Sulla legge elettorale meglio l’Armonicum dell’Anti-Mattarellum

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Pertici
Fonte: huffingtonpost.it

di Andrea Pertici – 3 ottobre 2017

La Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati comincia a votare gli emendamenti alla proposta di legge elettorale chiamata “Rosatellum bis“, essendo già la seconda riconducibile, a quanto pare, al capogruppo del Pd a Montecitorio.

Questa è stata talvolta indicata anche come “Mattarellum rovesciato”, laddove il rovesciamento starebbe nelle percentuali di seggi assegnati rispettivamente con il sistema maggioritario e con quello proporzionale. Infatti il “Mattarellum” (o meglio le leggi n. 276 e 277 del 1993, relative, rispettivamente, al sistema di elezione del Senato e della Camera) prevedeva l’attribuzione di circa il 75% dei seggi (475 alla Camera e 232 al Senato) con il sistema maggioritario uninominale (first past the post) e del rimanente 25% (155 alla Camera e 83 al Senato) con il sistema proporzionale, mentre la proposta pendente assegnerebbe con il maggioritario circa un terzo dei seggi, attribuendo gli altri con metodo proporzionale.

Tuttavia, del Mattarellum – lo dico da buon estimatore della legge e in linea di massima dei sistemi maggioritari (che non hanno nulla a che vedere con quelli, tutti italiani, con premio di maggioranza) o misti – non si rovescia solo la proporzione ma il senso, al punto che questa proposta sarebbe identificabile con maggiore chiarezza come l'”Anti-Mattarellum”.

Il “Rosatellum bis”, infatti, con circa un terzo dei seggi assegnati con sistema maggioritario, non consente a questa parte di favorire adeguatamente una semplificazione del quadro politico-partitico, realizzando, al tempo stesso un’efficace rappresentanza.

D’altronde, la parte proporzionale non realizza l’obiettivo di recupero della rappresentanza, come normalmente grazie a questa si intende fare nei sistemi misti. Infatti, le liste proporzionali (bloccate) si saldano “in un sol blocco” con la candidatura del collegio uninominale. L’elettore ha infatti a disposizione un solo voto, esprimendo il quale può far scattare un effetto domino dalle proporzioni anche difficilmente immaginabili.

Il candidato del collegio uninominale, che si presenta con il proprio nome ma senza un simbolo (cosa da non sottovalutare), è collegato a una o più liste plurinominali bloccate, per le quali i voti sono conteggiati con metodo proporzionale. Se un elettore traccia il simbolo sul candidato all’uninominale collegato magari a quattro liste ciascuna delle quali presenta quattro candidati bloccati, quel voto si irradia su tutti i candidati (che arriverebbero nel caso a diciassette), che costituiscono, in sostanza, un nuovo listone, seppure articolato.

Singolare è tra l’altro l’effetto di quel voto che peserà sulle diverse liste collegate in proporzione ai suffragi di coloro che (a differenza del nostro ipotetico elettore) si sono espressi per le stesse, con un meccanismo che richiama quello dell’inoptato nell’8 per mille.

Questa legge così finisce per sacrificare gravemente – ancora una volta – la rappresentanza, non aiutando significativamente la stabilità di governo (che la Corte ritiene l’altro valore costituzionale da salvaguardare seppure non sullo stesso piano della rappresentatività) e soprattutto ripropone surrettiziamente un voto molto bloccato (tra uninominale e proporzionale e relativamente ai candidati decisi dai partiti).

Ancora una volta questo Parlamento si avvia così sulla strada sbagliata, rischiando ulteriori censure di costituzionalità che lo delegittimerebbero definitivamente.

Ora, anche considerato che siamo negli ultimi mesi di legislatura e che, sulla base del Codice di buona condotta elettorale del Consiglio d’Europa, nell’ultimo anno di legislatura non dovrebbero essere approvate leggi elettorali (perché si è troppo condizionati dagli interessi elettorali), sarebbe molto più saggio e praticabile limitarsi a questo punto all’armonizzazione delle due leggi di Camera e Senato risultanti dalle dichiarazioni d’incostituzionalità parziale di cui, rispettivamente, alla sentenza n. 35 del 2017 e n. 1 del 2014.

L’armonizzazione, come già evidenziato, potrebbe avvenire in sette semplici mosse con cui:

1. eliminare il premio di maggioranza alla Camera. Un premio di maggioranza può risultare conforme alla Costituzione soltanto a una serie di condizioni, a partire dalla sua idoneità a conseguire l’obiettivo della stabilità di governo. Con due Camere che esprimono la fiducia, se – come in questo momento – il premio fosse attribuito in una sola, esso sarebbe inidoneo al conseguimento dell’obiettivo; se, invece, fosse previsto per entrambe le Camere, potrebbe essere attribuito a forze politiche diverse, rendendo particolarmente difficile (più di quanto avvenga con un proporzionale senza correttivi) la formazione di un governo ed eventualmente la sua successiva stabilità. D’altronde, l’attribuzione del premio solo quando spetti alla stessa lista in entrambe le Camere contrasterebbe con l’autonoma elezione di ciascuna secondo la Costituzione;

2. prevedere una soglia di sbarramento unica per la Camera e il Senato, abbassando quella prevista per quest’ultimo (attualmente all’8% in ciascuna Regione) ed eventualmente elevando quella vigente per la Camera (3%), un punto di incontro potendo trovarsi, per esempio, al 4%;

3. eliminare le coalizioni anche al Senato. Queste, infatti, non hanno alcun senso e non a caso non sono previste in nessun altro sistema elettorale. Infatti, ciascuna forza politica, in democrazia, si presenta con un proprio programma sul quale intende ottenere la maggioranza. Se la coalizione ha lo stesso programma non si comprende perché dovrebbero esservi liste concorrenti, mentre se il programma delle liste è diverso non ha senso presentarsi insieme;

4. eliminare i capilista bloccati alla Camera, dando agli elettori la possibilità di scegliere tra tutti i candidati, senza che nessuno sia “raccomandato” dal partito;

5. introdurre anche al Senato della preferenza di genere, in conformità dell’art. 51 della Costituzione, per riequilibrare la rappresentanza anche da questo punto di vista;

6. eliminare – o almeno ridurre a non più di tre – le candidature plurime (cioè la possibilità di presentarsi in più collegi o circoscrizioni);

7. prevedere collegi (almeno) analoghi a quelli indicati nella legge della Camera anche per il Senato (naturalmente, in questo caso, nell’ambito di circoscrizioni regionali).

A queste semplici mosse di armonizzazione se ne potrebbero aggiungere due di rango costituzionale: la prima, più urgente e facilmente realizzabile, consisterebbe nel portare l’elettorato attivo per il Senato alla maggiore età, come per la Camera; la seconda, meno agevole, nel ridurre i deputati da 630 a 470 e i senatori da 315 a 230.

In questo modo, procedendo nel rispetto del Codice di buona condotta elettorale, si giungerebbe all’approvazione di una legge elettorale conforme alla Costituzione: una novità da ormai molti anni e certamente un buon viatico per la prossima legislatura.

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