A suon di zero virgola

per Gabriella
Autore originale del testo: Guido Crainz
Fonte: la Repubblica
Url fonte: http://www.eddyburg.it/2015/12/a-suon-di-zero-virgola.html

di Guido Crainz   05 Dicembre 2015

«Un paese che ha ripreso a camminare, non certo a correre”: sintetizza così il rapporto annuale Censis , con un messaggio venato di chiaroscuri». Che cosa c’è sotto al fumo della propaganda di Renzi e dei renzichenecchi in giro nelle piazze d’Italia (quelle vere, e soprattutto quelle virtuali). La Repubblica, 5 dicembre 2015

UN Paese in cui gli indicatori volgono al segno “più” ma con grande fatica (una “Italia dello 0 virgola”): ancora portato a rinchiudersi in un “recinto tranquillizzante ma inerte”; immerso “in un clima di mediatica attesa e di annuncio della ripresa che però non si tramutano in un forte investimento collettivo”. Un Paese che rimane esposto al rischio di un “letargo esistenziale” ma che si è comunque rimesso in movimento, sia pur in modo stentato e contradditorio: segnale non irrilevante se si pensa al Paese sfiduciato e sfibrato disegnato ancora l’anno scorso dal Censis (“dopo anni di trepida attesa la ripresa non è arrivata e non è data per imminente”). È davvero lungo il tunnel che abbiamo percorso: già nel 2007 del resto, alla vigilia della grande bufera, il Censis aveva parlato di “malattia dell’anima”, di una società ripiegata su se stessa e sempre più attraversata da un’illegalità quotidiana e diffusa. Una società indebolita e quasi incapace di reagire alla prolungata emergenza provocata poi dalla crisi internazionale. Esposta da allora all’erosione continua di redditi, consumi e — soprattutto — speranze: nel 2010 il rapporto delineava un’Italia “senza più legge né desiderio” e “incapace di sognare”, e ne diventavano simbolo i moltissimi giovani che non studiano, non hanno lavoro e non lo cercano neppure (un macigno che tuttora permane, come il rapporto di quest’anno ricorda).

Veniva così alla luce un “disastro antropologico” di più lunga durata, annotava il Censis alla fine del 2011. L’anno in cui l’irresponsabilità berlusconiana aveva fatto intravedere anche per l’Italia un “rischio greco”: mesi difficilissimi, segnati anche da un deterioramento della nostra immagine internazionale “vissuto un po’ con dolore e un po’ con vergogna”. Il fondo più buio di una deriva che l’azione del governo Monti arrestò quasi sull’orlo del baratro senza riuscire però a ridare slancio al Paese (“non è scattata la magia dello sviluppo fatto da governo e popolo” si annotava alla fine del 2012): di qui le difficoltà degli anni successivi, segnati dal “problema della sopravvivenza” e dall’incapacità di far interagire e rendere trainanti gli elementi di vitalità pur presenti in settori dell’economia, della società, della cultura.

Di “sospensione delle aspettative” il Censis parlava ancora l’anno scorso, e in questo quadro possono essere meglio apprezzati i primi segnali di ritrovata fiducia di quest’anno, dalla crescita dell’acquisto di beni durevoli al dinamismo del mercato immobiliare, in un panorama di più generale ripresa dei consumi ma segnato al tempo stesso da nuovi squilibri sociali (alimentati anche dal restringimento del welfare). Segnato da una ripresa dell’occupazione che non coinvolge ancora i giovani, che pur pensano al futuro con maggior ottimismo (un altro dato da capire meglio). Rimane molto rilevante inoltre il denaro non investito ma immobilizzato in un “risparmio cautelativo” volto a fronteggiare le emergenze (non senza ragioni, dato che l’anno scorso vi hanno dovuto attingere più di tre milioni di famiglie).

Permangono insomma i tratti di una “società a bassa consistenza e quindi con scarsa autopropulsione”, poco dinamica. Vi è certo stato un “volontarismo della politica”, si osserva – in positiva controtendenza rispetto a rassegnazione e pessimismo – ma non è riuscito a ridare slancio all’economia e alla società per l’assenza di un progetto generale, di un’idea di futuro capace di radicarsi nel corpo vivo del Paese. Per una enfatizzazione della decisione di vertice, a partire dall’azione di governo, che non ha saputo costruire una vera “catena di comando”. Non ha saputo penetrare nelle pieghe reali della società: non vi è stata dunque quella “osmosi tra primato della politica e mondi vitali sociali” che ha caratterizzato le fasi più espansive della nostra storia.

E questa mancata dialettica fra politica e società ha lasciato la cultura collettiva “prigioniera della cronaca”, del giorno per giorno e dei messaggi più negativi. Ha lasciato ancora isolati gli elementi e i fattori più dinamici, troppo spesso lontani dalla luce dei riflettori. Troppo spesso sottovalutati o considerati solo marginalmente: “il resto”, per dirla con il Censis, rispetto agli ingannevoli pilastri delle narrazioni prevalenti. Eppure è proprio a questo “resto” che occorre guardare, sottolinea il rapporto: ai settori capaci di vincere le sfide internazionali, ai nostri tradizionali punti di forza nella stessa manifattura e soprattutto alle sinergie e alla “ibridazione” di differenti comparti e competenze, capaci di dar vita ad un nuovo Italian style (dall’abbigliamento all’agroalimentare e al turismo).

Si aggiungano altri elementi significativi, relativi ad esempio all’immigrazione: su di essa ha certo agito il peso della crisi, si annota, ma hanno operato anche significativi elementi di “integrazione molecolare” capaci di evitare, forse, il “rischio banlieue”.

Non mancano altri segnali positivi, pur “minori”, connessi anche agli stili di vita. Né mancano, sul versante opposto, le forti inquietudini connesse alla crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni politiche e dell’Europa. Vi è in realtà una grande domanda sottesa all’intero rapporto: qual è il Paese che esce dagli anni della crisi? Quali ne sono le potenzialità e le modificazioni profonde, le propensioni generali e le pulsioni particolaristiche? Non siamo rimasti uguali, il Censis ce lo ricorda, e questa domanda non può essere elusa.

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