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Di Luca Billi 28 luglio 2015
C’è davvero stata quella benedetta telefonata tra Crocetta e Tutino? E se c’è stata, è stata davvero intercettata? Non lo so, non lo sappiamo, ma francamente a questo punto saperlo è quasi superfluo, ininfluente; certamente esiste la notizia di quell’intercettazione e questo è bastato a scatenare quello che chi ha confezionato quella notizia voleva scatenare.
Premetto che io non parteggio per nessuna delle parti in causa: sapete che ho un pessimo giudizio del pd e dei suoi dirigenti e Crocetta è uno dei tanti cacicchi a cui quel partito, specialmente nelle regioni del sud, si è affidato per ottenere voti e per raggiungere il governo; è solo più debole di altri, ad esempio di Emiliano e di De Luca – per fare i nomi di altri due boss molto noti – che invece, forti dei loro voti e dei loro affari, spadroneggiano nei loro territori, ricattando il governo centrale. Fosse per me Crocetta potrebbe andare a casa anche domani, mi è sostanzialmente indifferente a quale “cosca” del pd appartenga il presidente di quell’importante regione del nostro paese, però questa vicenda è inquietante per tanti aspetti e dovrebbe preoccupare chi crede ancora nelle istituzioni e chi spera – forse illudendosi – di poter cambiare veramente, e non solo a parole, questo paese.
Un primo aspetto preoccupante riguarda l’intercettazione in sé. Teoricamente, dal momento che le procure hanno escluso di avere agli atti questa specifica intercettazione, dovremmo dedurre che non esiste e che quindi quella telefonata non si è svolta, o almeno non si è svolta con le modalità ormai note. Però queste smentite non sono servite a niente, perché evidentemente tutti sanno che esiste un sistema illegale di intercettazioni, a cui molte persone sono sottoposte, indipendentemente dal fatto che esista su di loro un’indagine giudiziaria. In questo paese non è possibile avere completa fiducia delle istituzioni a cui è delegata la tutela dell’ordine pubblico, perché sappiamo che negli anni hanno risposto a poteri diversi rispetto a quelli costituzionali, poteri sempre illegali e spesso criminali. Sappiamo che i servizi segreti di questo paese hanno sempre agito – e agiscono – al di fuori della Costituzione e quindi sappiamo che queste intercettazioni “mirate” vengono fatte e che vengono usate. Quindi quella intercettazione, anche se non è stata ordinata dalla magistratura, è possibile che esista.
L’altro aspetto preoccupante è che questa telefonata tra il presidente della Regione e un importante esponente della sanità siciliana – incidentalmente anche suo medico e medico di una buona parte della classe dirigente dell’isola, mafia compresa – è verosimile, perché indicativa della crisi morale, prima che politica, di questo paese – di tutto il paese, non solo delle regioni del sud – in cui gli interessi particolari prevalgono su quelli generali e le consorterie sulla politica, in cui queste telefonate, durante le quali si alternano minacce, blandizie, scambi di favori, di promesse, di segreti, sono ormai comuni, perché raccontano la viscida rete di complicità che tiene legate tra loro le nostre classi dirigenti. Sappiamo che quella telefonata può esserci stata, può essersi svolta nei toni raccontati da quel cronista prezzolato, e questo è comunque grave.
L’elemento più importante però è che chi ha voluto colpire Crocetta, immaginando di poterlo sostituire alla fine di questa vicenda con una persona più gradita, non ha usato l’intercettazione – come avrebbe potuto fare e come solitamente “loro” fanno – in maniera riservata, ma ha organizzato questa messinscena per lanciare segnali obliqui anche ad altre persone. Davvero, come diceva Giovanni Falcone, ci troviamo al cospetto di menti raffinatissime; che poi si tratti di mafia non possiamo saperlo, anzi personalmente penso che la mafia non c’entri affatto. L’intercettazione è stata pubblicata su un giornale direttamente riconducibile ai poteri che sostengono l’attuale presidente del consiglio e la sua cricca e a pochi giorni dall’anniversario della strage di via D’Amelio. Ovviamente nessuna delle due circostanze è casuale.
Scegliendo L’Espresso l’autore di questa vicenda ha voluto dire qualcosa, anche se in maniera indiretta, a quelli che hanno scelto il fantoccio di Rignano, a quelli che governano questo paese manovrando lui e i suoi ministri. Ha detto loro di stare comunque attenti, perché, anche se adesso sono forti e si credono invincibili, c’è qualcun altro, altrettanto forte, che può sparigliare i giochi, magari facendo pubblicare una qualche intercettazione proprio su renzi e i suoi amici oppure facendo qualcosa di molto peggio. Io credo che i veri destinatari di questo attacco non siano tanto a Palermo – Crocetta è una figura debole, che non richiedeva questa operazione per essere delegittimato – ma a Roma, un po’ come avvenne nel marzo del ’92, in un’altra fase delicatissima della vita del paese, quando uccisero fisicamente Salvo Lima per ammazzare politicamente Giulio Andreotti.
Il 23 maggio e il 19 luglio sono gli unici due giorni, in questo triste paese che ha perso la memoria, in cui si fa davvero qualcosa per far crescere la cultura contro la mafia, un po’ per ipocrisia, ma soprattutto per sincera commozione. Due giorni su 365 sono pochi, praticamente nulla, ma anche due giorni danno fastidio alla mafia e a chi con la mafia fa affari e governa. E infatti quest’anno, oltre che a colpire Crocetta e il pd, sono riusciti, con questa notizia, a far passare sotto silenzio l’anniversario della strage di via D’Amelio: forse non è stato il motivo scatenante di questa operazione, anche perché credo che non sia una questione strettamente legata alla mafia, ma certamente un effetto collaterale, gradito e cercato. Altrimenti non avrebbero aspettato proprio alcuni giorni prima del 19 luglio per scatenare questa bagarre. Che è servita a far passare il messaggio che in fondo sono tutti uguali, che si può anche non votare, perché tanto il più pulito ha la rogna e cose così.
In quei giorni, e anche questa cosa è degna di nota, un po’ tutti abbiamo fatto la nostra parte in commedia, abbiamo fatto quello che chi ha pensato a tutto questo voleva che facessimo. A partire dalla famiglia di Paolo Borsellino, su cui l’opinione pubblica ha riversato la propria gratitudine verso quello che ha fatto quel magistrato. E anche su questa sorta di transfert emotivo credo che prima o poi dovremmo interrogarci: basta essere il familiare di una persona perbene per essere una persona altrettanto perbene? Personalmente comincio a nutrire qualche dubbio e credo che per primi i familiari dovrebbero stare attenti al potere che hanno, un potere che non hanno certo chiesto, che si sono ritrovati in mano, ma che possono usare bene o male. Non ho motivo per dubitare che Manfredi Borsellino sia un’ottima persona e un bravo poliziotto, ma le sue parole, certamente dettate dall’amore per la sorella, certamente dette in buona fede, hanno finito per chiudere il caso. E’ stato proprio il suo discorso a rendere del tutto inutile che l’intercettazione esistesse o meno; e questo il manovratore lo sapeva bene, proprio come sapeva che tanti avremmo scritto parole sdegnate. Proprio perché l’intercettazione ci è sembrata credibile in tanti abbiamo lanciato la nostra pietra, piccola o grande, contro Crocetta, e così abbiamo fatto il gioco dell’abilissimo organizzatore di questo dramma pirandelliano, in cui nessuno è come lo si crede.
Tra qualche mese Crocetta si sarà dimesso – o l’avranno fatto dimettere – tra un po’ di tempo ci sarà un nuovo governo in Sicilia, altrettanto incapace di quello che c’è adesso di affrontare i problemi di quella regione, e quindi la mafia sarà ancora un po’ più forte, perché più è debole lo stato più è forte la mafia. In questi giorni credo si sia consumato un atto della nuova trattativa tra un pezzo di stato – o chi per lui – e la criminalità: il capitale, in cambio di voti e di soldi, lascia il governo di quella terra ai clan mafiosi, anche perché con loro ormai fa affari in tutta Italia. Pecunia non olet.