Fonte: la voce.info
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da la voce.info, 17 novembre 2014
di Paolo Beria, Raffaele Grimaldi e Francesco Ramella
Le grandi opere non solo costano tanto, ma sono spesso inutili. Per giustificarle ci si affida a previsioni di aumento del traffico poco realistiche. Sono necessarie analisi costi-benefici terze, indipendenti e interamente riproducibili.
ULTIME POLEMICHE IN ORDINE DI TEMPO
Dopo le ultime polemiche a proposito dei costi di realizzazione del tunnel di base del Fréjus (parte della nuova linea Torino-Lione, impropriamente definita “Tav”), il presidente del Consiglio ha convocato una riunione per fare il punto della situazione. Una verifica puntuale della spesa prevista è senza dubbio necessaria, tuttavia il problema specifico sembra essere essenzialmente di natura contabile e formale. Non meno urgente è invece una due diligence relativa alla previsioni di traffico. Perché un investimento aumenti il benessere collettivo non è sufficiente rispettare il budget di spesa. Proprio come un nuovo stabilimento che venisse utilizzato al 10 per cento della sua potenzialità, anche scavare efficientemente un buco nella montagna sarebbe un enorme spreco di risorse se ci fosse il fondato rischio di ritrovarlo vuoto. In precedenti articoli su lavoce.info sono raccolti numerosi contributi sul tema, ci limitiamo qui a ricordare quelli che riteniamo essere i problemi più rilevanti.
PREVISIONI ARDITE (E SMENTITE)
Per la nuova linea ferroviaria Torino-Lione le stime di traffico più recenti sono quelle contenute nell’analisi costi-benefici redatta nel 2012. Vi si ipotizza che i flussi di merce che attraversano il versante occidentale delle Alpi su gomma raddoppino tra il 2000 e il 2030 e quadruplichino entro metà secolo. Le previsioni di crescita del numero di veicoli pesanti appaiono incoerenti con la reale evoluzione dei traffici negli ultimi vent’anni. Come evidenziato in figura 1, il traffico pesante attraverso i trafori stradali del Fréjus e del Monte Bianco ha raggiunto un massimo di circa 1,4 milioni di veicoli nel 1994, si è quindi stabilizzato e negli ultimi anni si è ridotto di circa il 20 per cento sia a causa della recessione sia per la diversione di una parte dei flussi su altri itinerari causata da un rilevante aumento dei pedaggi. Le proiezioni derivano dall’applicazione a quella specifica direttrice dei tassi di crescita medi dei flussi di merce registrati degli scorsi decenni lungo l’intero arco alpino. Ma così facendo: a) si ignorano le sostanziali differenze che caratterizzano le varie direttrici (figura 2) e b) non si considera che le tendenze manifestatesi nel corso degli anni Ottanta e Novanta sono in parte riconducibili a condizioni “eccezionali”, come il completamento del mercato unico e la realizzazione su scala continentale di una capillare rete autostradale con radicale abbattimento dei tempi di trasporto, che non potranno evidentemente riproporsi nei decenni a venire. Sembra dunque ripetersi l’”errore” già compiuto negli studi redatti nei primi anni Duemila dalla commissione intergovernativa franco-italiana che stimavano per il 2015 un numero di veicoli medio giornaliero pari a 6.600, cioè esattamente il doppio rispetto a quelli registrati lo scorso anno. Ancor prima, sono state smentite le previsioni del traffico ferroviario sulla linea storica contenute nei primi studi di fattibilità a inizio anni Novanta: l’infrastruttura esistente avrebbe dovuto raggiungere la saturazione nel lontano 1997 (figura 3); nella realtà il numero di treni sulla tratta transfrontaliera della linea non ha mai superato la metà della capacità della infrastruttura (e oggi si attesta intorno al 25 per cento). Ma se è incerto il traffico totale, ancora più incerta è la quota effettivamente spostabile sulla nuova ferrovia, che potrebbe essere ben inferiore a quanto previsto. In termini più generali, se si conferma la decisione di procedere con l’opera nonostante il radicale cambiamento delle condizioni complessive, si rendono necessarie analisi ben più approfondite di una semplice estrapolazione di un trend storico E l’analisi deve, necessariamente, essere fatta considerando tutte le alternative di percorso esistenti (Gottardo in primo luogo). Tutti i progetti di tunnel ferroviari in corso, infatti, contengono previsioni sostanziose di crescita del traffico: prese nel loro complesso, queste rimandano il quadro di un’esplosione del traffico che invece non sembra affatto all’orizzonte.
TAV MA NON SOLO TAV
Purtroppo, la Tav, con le sue previsioni di traffico, non è l’unica grande opera che dovrebbe destare l’attenzione del Governo.
Recentemente alcuni parlamentari dell’opposizione hanno ottenuto la pubblicazione delle analisi costi benefici del 2004 e del 2007 relative al trasportisticamente ben più solido progetto di tunnel del Brennero. Anche in questo caso, la documentazione ufficiale presenta problemi, sia di trasparenza che di merito. In particolare, vi sono aspetti della valutazione che andrebbero più attentamente riconsiderati, quali ad esempio le previsioni di domanda (ottimisticamente pre-crisi), la capacità residua della linea storica e addirittura la metodologia utilizzata.
Rilevanti problemi metodologici sembrano inficiare anche i risultati dell’analisi relativa alla nuova linea Napoli-Bari. Per un’altra grande opera, il “terzo valico” tra Milano e Genova, non è stata resa pubblica alcuna valutazione. Un esercizio indipendente condotto sulla base dei pochi dati disponibili ha dato risultati fortemente negativi. Nebbia fitta avvolge anche i dati relativi al progetto di linea alta velocità tra Milano e Venezia.
Il più grave degli errori contenuti nelle analisi costi benefici – quasi tutte quelle che chi scrive ha avuto modo di vedere – riguarda la modalità con cui viene calcolato il beneficio del traffico che cambia modo. La teoria dice chiaramente che, in assenza di un modello multimodale di trasporto, va calcolato con la cosiddetta “regola del mezzo”.
Non vi è spazio qui per spiegarne la ratio (per approfondire si vedano i documenti seguenti: Open issues in the practice of cost benefit analysis of transport projects, XVI Riunione scientifica SIET), ma ignorarla genera risultati assurdi: se davvero i benefici per gli utenti che cambieranno modo fossero dell’entità calcolata dai promotori, sarebbe possibile estrarne una parte tramite le tariffe per finanziare una quota degli investimenti (cosa che viene invece ritenuta impossibile anche dagli stessi promotori).
I POSSIBILI RIMEDI
Nell’immeditato appare dunque (ri)emergere la necessità di analisi costi-benefici terze, indipendenti e interamente riproducibili da chiunque sia interessato a confermarle oppure a confutarle e alla luce delle quali produrre valutazioni aggiornate, quantomeno per i progetti più rilevanti. L’affidamento di tali analisi ovviamente dovrebbe avvenire per gara internazionale. Questo non solo per i progetti nuovi, ma anche per quelli già dati per decisi nel recente e ottimistico passato. Il controllo della spesa pubblica, necessario in tutti i settori, non può oggi non chiedere un “sacrificio” alle grandi opere, meno utili o più incerte, quando la stessa Rfi ha già esplicitato quali sono le sue priorità, concentrate su ben più efficaci ed efficienti interventi sulla rete esistente. Infine occorre sottolineare con grande forza che per tutti questi costosissimi progetti mancano del tutto le molto più semplici analisi finanziarie, come se il problema del rapporto tra costi e ricavi per le casse pubbliche fosse assolutamente irrilevante.
Figura 1
Figura 2
Fonte: Alpinfo
Figura 3
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