Sulla musica leggera italiana…

per Davide Morelli
Autore originale del testo: Davide morelli

Ascolto spesso su radio vintage e su YouTube rock progressive italiano e cantautori italiani. Per quanto riguarda il rock progressive ascolto Pfm, Eugenio Finardi, Alan Sorrenti(mi piacciono in particolare i brani remastered Vola, Le tue radici, Figli delle stelle, Vorrei incontrarti), Claudio Rocchi(La realtà non esiste, La tua prima luna). Il rock progressive era caratterizzato da testi elaborati e mai banali, da musiche complesse e sofisticate. È con i cantautori ed i rappresentanti del rock progressive che in Italia si diffonde il fenomeno del concept album(il più venduto nel nostro Paese è “La vita è adesso” di Baglioni, che ha come tema la giornata qualunque di un uomo qualunque). Non capisco come mai ci siamo fatti colonizzare così tanto musicalmente dagli americani. La nostra esterofilia a mio avviso sfiora l’imbecillità. Forse non potevamo ribellarci ai dicktat del mercato. Sono le case discografiche e i mass media che lo esigono. Intendiamoci: è sempre preferibile l’America che ci ha colonizzato culturalmente e sottoculturalmente a quella che ha esportato con l’esercito la democrazia. Le radio passano esclusivamente musica straniera, molto spesso anglofona. È dai tempi dei Beatles che è così, anche se ai tempi dei tempi pochi sapevano l’inglese; lo stesso Shel Shapiro quando venne in Italia si sentì un pesce fuor d’acqua perché pochi conoscevano la sua lingua. Negli anni settanta i giovani guardavano all’America ma buscavano anche ad Oriente. In quegli anni c’era molto fermento. Basti pensare alle radio libere, che portarono una ventata d’aria nuova e fecero un quarantotto, ebbero il merito di scoperchiare le carte. Poi tutto è ritornato come prima. Oggi il mercato in Italia è determinato dall’oligopolio delle major. È tutto un business. Ogni canzone è soprattutto un prodotto commerciale da canticchiare e ballare. Le canzoni oggi fanno parte del divertimentificio e non devono più far riflettere. Anzi talvolta ho la vaga impressione che più sono banali i ritornelli e più entrano nella testa delle persone. Non solo ma c’è da dire che spesso i fruitori della musica leggera sono ragazzi di età compresa tra i 15 e i 25 anni:  ciò spiega molte cose. Oggi il mondo è Spotify, almeno per i millenials e la generazione z(i cosiddetti nativi digitali). Forse sono io che appartengo alla generazione x e sono rimasto indietro, troppo ancorato ai miei tempi. Oppure più probabilmente tutti noi italiani imitiamo sempre le mode americane con ritardo; in fondo in Italia rapper e trapper sono comparsi dopo anni ed anni di ritardo rispetto all’America, così come nel secondo novecento si diffuse con ritardo da noi la controcultura americana. Eppure gli autori italiani non hanno niente da invidiare a quelli stranieri. È vero che De André subiva l’influsso di Brassens agli esordi, De Gregori quello di Bob Dylan e Vecchioni musicalmente quello di Bruce Springsteen. Ma nessuno si ricorda che Bob Dylan voleva cantare “Jodi e la scimmietta” di Venditti negli anni settanta e Vasco Rossi non volle fare il suo show nel 1990 assieme ai Rolling Stone, declinando l’invito. Così come nessuno si ricorda che Alice(Carla Bissi) non volle mai cercare l’avventura americana, nonostante ripetuti solleciti dell’industria discografica. Si ricordano invece tutti soltanto che Lucio Battisti tentò con esito infausto il successo oltreoceano. In America I cantanti italiani che riscuotono più successo sono Laura Pausini, Andrea Bocelli, Eros Ramazzotti, Zucchero, Il volo, Adriano Celentano, Mina, Al Bano, Toto Cutugno. Senza nulla togliere alla bravura di questi ultimi c’è da osservare che il genere dei cantautori italiani forse è troppo di nicchia per piacere negli Stati Uniti. Inoltre due sono le pecche del nostro cantautorato, nonostante la dignità letteraria dei suoi testi: non avere musiche molto orecchiabili(spesso in un disco di otto canzoni solo tre o quattro sono musicalmente valide) e non avere grande presenza scenica sul palco. A tal proposito spesso ai concerti dei nostri cantautori si respira soprattutto un’atmosfera intimista e di raccoglimento. Ma probabilmente questa è stata una precisa scelta artistica. Basta ricordarsi cosa scriveva Pierangelo Bertoli in “A muso duro”: “Adesso dovrei fare le canzoni/con i dosaggi esatti degli esperti/magari poi vestirmi come un fesso/e fare il deficiente nei concerti”. Oppure sempre a tal proposito basta citare anche Battiato: “non è colpa mia se esistono spettacoli/con fumi e raggi laser/se le pedane sono piene/di scemi che si muovono/up patriots to arms, engagez-vous”. Bisogna anche aggiungere che per gli italiani è molto facile farsi ammaliare dai miti americani, mentre per i cantori di una nazione così periferica e poco importante come la nostra è molto difficile esportare le loro cose artistiche. Infine va detto che i nostri cantastorie, i nostri novelli bardi probabilmente non rispecchiano gli stereotipi dell’italiano: abbiamo nella nostra penisola forse un cantautorato troppo elitario ed intellettuale. Eppure è pacifico che le creazioni del nostro cantautorato secondo la critica musicale non siano intrattenimento ma vera espressione artistica e molto spesso sinonimo di impegno civile e politico. Non sono solo canzonette. Devo dire però che i giovani non devono neanche idealizzare troppo i cantanti, che non hanno nessun rapporto privilegiato con la verità. L’umanità può concepire soltanto in due modi la verità : 1) in senso religioso. Quindi la verità non è cosa umana e lontanissima dall’uomo. 2)in senso laico. La conoscenza quindi è perfettibile ma la verità resta irraggiungibile. Ci si può avvicinare solo asintoticamente.

Resta da stabilire se le canzoni di autore siano poesia o meno. Forse sono espressione di poesia popolare, ma questo lo decideranno gli italianisti a venire. Personalmente non so se le canzoni siano davvero poesia. Alcune però assomigliano senza ombra di dubbio alla poesia. Per il poeta Milo De Angelis i cantautori scelgono sempre la via più facile, quella più comunicativa. Il grande Mario Luzi invece sosteneva che alcune canzoni di autore fossero poetiche, mentre non sempre tutte le poesie lo erano.

L’influenza delle canzoni e come usarli nei cori aziendali per fare coaching.

Per il poeta Valerio Magrelli la musica avvantaggia e facilita i cantautori rispetto ai poeti. Per il poeta Maurizio Cucchi le canzoni di Guccini non sono assolutamente poesie. Per il poeta Lello Voce spesso i testi delle canzoni, letti senza musica, non reggono da soli e non sono poesie. Per De Gregori i cantautori non sono poeti e non devono avere alcun ruolo educativo. Per Vecchioni le canzoni sono poesie e cita il fatto che anticamente le poesie venivano accompagnate da delle musiche. C’è anche tra gli addetti ai lavori chi pensa che Bob Dylan sia un grande poeta visionario e chi solo un cantante semicolto. C’è chi ritiene che i musicisti siano più avvantaggiati perché il feto sente da subito il battito della madre. C’è chi pensa che sia solo questione di educazione e cultura. Insomma il dibattito è ancora aperto.

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