SUL VERO IMPULSO NECESSARIO PER RIPENSARE L’EDUCAZIONE

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: FILOTEO NICOLINI

SUL VERO IMPULSO NECESSARIO PER RIPENSARE L’EDUCAZIONE

IL CORAGGIO DI RIPENSARE LA SCUOLA” è una pubblicazione supportata dalla Fondazione Cariplo e la Cassa di risparmio di Lucca a cura di Attilio Oliva e Antonino Petrolino. Nel n. 15 del 2019 il numero è dedicato interamente a come superare il ritardo culturale della scuola italiana rispetto agli standard europei. Al centro c’è il paradigma dello studente come fine, ovvero il successo formativo* di tutti e di ciascuno, inteso come la realizzazione del loro massimo potenziale individuale e non come il raggiungimento di astratti livelli uguali per tutti. Sfogliando ancora, si scopre che conoscenze e competenze hanno bisogno di essere orientate da valori, e qui si allude all’insegnamento della condizione umana e la consapevolezza di comuni destini, evidenziando carenze come la mancanza di spirito comunitario e di senso dello Stato di troppe fasce della nostra popolazione.

Si accenna inoltre che nella diversità della popolazione studentesca è importante cogliere gli elementi comuni validi per tutti per essere cittadini dell’Unione Europea.

Una scuola con lo studente come fine deve adottare come principio una maggiore personalizzazione dell’offerta-a ciascuno la sua- e quindi strutturare canali della secondaria differenziati e distinti per contenuti, metodi e profili in uscita, e poi offrire insegnamenti opzionali per meglio rispondere agli interessi degli allievi. Nel ”tempo lungo” si alternerebbero lezioni disciplinari ad attività formative di diversa natura per sviluppare la dimensione personale e quella civica e sociale degli alunni.

Le attività pomeridiane (accompagnate non da insegnanti, ma da co-educatori), cureranno l’intelligenza emotiva e diversi linguaggi espressivi (arti sonore, visive, gioco, sport, eccetera)  dove fare emergere i vantaggi della collaborazione e della solidarietà e non lasciare spazio  al bullismo e ai comportamenti antisociali

Ci sono una serie di osservazioni sulla formazione attuale del personale docente e la sua valutazione. Si propongono percorsi formativi ed incentivi per i docenti e la laurea abilitante, specifica per l’insegnamento. Riguardo l’assetto futuro della scuola superiore si prevede netta differenziazione tra i percorsi della secondaria, i licei orientati alla prosecuzione degli studi nella istruzione universitaria, gli istituti tecnici anch’essi orientati a studi ulteriori, come i politecnici, oppure a percorsi di istruzione tecnica superiore breve per l’acquisizione di competenze tecniche e professionali, gli istituti professionali dedicati all’avviamento lavorativo diretto.

Secondo i curatori della proposta Treelle non si può indurre l’apprendimento con la forza o con la paura (bontà loro) ma si impara solo se scatta una molla, il desiderio di imparare. La scuola a tempo lungo viene raccomandata in linea con gli altri paesi europei.

Mentre la riforme partono dall’alto, il Quaderno auspica la trasformazione che invece parte dal basso, il prodotto del contributo di ogni singolo operatore scolastico coinvolto per favorire sperimentazioni esportabili dove sono coinvolti il territorio, la scuola e le famiglie.

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Senza dubbio si tratta di analisi e proposte a lungo studiate e su cui gli organizzatori aprono il dibattito aperto e costruttivo. Che cosa si impara dalla lettura degli indici riassuntivi del quaderno relativo del 2019? (www.treellle.org/pubblicazioni)

La prima impressione che ho è di un lavoro fatto in profondità dove gli esperti impegnati hanno tessuto con la massima finezza al telaio dei concetti per rendere flessibile ed adattabile il modello di istruzione attuale che appare ingessato e pieno di vicoli ciechi. Ma la proposta appare pervasa da una astrattezza che finisce per etichettare lo studente e il docente. L’antropologo vede questi soggetti quando sono illuminati solo dal lato sensibile e comportamentale. Ammetto che nei suoi concetti che ci sia una logica, che vi intervengano leggi psicologiche che pur fondendosi col sensibile non coincidono con esso. Ma l’antropologo poi lì si ferma. Studenti e docenti, volendo esagerare un po’, vengono trattati con una visione di input-outpt, pedine da modellare in base a uno schema.

Volendo essere più esplicito, mi è sembrato di trovarmi di fronte al piani di ristrutturazione di un edificio, dove si propone di abbattere qualche parete, rimodellare stanze e servizi, eliminare locali considerati obsoleti, e in generale riprogrammare i materiali e gli spazi a disposizione perché sia una struttura più aperta e dall’uso flessibile, adatta a nuove esigenze. Ma chi vi abiterà e come si svolgerà la vita, ecco questo dai piani di ristrutturazione non si può sapere.

Aggiungo che le frasi vaghe che alludono allo sviluppo armonioso delle doti e delle facoltà e cose simili, anche se giustificabili, non possono servire di base per l’arte della educazione la quale ha bisogno di una autentica conoscenza della natura umana. Equivale a dire di fronte ad una macchina che è necessario condurre tutte le sue parti a svolgere una attività armoniosa. Solo potrà guidarla chi la studi e la conosca a fondo. Per l’arte di educare bisogna ugualmente avere una conoscenza approfondita della natura umana e le sue dinamiche variabili a secondo dell’età.

L’altra impressione è che l’enfasi è tutta posta sul trasformare la scuola secondaria per essere quella da cui si emerge per passare all’istruzione superiore o al mondo del lavoro. E qui ritorna alla mente la ristrutturazione dell’edificio. Si possono rimodellare i piani alti senza chiedersi se le fondamenta sono adeguate? E qui va detto che il vero impulso per una nuova scuola deve partire proprio dai primi anni affinché tutte quelle potenzialità di cui si parla possono venire alla luce quando giovani adolescenti si affacceranno alla scuola superiore. Dalla natura intima del piccolo allievo e dal suo divenire dovrebbe sorgere da sola la teoria educativa rispettandone fasi e sovrapposizioni. Chi ben comincia è già alla metà dell’opera!

Per esempio, nella prima infanzia l’imitazione e l’esempio sono le due parole magiche per educare cioè tener sempre presente quello che gli adulti fanno davanti ai piccoli. Udendo è come il piccolo apprende meglio a parlare e nessuna istruzione formale sarebbe effettiva. Mentre nel periodo successivo sono importanti l’emulazione e l’autorità accettata spontaneamente. I bei sentimenti che tali esperienze generano cominciano a far parte delle conquiste della vita, ed è fortunato colui che può alzare lo sguardo ai suoi maestri ed educatori come le sue indiscutibili autorità morali a cui rimane legato nella vita adulta. Qui va aperto il dibattito sul ruolo dell’educatore docente i cui valori morali e culturali devono necessariamente essere di eccellenza sì da costituire esempio.

La prima domanda da porsi quando si discute di educazione quindi è: perché educhiamo? Il compito dell’educazione è a mio avviso quello di unire due realtà differenti come sono l’anima e il corpo e armonizzarle nelle varie fasi dello sviluppo. Da un certo punto di vista l’educazione è una metamorfosi del processo di cura e chi pratica la docenza è come il terapeuta che interviene per armonizzare il rapporto tra le diverse componenti di cui il piccolo e l’adolescente sono costituiti, per valorizzarne le qualità che lo rendono unico e irripetibile.

È quindi una grande responsabilità perché l’insegnamento può essere benefico o pregiudiziale. Tra ciò che è giusto e sbagliato è necessario sapere ciò che è opportuno affinché possa nel tempo realizzarsi pienamente il destino e quindi il progetto di cui ogni persona è portatrice.

La vita è come una pianta che contiene non solo quello che offre a prima vista agli occhi, ma anche il suo stato futuro ancora occulto. Chi la contempla con le prime foglie sa molto bene che dentro poco tempo sul suo fusto ora coperto di fogliame ci saranno fiori e poi frutti. Ma come sarebbe possibile predire l’aspetto di tali fiori e frutti se ci limitassimo a indagare nella pianta quello che offre alla vista all’inizio dell’osservazione? Lo potrà fare chi come il botanico conosce la sua natura essenziale.

Allo stesso modo, la vita umana racchiude in potenza i frutti del futuro. Senza dubbio, è molto più facile fare delle previsioni nel caso della pianta perchè ne abbiamo viste tante in fiore e frutto. Invece ogni vita umana costituisce una situazione unica e i fiori che ne verranno fuori esistono solo in potenza.

I frutti del futuro nell’educazione sbocceranno fertili se si conoscono e rispettano le tappe dello sviluppo dell’anima. Nessuno potrà afferrare con concetti intellettuali appropriati la realtà se prima a suo tempo non la abbia ricevuto in simboli e immaginazioni che parlano non tanto all’intelletto quanto al sentimento. L’adolescente che sia passato per queste esperienze precedenti affronterà con ponderazione quando più avanti si presenteranno al suo intelletto le leggi della natura e i misteri della vita.

Prendendo ad esempio lo sviluppo della farfalla l’uovo, poi il bruco e ora la crisalide, è possibile farne una straordinaria parabola del divenire molto prima di concettualizzarla e descriverla nel mondo sensibile.

È nocivo che non si abbordino sentimentalmente gli enigmi dell’esistenza, mentre troppo precocemente si pretende concettualizzare con astrattezza ed affidarsi alla scienza materiale.

È qui la chiave per affrontare la costruzione del ponte tra l’ordinamento fisico e l’ordinamento morale oggi tanto necessario. È questo l’impulso per ripensare l’educazione.

FILOTEO NICOLINI

IMMAGINE : Escola,

* Già il concetto di “successo” è mutuato dal mondo della prestazione, sia sportiva sia produttiva, e ciò ci mette in stato di vigile allerta.

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