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di Manuel Santoro, segretario nazionale di Convergenza Socialista
Nelle prime righe del Manifesto del Partito Comunista, Marx ed Engels dichiaravano che la storia di ogni società è storia di lotte di classe, una lotta tra uomo libero e schiavo, tra patrizio e plebeo. Una lotta tra oppressori e oppressi. O si è oppressori, o si è oppressi. Entrambi avevano compreso la graduale e costante polarizzazione dei due campi, i quali venivano indicati, nel documento destinato alla Lega dei Comunisti, come borghesia e proletariato. Useremo anche noi questi due termini nel corso dell’intervento.
Naturalmente il mondo è molto cambiato dai tempi di Marx e nei secoli il capitalismo si è molto evoluto elevandosi a sistema globale e transnazionale. Il capitalismo di tipo industriale ha oggi concluso una metamorfosi precisa verso un capitalismo più feroce di tipo finanziario il quale, nella giustezza dell’analisi marxiana della semplificazione della società moderna, ha contribuito a definire i due grandi campi nemici relegando la quasi totalità della popolazione mondiale tra gli oppressi.
Nel corso dell’ultimo secolo il mondo occidentale ha favorito politiche di stampo neoliberista facilitando la globalizzazione dei processi economici e, di conseguenza, dei processi sociali, culturali e comportamentali. Se, quindi, la responsabilità è delle classi dirigenti che hanno rafforzato la centralità del capitale rendendolo globale, si rende necessario capire quale strada percorrere per la graduale risoluzione dei conflitti sociali creati dal globalismo economico.
Marx sosteneva che il capitalismo era internazionale esattamente come lo era la classe dei lavoratori, il proletariato. La borghesia e il proletariato condividevano quindi la stessa dimensione ‘internazionale’ la quale presuppone rapporti e relazioni di classe tra le diverse nazioni. L’internazionalismo della classe presuppone che una classe sociale interagisca con la stessa di altre nazioni con normali relazioni e rapporti, con regole e accordi discussi e condivisi.
Aver permesso al capitale di lasciare la sfera dell’internazionalismo per accedere al globalismo ha significato aver permesso l’annullamento di qualsiasi intendimento comune, tra nazioni diverse, e gli ha permesso di ergersi al di sopra delle parti.
Il problema non è tanto nella transnazionalità dei processi e delle visioni del mondo, ma nel fatto che tale processo unificatore è capitalista ovvero pone al centro del discorso il capitale e non l’essere vivente. Proprio perchè il globalismo è borghese, capitalista, prerogativa degli oppressori e non degli oppressi, e tutti i processi strutturali ruotano intorno alla centralità del capitale, il globalismo è di fatto autoritario poichè slegato dall’uomo. In un certo senso, l’antitesi positiva a tale globalizzazione dell’oppressione economica, sociale e culturale dovrebbe essere in una sorta di ‘globalismo socialista’, se si lascia perdere per un attimo l’accezione sociologica negativa del termine, il quale si pone come punto di arrivo di un cambio di paradigma globale raggiunto attraverso la messa in atto pratica dell’internationalismo socialista.
Oggi potremmo dire, usando la terminologia marxiana, che il proletariatoseppur potenzialmente una classe internazionale, è sfilacciato e residuale, e ha perso coscienza del proprio ruolo anche in ambito nazionale, mentre la borghesia è globalizzata e transnazionale. I due grandi campi nemici vivono oggi su dimensioni molto diverse, ognuno con le proprie armi e le proprie debolezze. Difatti, “la condizione essenziale per l’esistenza e per il dominio della borghesia è l’accumulazione della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale. La condizione necessaria a creare il capitale è il lavoro salariato”. Borghesia/capitale e proletariato/lavoro salariato rimangono in eterno conflitto. La storia delle lotte di classe è tra oppressori e oppressi, tra chi ha il capitale e chi non ce l’ha.