Tempo triste dei narcisi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: gabriella Cotta
Fonte: Avvenire

di Gabriella Cotta – 3 novembre 2018

Chi voglia rivolgere l’attenzione poco al di là della propria dimensione privata – e molti non lo vogliono affatto – riceve ogni giorno una pioggia di notizie di durezza crescente. Per quanto riguarda le notizie “pubbliche”, colpiscono la marginalizzazione sempre più evidente del nostro Paese troppo invecchiato, la fuga dei giovani privi di un futuro a casa loro, la perdurante vitalità delle organizzazioni malavitose che allargano la loro azione distruttiva a tutto il circuito mondiale della droga, esercitando un’azione corruttiva e diseducativa generalizzata di cui sembra non si tenga il debito conto, il disfacimento del tessuto organizzativo e di cura del Paese, la trasversale inadeguatezza della classe politica.

Sul fronte degli eventi “privati”, tre esempi tra tutti rivelano un tasso allarmante di disfacimento nichilistico: l’omicidio Varani al termine di un festino a base di droga, orrendo per modalità e insensatezza, quello di Pamela Mastropietro, con lo sfondo tollerato di uno spaccio tracotante e impunito di tutti i tipi di droghe, la dipendenza da quelle, il totale spregio verso l’essere umano, consumato nella violenza sessuale e non solo, e, infine, l’omicidio di Desirée Mariottini, replica di questo, ancora più drammatica e desolante per la presenza di numerosi testimoni totalmente indifferenti all’agonia della vittima e, di nuovo, per la ignobile, tollerata presenza di un centro di spaccio, delinquenza e degrado noto a tutti e posto nelle immediate vicinanze dell’Ateneo più grande di Roma, per vocazione sede di educazione e formazione giovanile.
Ponendo a confronto drammi pubblici e privati, emerge un elemento su tutti, a rivelare l’ossatura di questa fenomenologia della dissoluzione – perché di questo si tratta: dissoluzione di una generazione e, almeno in parte, di un Paese – che ci consente di tentarne una diagnosi: la mancanza di senso di responsabilità, spesso imputata ai Paesi cattolici nei confronti della cosa pubblica, che questi trascurerebbero in favore di quella privata. Gli elementi e i casi sopra ricordati dimostrano al contrario che la mancanza di senso di responsabilità si estende pienamente, accanto all’ambito pubblico, anche a quello privato.

Tuttavia, questo vuoto dagli esiti tragici, a leggerlo bene, appare imputabile da una parte al trionfo dell’individualismo più feroce e assertivo – certamente non appartenente alla cultura cattolica –, radicale nella sua assolutizzazione dell’interesse personale, tanto da offuscare l’immagine dell’altro, non più essere umano uguale a sé, ma strumento, intralcio, opportunità e, a seconda dei casi e dei momenti, sempre oggetto da valutare in funzione del proprio utile. Dall’altra parte, nei casi di fragilità estrema, l’irresponsabilità travolge invece chi, incapace di uscire da una situazione di totale disperazione e di chiusura nel proprio mondo, distrugge ciò che dovrebbe a sé stesso nel modo più originario: il riconoscimento della propria umanità.

In entrambi i casi, come ci dimostrano le terribili vicende sopra ricordate, per colpa o per contingenze disgraziate, vi è una cancellazione dell’immagine dell’altro come dell’interlocutore necessario, nel “feroce” accecamento della propria impermeabile centralità. Ma chi perde l’Altro, perde anche sé stesso e ogni rincuorante sentimento di fiducia, per finire inghiottito in un vortice di insensatezza e di autonegazione. A questo annichilimento dovrebbe supplire la droga, oggi da tanti ipocritamente definita “ricreativa”, di cui si tollera la diffusione e lo spaccio accanto o sin dentro i luoghi della paideia.
La mancanza di responsabilità indotta dal soggettivismo più radicale investe, in modi diversi ma altrettanto decisivi, anche la dimensione pubblica, dove però il remunerativo e gratificante esercizio del potere mette gli attori politici al riparo dagli esiti auto-dissolutivi sopra registrati, declinandosi piuttosto in forme narcisistiche.

Anche qui si realizza una radicale eterogenesi dei fini: sia la personalizzazione estrema del ruolo politico individuale, sia la trasformazione narcisistica del partito o del movimento – e soprattutto del suo leader –, presentato come unico e salvifico interprete della vox populi, sono forieri di dissoluzione del vero senso della ‘politica’. Questa, infatti, nella linea che progressivamente – e certamente con tragici interludi – si è andata affermando nella storia europea, si è indirizzata, in linea tendenziale, verso la realizzazione di modelli politici capaci di promuovere coesione pur nella dialettica tra parti sociali e istituzioni, di garantire autonomia e indipendenza ai poteri dello Stato, di permettere l’espressione – ancora una volta dialettica – delle dinamiche e degli equilibri interni alla compagine statale, di creare spazi crescenti di libertà e welfare per i cittadini, nella ricerca di una coesione nazionale che, tanto più è veramente salda e non soltanto violentemente gridata, tanto più è compatibile con una superiore integrazione sovranazionale. Nella misura in cui, in questo tempo triste, i nuovi modelli politici e di (presunta) ‘civilizzazione’ che si vanno costituendo sotto i nostri occhi vengono plasmati dal principio di irresponsabilità autoreferenziale e narcisistica, che cerca, per sé, soddisfazione immediata o fantomatici antagonisti che nascondano il vuoto della propria proposta, la politica è morta, così come la possibilità di costruire relazioni di reciprocità, dialogo, accoglienza.

*Docente di Filosofia politica, Università di Roma La Sapienza

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