax 2015), nel 1978 spiegava perché le giovani generazioni sono differenti dalle precedenti, come la sua: “Ciò che ci teneva belli carichi per quasi tutto il tempo era l’odio. Per tutta la vita ho avuto gente da odiare, da Hitler a Nixon. I ragazzi che si laureano qui oggi non sono sonnacchiosi, non sono indifferenti, non sono apatici. Stanno solo portando avanti l’esperimento di fare a meno dell’odio”. Un esperimento che continua, nelle campagne delle comunità di Terra Madre, mentre là fuori l’odio è tornato a essere il motore di questo mondo: verso i diversi, i migranti, chi non produce abbastanza, verso chiunque, anche il proprio vicino di casa.
I giovani di Terra Madre portano una prospettiva diversa: invece di odiare amano i loro coetanei di tutto il mondo, amano l’umanità e forniscono il loro esempio. Amano la terra e si sorprendono ogni giorno per la sua bellezza, per la bontà dei frutti che può dare. Sono quelli che nutriranno il pianeta, e anche loro, come diceva Vonnegut, “si stanno cimentando in un’impresa molto esaltante, per cui gli faccio i miei migliori auguri”.