TECNOLOGIA E MORALE
“Più l’essere umano si giudica esperto, più ha bisogno di protezione divina per difendersi da sé stesso.”
La salute di ogni individuo è la sua autonomia personale, il valore attribuibile all’essere integrale e individuale.
Per salute invece si intende comunemente una condizione di efficienza del proprio organismo corporeo caratterizzato dall’assenza di gravi patologie invalidanti, che consente alle persone di condurre una vita attiva a livello individuale, sociale ed economico. Quindi, l’enfasi è posta sull’efficienza e il rendimento-produttività, termini mutuati dalle….macchine termiche!
Quando la salute, l’educazione, la mobilità personale, il benessere, la recuperazione psicologica sono definiti come output di servizi o trattamenti, dunque misurabili e computabili, dovremmo ricordarci che tutto ciò è conseguenza dello sviluppo tecnologico, che si basa sull’ideale scientifico di ridurre tutta la straordinaria ricchezza del Mondo a misura, peso e numero.
Qual è l’origine dei dati? E’ il mondo della percezione sensoriale, allargato alla misura digitale di quanti parametri e variabili sia possibile immaginare con le sempre più sofisticate strumentazioni. Le altre realtà, metafisiche e spirituali, come la salute, l’igiene e l‘apprendimento conoscitivo hanno perso lo status di valori e ricevuto diritto di esistenza scientifica al convertirsi in risultati di misura e divenendo numeri, prodotti, merci di scambio, statistiche.
Rendere istituzionali i valori ha significato trasformare necessità spirituali in domanda di merci e in richiesta di servizi come mercanzie.
In uno studio precedente* si osservava come l’artificiale cresca a dismisura intorno a noi e come si spenga la vita. La vita che si spegne non dovremmo pensarla solo nelle devastazioni che sono inflitte alla Natura, ma vederla sopratutto nella società che tende a dissolvere in mille modi i valori più essenziali e trasformarli in merci, ed avere consumatori docili e disciplinati e utenti rassegnati. La società dei consumi possiede indubbie attrattive ma sotto di essa si cela una profonda distruttività. Sradicato, castrato nella sua creatività, l’individuo è rinserrato nella propria capsula individuale. Da un certo punto di vista, i modi di produzione riducono gli esseri umani a materia prima lavorata dagli strumenti e dalle tecnologie, governati dalla specializzazione a oltranza, soggetti a ritmi alienanti, afflitti da una generale precarietà.
Si vive usando e consumando beni e servizi di forma crescente. La società crea l’illusione dell’abbondanza di beni e servizi mentre alimenta vorticosamente la dipendenza e la carenza. La pubblicità è un continuo alludere alla carenza mentre diffonde l’abbondanza potenziale di varietà di beni e servizi. È la carenza-dipendenza la coppia binaria che ci caratterizza. La carenza affligge i più perchè vedono solo il limitato orizzonte materiale. Allo stesso tempo, per i limiti che abbiamo alla percezione dei sensi ci persuadiamo di avere limiti ad ogni altra cognizione. Pure, se si diviene cosciente di quei limiti, si scopre in questa nuova coscienza la facoltà per varcarli.
L’individuo che apprendeva a servirsi dello strumento è cosa del passato, ora è la tecnologia che si impone sull’individuo. L’essere umano diverrà gradualmente un meccanismo, sempre più simile a una macchina. Eventualmente solo impulsi tecnici attiveranno i suoi pensieri, come prevede ad esempio il progetto comunicazione cervello-cervello nella convinzione di poter arrivare al momento nel quale una stessa informazione potrà passare all’istante per artefatto tecnologico da una mente umana all’altra. È imminente la connessione diretta tra i cervelli e l’ internet, essa è implicita nello stesso disegno del microprocessore, il quale copia le reti neuronali.
Lo strumento veramente morale risponde a tre esigenze: genera efficienza senza degradare l’autonomia personale, genera altruismo e solidarietà, estende il raggio d’azione personale. L’essere umano ha bisogno di uno strumento col quale lavorare, non di un’attrezzatura che lavori al suo posto. Ha bisogno di una tecnologia che esalti le qualità e l’immaginazione personali, non di una tecnologia che lo asservisca e lo programmi. L’industrializzazione programmatica invece ci ha progressivamente privato di tali strumenti.
Giunti a questo punto è la vita che appare malata. Nascondendo il carattere profondamente distruttivo delle nuove attrezzature, si sono moltiplicate le vittime dell’aggressione industriale nelle sue varie forme: stress e accelerazione dei ritmi, tensione nervosa, avvelenamento dell’ambiente. I veicoli creano più distanze di quante non ne eliminino. Il produttore di beni e servizi è asservito, il consumatore è intossicato.
Come Gesù Cristo ebbe a sperimentare nelle tentazioni: Ricavare Pane dalle pietre, volare dall’alto, afferrare ogni cosa per sé. Ecco le offerte che oggi ancora sono presenti più che mai. La prima tentazione ci vorrebbe inchiodare alla materia nella sua caricatura che allude all’artificialità oggi ubiqua; la seconda ci spinge a cercare l’evasione nelle emozioni e le esperienze estreme, la terza rappresenta l’egoismo più sfrenato. Non vi vediamo raffigurati ampi settori della nostra società?
Che compito ci attende? In primo luogo, trovare lo spirito che aleggia nello strumento e la tecnologia, dove esso si cela, cioè nella sfera dei valori e della moralità. Vari studi documentati hanno tracciato il profilo delle storture e delle ipertrofie che segnalano l’età industriale, in questa fase nella quale individui merci e prodotti sono stati assoggettati alla pianificazione razionale. Osserviamo le distorsioni della società industrializzata e le profonde fratture che produce nell’Umanità e identifichiamo lo spirito: esso accelera la spinta alla materializzazione, alla disintegrazione dell’Io, alla morte spirituale. I rapporti umani e con la macchina che si stabiliscono sono riflessi condizionati, catene di stimoli e risposte stereotipe dell’utente ai messaggi emessi da un altro utente, che egli non conoscerà mai, o da un ambiente artificiale, che lo dirige e lo incanta ma che mai comprenderà, a meno che….
Per l’esistenza di tutti gli altri oggetti e di tutte le tecnologie è stato già provveduto senza la nostra cooperazione. Questa è appunto la ragione per cui le cose stanno di fronte a me così enigmatiche, perchè io non prendo nessuna parte al loro prodursi. Me le trovo semplicemente davanti belle e fatte, aliene e pervasive. Ma è pur vero che ciascuno vive e costruisce la sua vita sperimentando la propria coscienza ora dopo ora nel pensiero. È lì la chiave.
Cerchiamo di comprendere col pensiero il mondo in cui interveniamo, e facendo così presupponiamo la nostra propria realtà. Sappiamo come il pensiero appare in noi, siamo noi stessi che lo produciamo. Il pensare è patrimonio esclusivo di ciascuno di noi e esclusiva responsabilità personale.
Ma è pur vero che il pensare comune è saturo di intellettualità, di automatismi e di un sapere che pretende già saper tutto. Tutto ciò che si manifesta in noi in quanto a pregiudizi materialistici, a ristrettezza di vedute, quando esclamiamo: so tutto ciò che mi serve, mi fido dei miei sensi! Quando abbiamo le risposte belle e pronte, ci persuadiamo che non c’è né anima né quanto meno spirito, la vita è solo un complesso di processi biochimici, la realtà si basa su fatti quantitativi e la materia si auto organizza. Quel pensare rigido e automatico, senza pensieri condotti autonomamente, un pensare tremendamente forte nel linguaggio, ricco di definizioni letterali, che facilmente divengono parole vuote e menzogne. Un pensare astratto privo di collegamenti con le esperienze vive.
Diverremmo una macchina del pensare, in linea con la tendenza contemporanea, se non si aggiungessero ad esso il cuore e l’Io, la nostra moralità. Il pensare che ci rende liberi e che ci fa fronteggiare lo stato di cose richiede da noi che diveniamo portatori di impulsi morali.
Dato che abbiamo timidamente alzato il velo che occulta la materializzazione della vita, abbiamo scoperto che è la a-moralità quello che ammala l’anima la nostra società, l’ignoranza della dimensione spirituale. Di fronte alla a-moralità che converte i valori in mercanzie, che rifugge del qualitativo e solo vuole misure, peso e numeri, possiamo fare appello al cuore, ristabilire l’equilibrio, ritrovare gli ideali.
Allora intravediamo che l’individuo non vive soltanto di beni e di servizi, ma della libertà di modellare gli oggetti che gli stanno attorno, di conformarli al suo gusto, di servirsene con gli altri e per gli altri, per accrescere il potere e il sapere di ognuno, consentendo a ognuno di esercitare la propria creatività senza per questo negare lo stesso spazio d’iniziativa e di produttività agli altri.
FILOTEO NICOLINI
Studio basato sull’Opera di Rudolf Steiner e di Ivan Illich.
Immagine: Indiano Seneca.
* htpps://www.nuovatlantide.org/lartificiale-non-e-il-perfetto-incantesimo-contemporaneo