Il suicidio va sempre condannato come gesto. L’ho già scritto che la cultura deve essere sempre biofila e mai necrofila: non mi stancherò mai di ripeterlo. Per alcuni psichiatri come Andreoli non tutti i suicidi sono depressi e questo gesto è legato soltanto ad un istante. Il suicida sarebbe perciò prigioniero di un istante. Per molti altri psichiatri i suicidi sono depressi e l’istante dell’estremo gesto non è altro che il picco, la punta dell’iceberg della depressione. Durkheim ed altri studiosi nel corso della storia hanno distinto tra vari tipi di suicidio. Forse il suicida non può scegliere in quell’istante: ogni suo pensiero ed ogni sua azione è determinata totalmente dalla depressione. Molto probabilmente il suicidio esistenziale o filosofico non esiste. Piuttosto è causato da uno squilibrio neurochimico, da un deficit di serotonina nel lobo frontale. Non è il pensiero che determina la depressione, ma è questa ultima che determina i pensieri. Ci sono intellettuali che con la loro opera non fanno altro che razionalizzare la loro depressione. Ogni suicida non può scegliere forse in quel frangente. Però magari poteva scegliere diversamente qualche settimana, qualche mese, qualche stagione prima. Invece ha deciso invece di non curare il proprio disturbo di umore con l’aiuto di uno specialista e di una terapia farmacologica. Magari ingenuamente ed erroneamente ha ritenuto di potercela fare da solo oppure che gli specialisti della mente fossero solo degli incompetenti o non potessero comprenderlo. Anche questa è una scelta: una scelta da condannare, anche se da valutare con degli attenuanti in quanto effettuata in un contesto culturale come quello italico in cui gli esperti della mente sono considerati meno di niente: le persone hanno questo tipo di resistenze sottoculturali e preferiscono rivolgersi piuttosto ai cartomanti. Ci sono stati suicidi come quelli di Michelstaedter e Pavese che hanno fatto epoca. Il suicidio è sempre da condannare perché porta all’emulazione. Non si può non parlarne al mondo di oggi in cui si sa tutto di tutti. Però va condannato. Secondo il cattolicesimo esiste sempre anche nelle condizioni più difficili un certo margine di libero arbitrio. Ci sono romanzi come “I dolori del giovane Werther” a cui è stato attribuito un grande numero di suicidi. Ci sono state anche delle giovani che si sono suicidate per la morte di Rodolfo Valentino. Ci sono stati brasiliani che si sono suicidati dopo la finale dei mondiali persa dalla loro nazionale con l’Uruguay. C’è chi sostiene che i suicidi siano immensamente coraggiosi. Per altri l’estremo gesto è un gesto insano oltre che essere una azione vigliacca. Un tempo l’accidia era ritenuta un peccato e barbaramente i suicidi non avevano degna sepoltura. Ancora oggi c’è chi pensa che il suicidio sia una violenza contro se stessi. C’è chi sostiene che sia una richiesta di amore o quantomeno di aiuto. Giustificare il suicidio parlando ad esempio dell’insondabilità dell’animo umano oppure dell’assurdità di questa esistenza e di questo mondo è fuori luogo. Ci sono già troppe persone vulnerabili che si autodistruggono in modo ludico/masochistico e che civettano con la morte. Giustificare il suicidio significherebbe approvarlo in certo qual modo. Approvarlo in parte significherebbe a sua volta istigare al suicidio altri soggetti più vulnerabili. Invece non si può promuoverlo socialmente. È vero che anche Primo Levi si è suicidato, naturalmente anche a causa dell’orrore del lager. Probabilmente sì è ucciso perché non poteva non dimenticare. Però bisogna soprattutto pensare ad altri sopravvissuti al lager che hanno resistito all’orrore fino alla fine. Qualcuno dirà che bisogna avere pietà cristiana per i suicidi. Ma è anche vero che non si può volere troppo bene a chi ci ha lasciato anzitempo. Molti familiari e amici dei suicidi hanno un rapporto affettivo spesso conflittuale ed ambivalente nei confronti del loro caro: in fondo bastavano delle ore di psicoterapia e degli psicofarmaci da assumere ogni giorno per salvarsi. Bisogna ascoltare canzoni come “Meraviglioso” di Modugno e non canzoni come “Ciao amore ciao” di Tenco. Per Gesualdo Bufalino i suicidi sono solo degli impazienti. Rigiratela come volete ma Thanatos non deve avere la meglio. Da questo disagio psicologico/esistenziale oggi si può guarire. Basta ripristinare l’equilibrio psicologico. Naturalmente gli psicofarmaci combattono la depressione e non la situazione o le cause che l’hanno determinata. Ma questo è un primo passo fondamentale. Intanto si tira avanti. Va condannato ogni suicidio individuale e il suicidio collettivo a cui la nostra specie è prossima. L’estremo gesto va sempre condannato per rispetto di chi vive nonostante gravi difficoltà e di chi è morto, nonostante avesse tanta voglia di vivere. Il suicidio si può cercare di comprenderlo, ma non si può mai accettarlo. Non si deve accettarlo, nonostante tutti i motivi che possono spingere una persona a questo gesto. Qualcuno sostiene che ci si uccide perché il malessere è intollerabile. In fondo come scrisse Pavese ognuno ha sempre una ragione valida per uccidersi. La realtà è che bisogna leggere “Il mito di Sisifo” di Camus e rispondere che la vita è sempre degna di essere vissuta.
Sul suicidio
Autore originale del testo: Davide morelli